In breve. Processi e assoluzioni

Il 15 gennaio, a Perugia, si è conclusa con il non luogo a procedere l’udienza preliminare del processo a carico di dodici anarchici che nel 2021 furono inquisiti dalle procure di Milano e di Perugia (operazione “Sibilla”) per associazione sovversiva con finalità di terrorismo – sei di essi furono subito sottoposti a misure cautelari.
L’indagine era incentrata sul contenuto degli articoli della pubblicazione Vetriolo, ritenuta artificiosamente uno strumento dell’associazione sovversiva costituita da chi avesse avuto in qualche modo a che fare con la rivista.
Si è trattato di un tentativo – non il primo e neppure l’unico – di attaccare frontalmente il diritto di parola e di stampa e la libertà di espressione, ma l’impianto dell’indagine ha iniziato a scricchiolare fin da subito, da quando il Gip ha ridimensionato l’accusa: da associazione sovversiva con finalità di terrorismo a istigazione a delinquere aggravata dalla finalità terroristica.
L’inchiesta si è dunque progressivamente sgonfiata, ma ci sono voluti quasi quattro anni per chiuderla, anche perché uno degli imputati era Alfredo Cospito e proprio l’imputazione con l’aggravante del terrorismo del Tribunale di Perugia era presa a giustificazione per il suo confinamento al 41 bis.
Adesso il procedimento è chiuso, tuttavia Alfredo Cospito è ancora sottoposto al 41 bis e la notizia dell’esito del processo è relegata alla cronaca locale.

***

Si è concluso il 22 gennaio a Milano il processo a carico di Pablo Bonuccelli e Claudia Marcolini, accusati di essere gli autori della scritta “Fontana assassino” apparsa nel maggio 2020 sui muri di Milano.
Un processo durato tre anni, una farsa stancamente tirata per le lunghe in modo che la sentenza arrivasse in tempi lontanissimi rispetto al fatto contestato e al clima politico che lo aveva generato, in una fase in cui sui responsabili della gestione criminale della pandemia era già passata la spugna dell’archiviazione.
Durante il processo, il Pubblico Ministero ha provato a dimostrare che la rivendicazione politica della scritta equivalesse al concorso morale nel reato di averla fatta, ma la giudice non se l’è sentita di mettere la firma su un’aberrazione giuridica che sarebbe stata solo un’ulteriore gatta da pelare in un’inchiesta e un processo che avevano già superato la soglia del ridicolo.
Dunque la sentenza: l’assoluzione di Pablo e Claudia “perché il fatto non sussiste”.

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