Lo scorso 12 aprile è entrato in vigore il Decreto Sicurezza, approvato il 4 aprile dal “difensore della Costituzione” Mattarella. Una legge che è stata rigettata da una miriade di piazze iniziative e mobilitazioni popolari; osteggiata da parti della magistratura e da costituzionalisti e rimpallata da oltre un anno tra Consiglio dei ministri, Camera e Senato. Una legge che si è trasformata alla chetichella e d’urgenza in un decreto legge, unica via per vedere la luce, e che dovrà essere approvato entro 60 giorni in parlamento.
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Fin qui la mobilitazione popolare contro l’ex Ddl 1660 è stato il fattore determinante, che ha impedito l’approvazione della legge costringendo il governo a tali manovre e a ricorrere apertamente al colpo di mano. Non una sconfitta, ma un colpo assestato al governo da parte della masse popolari, che oggi infatti rilanciano la lotta.
La rete A pieno regime, nata proprio in opposizione al Ddl Sicurezza, ha così commentato la notizia del decreto:
“[…] non è questo il momento di cedere allo sconforto.Al contrario: è il momento di rilanciare. Il decreto segna senza dubbio uno spartiacque. È l’attacco più radicale e sistematico ai diritti, alle libertà e alla convivenza civile che l’Italia repubblicana abbia conosciuto. Un attacco che si inserisce dentro un contesto globale segnato dall’avanzare di derive autoritarie, ma che nel nostro Paese assume una valenza ancora più grave e simbolica.
La storia italiana ci ha già insegnato cosa accade quando un blocco reazionario, con spregiudicata evidenza, smantella la libertà nel nome dell’ordine e della sicurezza.
Oggi più che mai è necessarioun salto di qualità nella mobilitazione. Dopo mesi di assemblee, manifestazioni e iniziative diffuse in tutto il Paese, è il momento di costruire un processo organizzativo più solido, capillare e determinato. Un’opposizione reale a questo governo non può che nascere dal basso.Dalla convergenza di tutte le soggettività in lotta.Dal mondo del lavoro a quello ecologista, dai luoghi della formazione ai movimenti per il diritto all’abitare.
Per questo lanciamo un appello chiaro: convergiamo tuttə nella grande manifestazione nazionale del 31 maggio a Roma.Una giornata di massa e di conflitto, che sia capace di rompere l’isolamento, di dare voce e forza a un’alternativa possibile e concreta a un governo che governa solo attraverso decreti d’urgenza e trattative opache.Dobbiamo imporreun’agenda nostra, costruita sui bisogni reali, sui diritti, sulle urgenze sociali e ambientali. Non possiamo restare imprigionati nelle scadenze dettate dall’alto:dobbiamo ribaltarle, rovesciarle, renderle occasione di rottura e rilancio.Per questo ribadiamo con fermezza: nelgiorno in cui questo decreto sarà convertito in legge – qualunque esso sia – saremo ancora una volta in piazza, sotto i palazzi del potere, come già abbiamo fatto il 4 aprile. Il tempo che ci separa dal 31 maggio deve essere un tempo di costruzione: di alleanze, di conflitti, di relazioni politiche e sociali, di mobilitazioni territoriali.Invitiamo perciò tuttə ad attraversare la giornata del 25 aprile con una chiara connotazione: ricordare la Liberazione di ieri significa opporsi con forza alla deriva autoritaria di oggi.L’ottantesimo anniversario della Resistenza deve essere il momento in cui la memoria storica si salda con il presente delle lotte per la democrazia e la giustizia sociale.
In questa prospettiva convochiamo una nuovaassemblea nazionale a Roma, a inizio maggio. Sarà un passaggio decisivo per rafforzare il percorso comune, coordinare le iniziative e rendere la manifestazione del 31 maggio un punto di svolta.
Non siamo alla fine. Siamo solo all’inizio.E se loro scrivono i decreti, noiscriveremo un’altra storia.Fermiamo il piano autoritario e le manovre antipopolari del governo Meloni: nelle piazze, nei territori, nella lotta quotidiana per una democrazia vera, sociale, radicale.”
