Ribaltare ogni attacco repressivo del governo Meloni. Il 12 aprile 50mila in piazza per la Palestina a Milano
Erano in 50mila i manifestanti che da tutta Italia hanno riempito le strade di Milano in occasione della manifestazione per la Palestina indetta dai Giovani Palestinesi d’Italia il 12 aprile. Le parole d’ordine della piazza erano chiare: “fermare la macchina bellica e denunciare apertamente il genocidio in atto contro il popolo palestinese, perpetrato dall’entità sionista con la complicità attiva degli Stati Uniti e dell’Unione Europea”.
Una mobilitazione ampia, composita, con una grande partecipazione delle comunità arabe e che ha rafforzato il fronte de sindacati di base, delle forze sociali e politiche contrarie alla guerra, alla Nato, alla Ue, ai sionisti, al genocidio in Palestina e alle politiche guerrafondaie. Una giornata di lotta che ha preso di mira Giorgia Meloni e l’Italia come terzo esportatore di armi al mondo verso Israele.
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Non è un caso che le forze del disordine – alcune delle quali anche indossando felpe dei neonazisti polacchi – dopo aver provocato e infiltrato agenti in diversi punti della manifestazione, a un certo punto abbiano messo in campo un’operazione repressiva gratuita e premeditata per spezzare il corteo, seminare terrore tra una parte dei manifestanti e portarne sette in caserma. Un agguato più che una carica che non aveva alcun motivo di ordine pubblico, né tanto meno avvenuto in situazioni di particolare tensione. Questa la scena da polizia messicana al servizio di un governo che non sa più come contenere la mobilitazione popolare.
La manifestazione seppur spezzata si è quindi caratterizzata in un presidio durato fino alle 22:00 per richiedere la liberazione dei sette fermati. Cosa avvenuta a conclusione di una giornata di lotta importante che ha mostrato con chiarezza che per quanto dispiegata, la repressione non riesce a fiaccare la mobilitazione delle masse popolari, anzi fa emergere più chiaramente chi è il nemico e quali interessi tutelano la legalità e la giustizia borghese, aumenta la solidarietà, alimenta il coordinamento, accresce la combattività, spinge le masse popolari a organizzarsi meglio e a superare la paura.
Il corteo del 12 aprile ha però posto nuovamente la necessità di non cadere nei tranelli di chi vuole dividere il movimento popolare fra buoni e cattivi. Le strumentalizzazioni e le dissociazioni sono tipici strumenti della classe dominante, la ribellione e la solidarietà sono quelli del movimento operaio e popolare.
È per questo che risultano inaccettabili le posizioni emerse da organizzazioni politiche come Giovani Comunisti e alcuni sottogruppi delle organizzazioni palestinesi – prontamente smentiti dalle quelle ufficiali (leggi LINK) – che dopo la manifestazione hanno pensato bene di incolpare alcuni settori di corteo per gli scontri che ci sono stati, dissociandosi anche da ogni legittima reazione che questi hanno messo in campo a fronte di infiltrazioni, provocazioni e cariche ingiustificate della polizia.
Ogni ribellione o ogni iniziativa di lotta per impedire che l’azione repressiva del corteo fosse portata a termine e ogni iniziativa di solidarietà perché i sette compagni fossero liberati hanno mostrato l’unità e la convergenza del movimento di resistenza delle masse popolari, a partire dalla sua parte più avanzata, combattiva e organizzata. Criticarle è un’occasione persa per stare zitti oltreché un favore che si fa a quegli stessi guerrafondai ed eversori della Costituzione italiana che si dice di voler combattere.
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Ma la lotta non è finita il 12 aprile. Il governo Meloni dovrà pagare caro e amaro quest’ennesimo attacco repressivo. Questo vuol dire che le organizzazioni delle masse popolari, i loro sindacati, partiti e coordinamenti sempre più dovranno proseguire con la lotta e la mobilitazione. Dovranno difendere i diritti democratici praticandoli e quindi violando ogni divieto anticostituzionale. È così che faremo valere un principio decisivo ai fini della nostra lotta.
Se le masse popolari intraprendono la via della ribellione, dell’insubordinazione e della mobilitazione, non c’è legge, carica, infiltraggio, decreto o governo che tenga. Questi gli aspetti decisivi e urgenti per le masse popolari italiane, che dovranno vivere a partire dalle prossime mobilitazioni del 25 aprile e del 1° maggio. Avanti uniti!