Nel nostro paese c’è una folta schiera di intellettuali, di sinceri democratici e di organizzazioni politiche e sindacali che producono un pregevole lavoro di denuncia degli effetti della crisi. Questo è molto positivo: la gravità della situazione è entrata a far parte del senso comune corrente.
Tuttavia, c’è un risvolto negativo: senza uno straccio di soluzione e senza una linea per praticarla, la sovrabbondanza di denuncia finisce per alimentare rassegnazione e disfattismo.
Senza un piano d’azione per far fronte positivamente alla situazione e una linea per attuarlo, le masse popolari sono alla mercé della classe dominante e non possono che subirne l’iniziativa. In questa condizione non è possibile parare efficacemente i colpi, figuriamoci contrattaccare!
Valorizzando il lavoro di denuncia che fanno altri, noi ci occupiamo di aggiungere il pezzo che manca.
Abbiamo elaborato un piano d’azione che valorizza le mobilitazioni che le masse popolari oppongono già agli effetti della crisi e sfrutta i punti deboli e le contraddizioni della classe dominante per portare i lavoratori e le masse popolari al contrattacco, anche in una situazione in cui la forza del nemico è ancora preponderante.
Il nostro piano d’azione è aderente alla realtà, ma per essere efficace deve essere perseguito dalla parte già organizzata delle masse popolari. Deve diventare, almeno in una certa misura, anche il loro piano.
In estrema sintesi, il nostro piano d’azione consiste nel sostenere gli organismi operai e popolari affinché con la loro mobilitazione rendano ingovernabile il paese a ogni governo delle Larghe Intese e impongano il Governo di Blocco Popolare.
Ovviamente, non possiamo basare il nostro lavoro solo sul fatto di riuscire a convincere altri, gli organismi operai e popolari e a condividere il nostro piano d’azione e ad attuarlo, dobbiamo principalmente contare sulle capacità di attuarlo che noi stessi conquistiamo man mano che lo attuiamo.
Dato il particolare contesto determinato degli effetti della crisi e dalle manovre sconsiderate della classe dominante (Terza guerra mondiale e corsa al riarmo, ad esempio);
grazie all’articolato lavoro di denuncia informata rispetto alla gravità della situazione fatto da intellettuali, sinceri democratici e organizzazioni politiche e sindacali;
in ragione del fatto che le prossime settimane saranno caratterizzate anche dalle celebrazioni dell’80° anniversario della vittoria della Resistenza,
il mese di aprile è un contesto particolarmente favorevole per fare un salto nell’attuazione del nostro piano d’azione e in questo numero di Resistenza illustriamo i principali ambiti di intervento, le principali operazioni che conduciamo, i metodi e i criteri che utilizziamo.
È utile una premessa. Non esiste settimana di aprilein cui non siano previste due o tre iniziative o manifestazioni di carattere nazionale: da quelle che si svolgeranno a livello territoriale contro la Nato in occasione del 76° anniversario della sua fondazione (4, 5, 6 aprile) alla manifestazione nazionale di Roma del 5 contro guerra e riarmo indetta dal M5s (ma lo stesso giorno c’è anche quella indetta da Usb “abbassare le armi e alzare i salari”), passando dalla manifestazione nazionale del 12 a Milano in solidarietà al popolo palestinese e arrivando al 25 Aprile.
C’è poi una miriade di mobilitazioni territoriali e tematiche: ad esempio, in Toscana ci sono quelle delle popolazioni alluvionate, nella zona flegrea (Napoli) quelle delle popolazioni colpite dal bradisismo. In tutta Italia continuano le iniziative contro la repressione e l’approvazione del ddl 1660 e contro il genocidio sionista in corso in Palestina.
Quando questo numero di Resistenza sarà in diffusione, alcune di queste manifestazioni si saranno già svolte, ma quello che ci interessa trattare qui è il modo in cui le affrontiamo ai fini della lotta per il Governo di Blocco Popolare, come esempio valido per il prossimo periodo: siamo in una fase in cui la mobilitazione popolare va sviluppandosi e dispiegandosi e non di riflusso.
1. Indipendentemente da chi la promuove e da quale sia la piattaforma che la indice, ogni mobilitazione avanza rivendicazioni alle quali né il governo Meloni né nessun altro governo delle Larghe Intese darà soddisfazione.
Per fermare l’economia di guerra e il finanziamento al riarmo, per “abbassare le armi e alzare i salari”, per sospendere la collaborazione fra l’Italia e la colonia sionista d’Israele serve un governo che abbia la volontà di farlo e si dia i mezzi per farlo. L’unico governo del genere è il Governo di Blocco Popolare.
È dunque vero che non possiamo convincere nessuno che “ci vuole il Governo di Blocco Popolare”, ma è altrettanto vero che, nonostante le riserve e lo scetticismo verso il piano d’azione che promuoviamo, sia i promotori sia i partecipanti alle mobilitazioni sono spinti dal corso delle cose a fare un bilancio della loro esperienza.
Chiedere che il governo Meloni prenda misure contrarie agli interessi di chi lo ha installato e contrarie alla sua natura (è pur sempre una stalla piena di nostalgici del Ventennio e ammiratori dei fucilatori di partigiani) ha prodotto dei risultati?