Oggi più che mai quindi è necessario un salto di qualità nella mobilitazione e il modo migliore per difendere diritti sotto attacco è praticarli, in ogni ambito e in ogni occasione! Le leggi che non vengono applicate sono carta straccia, speculatori affaristi e criminali lo dimostrano ogni giorno nei luoghi di lavoro. Farlo è del tutto possibile e non sarebbe nemmeno la prima volta che le masse popolari violano misure contenute in decreti sicurezza.
La cricca delle Larghe intese ha già messo in campo manovre tese a togliere agibilità alle proteste, alle mobilitazioni, agli scioperi. Misure che mano a mano si inaspriscono. Così nel 2017 il Decreto Minniti Orlando (PD) introduceva il Daspo urbano, estendendone l’utilizzo dall’ambito calcistico a quello sociale, e colpiva gli immigrati con l’inaugurazione dei famosi lager libici. Nel 2018 tocca al Decreto Salvini estendere ancora l’uso del Daspo urbano e introdurre il reato penale per il blocco stradale (e dei binari ferroviari). In questi anni però fogli di via e Daspo sono stati violati da centinaia di sindacalisti e attivisti, talvolta anche imponendone il ritiro per incostituzionalità. Allo stesso modo il Decreto Salvini non ha fermato i blocchi stradali: operai e giovani anzi negli ultimi anni hanno ripreso ed esteso la pratica. Famosi gli esempi di Extincion Rebellion e di Ultima generazione, ma numerosi sono anche i picchetti operai: ultimi quelli messi in campo l’11 aprile da Si Cobas e Gpi nell’ambito dello sciopero nazionale; prima di loro è stata la vertenza Transnova a mostrare la vittoria ottenuta con scioperi e picchetti.
Lo stesso Decreto legge del governo Meloni è già stato violato dal giorno stesso della sua applicazione e prima ancora. È stato violato nella sua pre-applicazione il 5 ottobre a Roma, è stato violato a pochi giorni dalla sua entrata in vigore nel carcere di Piacenza e di Cassino, dove ci sono state rivolte carcerarie con barricate e incendi (che hanno allarmato anche il sindacato di polizia della Uil).
La mobilitazione popolare ha spinto in questi mesi anche magistrati, costituzionalisti e sinceri democratici a prendere posizione contro il Decreto Sicurezza. L’Associazione nazionale magistrati ne ha già denunciato aspetti di illegittimità costituzionale ed è stato il segretario generale dell’Anm, Rocco Gustavo Maruotti, a dire che pone le basi per la repressione del dissenso. Allo stesso modo costituzionalisti hanno criticato aspramente il decreto, come il professor Alfonso Celotto che in Commissione affari costituzionali e giustizia alla Camera ha denunciato che l’aver portato a reato con reclusione il blocco stradale significa ledere il diritto di resistenza, garantito come fondamento della disobbedienza civile. Anche l’Onu è tornata ad intervenire: cinque relatori speciali delle Nazioni Unite hanno scritto al governo italiano per chiedere la definitiva abrogazione della norma recentemente approvata.
Violare le disposizioni del decreto, non sottostare a intimidazioni e minacce, rispondere alla repressione per rivoltarla contro è determinante. Farlo in maniera estesa, organizzata e coordinata è decisivo.
Il paese intero ribolle di iniziative e mobilitazioni, partendo da 25 aprile e primo maggio fino ad arrivare alla manifestazione del 31 maggio, passando per le manifestazioni settimanali in solidarietà alla Palestina. Queste devono essere occasioni per coordinarsi, per estendere la partecipazione e mettere in campo azioni di violazione, che devono essere propagandate e messe in collegamento in tutto il paese: violare zone rosse, fare picchetti e blocchi stradali sono solo alcune delle tante misure che si possono mettere in campo e che se fatte in maniera diffusa e organizzata creano un problema di ordine pubblico nel paese, di ingovernabilità che rivolta come un boomerang questa misura contro i suoi promotori.