Da quando il servizio di leva obbligatoria è stato sospeso con la Legge Martino (n. 226 del 23.08.2004), è previsto che i comuni, entro il mese di gennaio, affiggano manifesti con i quali il sindaco rende noto l’obbligo di iscrizione nelle liste di leva. Il procedimento di formazione della lista è attivato in automatico dai comuni e riguarda tutti i giovani che dal 1° gennaio al 31 dicembre dell’anno in corso compiranno diciassette anni.
Non si tratta di una “chiamata alle armi”, è una formalità prevista dal Codice dell’ordinamento militare che stabilisce i casi e le modalità di ripristino del servizio militare obbligatorio.
In particolare, il servizio di leva “è ripristinato con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, se il personale volontario in servizio è insufficiente e non è possibile colmare le vacanze di organico mediante il richiamo di personale militare volontario cessato dal servizio da non più di cinque anni, nei seguenti casi: a) se è deliberato lo stato di guerra ai sensi dell’articolo 78 della Costituzione; b) se una grave crisi internazionale nella quale l’Italia è coinvolta direttamente o in ragione della sua appartenenza a un’organizzazione internazionale giustifica un aumento della consistenza numerica delle forze armate”.
Una formalità che, soprattutto nel contesto della Terza guerra mondiale che avanza, desta qualche preoccupazione. Numerose segnalazioni, infatti, sono giunte all’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università, dalle quali emerge che alcuni comuni (Bergamo, Catania, Chivasso, Ponte Canavese, Trevignano Romano, Vaglia) attribuiscono alle famiglie l’obbligo burocratico dell’iscrizione nelle liste. E questa, invece, pare una novità.
Riportare in auge una procedura amministrativa rimasta sottotraccia, assieme alla progressiva militarizzazione delle scuole e della società in generale, rientra nella propaganda di guerra del governo Meloni.
Si è riacceso anche il dibattito sull’opportunità di riattivare la leva obbligatoria, seppur ridotta a sei mesi (la cosiddetta “naja breve”), proposta avanzata dal deputato leghista Eugenio Zoffili e successivamente dal senatore Menia di FdI con l’obiettivo di “ridare ai ragazzi moralità, indirizzi e spingerli al rispetto delle norme”.
Per ora queste proposte di legge non hanno avuto seguito, ciò che invece sta andando avanti è il protocollo d’intesa tra il ministero dell’Istruzione e il dicastero degli Interni del 21 novembre 2024. L’obiettivo del protocollo è quello di contribuire alla formazione dei giovani con l’aiuto di polizia e forze dell’ordine.
Oltre a questo connubio tra polizia di Stato e scuola pubblica, sono molteplici le iniziative per portare esercito e polizia all’interno delle scuole italiane e avvicinare i giovani al “culto della guerra”. Tra queste c’è il concorso nazionale rivolto alle scuole superiori sul ruolo delle forze armate e del militare italiano: i candidati sono chiamati a esaminare “il militare italiano nel passato e nel presente, con particolare riferimento al suo ruolo nella società civile”. Gli studenti e le studentesse delle superiori potranno presentare l’elaborato entro il 28 febbraio.
A opporsi a tutto ciò c’è l’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università che sollecita “tutte le istituzioni scolastiche, docenti, genitori e studenti a rifiutare l’attuazione di questo protocollo e a cercare figure più qualificate e idonee per il raggiungimento degli obiettivi formativi volti al rispetto reciproco tra persone”. E invita i genitori, gli studenti e il personale scolastico tutto a entrare in contatto tramite il sito osservatorionomilscuola.com e a scaricare il vademecum per opporsi alle attività proposte alle istituzioni scolastiche da parte delle forze armate.