2. Fra i promotori e i partecipanti alle mobilitazioni, c’è chi concorda: l’esperienza dimostra che chiedere al governo Meloni di prendere misure contrarie agli interessi di chi lo ha installato e contrarie alla sua natura è una strada senza uscita. E per questo pensa che serva fare un salto nella mobilitazione – ampiezza, radicalità, azioni militanti – per imporle quelle misure, anziché chiederle.
Questa idea apparentemente rivoluzionaria squalifica, però, con il minimalismo di un obiettivo parziale e temporaneo la combattività che vorrebbe sviluppare.
Un movimento popolare che ha abbastanza forza e ampiezza per rendere ingovernabile un paese imperialista come l’Italia non deve affatto limitarsi all’obiettivo di una singola, parziale e temporanea riforma, può e deve puntare puntare in alto, può e deve puntare al governo del paese!
3. Capita che fra chi auspica che il movimento popolare si allarghi, salga di tono, e aumenti di combattività e capacità militanti l’estremismo delle parole faccia il paio con la timidezza nel contendere il terreno alle Larghe Intese nelle piazze, nelle strade, nelle scuole e nelle aziende. Cioè nella pratica.
Un tipico esempio sono le manifestazioni del 25 Aprile. Negli ultimi anni, in particolare in alcune città, prima fra tutte Milano, il 25 Aprile è terreno di scontro aperto fra il campo delle masse popolari (movimento comunista, partiti e organizzazioni anti Larghe Intese e movimenti) e quello delle Larghe Intese (Pd e suoi cespugli, destra dei vertici dell’Anpi e della Cgil, galoppini e complici vari degli imperialisti Usa e Nato, dei sionisti e della Ue).
Siamo contrari a disertare le “manifestazioni ufficiali del 25 Aprile” per la presenza delle Larghe Intese, crediamo che disertare quelle piazze non sia un modo per distinguersi positivamente, ma un modo per abdicare al nostro ruolo e lasciare il campo libero alle manovre e alla propaganda dei nemici delle masse popolari.
Siamo per praticare un’altra strada: partecipare alle manifestazioni nella maniera più organizzata possibile, chiamando anche i lavoratori e le masse popolari a partecipare per cacciare “i corpi estranei”. Lo facciamo anche “da soli”, ma lavoriamo sempre affinché a farlo sia un fronte di forze il più ampio possibile. Non solo per essere numericamente più influenti, ma per fare di ogni contestazione un’occasione di organizzazione delle masse popolari e di coordinamento degli organismi, delle organizzazioni e dei partiti anti Larghe Intese. Questo è il fronte popolare che dobbiamo costruire per cambiare il corso delle cose.
È infine utile una prima e preliminare conclusione che non chiude il ragionamento, ma lo allarga ulteriormente. Nonostante siano perfettamente consapevoli del fatto che “cresce la confusione sotto il cielo”, molti di coloro che contribuiscono alla denuncia del cattivo presente sono convinti che la situazione non sia affatto eccellente.
Questo è il risultato di una combinazione di fattori, alcuni dei quali li abbiamo già trattati: abitudine a concepire l’azione delle masse come esclusivamente rivendicativa, sfiducia nella volontà e nella capacità combattiva delle masse, disabitudine o persino rifiuto di contendere il terreno alla classe dominante. Ma in definitiva è il risultato della mancanza di un piano d’azione.
Prendiamo seriamente in considerazione chi è scettico, sfiduciato e persino ostile al nostro piano, alla lotta per il Governo di Blocco Popolare, ed è proprio per questo che, anziché cercare di convincerlo che “abbiamo ragione noi”, gli chiediamo di esporre quale sia il piano alternativo che propone e come intende perseguirlo.
Il discorso, ovviamente, vale a maggior ragione per le organizzazioni e i partiti del movimento comunista e rivoluzionario.
Avere un piano e un programma di governo
1. Assegnare a ogni azienda compiti produttivi utili e adatti alla sua natura, secondo un piano nazionale. Nessuna azienda deve essere chiusa.
2. Distribuire i prodotti alle famiglie e agli individui, alle aziende e a usi collettivi secondo piani e criteri chiari, universalmente noti e democraticamente decisi.
3. Assegnare a ogni individuo un lavoro socialmente utile e garantirgli, in cambio della sua scrupolosa esecuzione, le condizioni necessarie per una vita dignitosa e per la partecipazione alla gestione della società. Nessun lavoratore deve essere licenziato, a ogni adulto un lavoro utile e dignitoso, nessun individuo deve essere emarginato.
4. Eliminare attività e produzioni inutili o dannose, assegnando alle aziende coinvolte altri compiti.
5. Avviare la riorganizzazione di tutte le altre relazioni sociali in conformità alla nuova base produttiva e al nuovo sistema di distribuzione.
6. Stabilire relazioni di solidarietà e collaborazione o di scambio con gli altri paesi disposti a stabilirle con noi.
7. Epurare gli alti dirigenti della Pubblica Amministrazione che sabotano la trasformazione del paese, conformare le Forze dell’Ordine, le Forze Armate e i Servizi d’Informazione allo spirito democratico della Costituzione del 1948 e ripristinare la partecipazione universale dei cittadini alle attività militari a difesa del paese e a tutela dell’ordine pubblico.