Dopo l’omicidio di Ramy. Insabbiamenti e rivolte

La notte del 24 novembre, a Milano, i carabinieri hanno ammazzato Ramy Elgaml, un ragazzo di diciannove anni. Durante un inseguimento hanno speronato lo scooter con il quale, con un altro ragazzo, stava cercando di scappare da un controllo.
La notizia è volata e fin dalle prime ore del mattino – e per alcuni giorni – i parenti, gli amici, i conoscenti e “i ragazzi delle periferie” sono insorti contro i tentativi di insabbiamento promossi dai carabinieri e sostenuti dalla stampa a reti unificate. Scontri, lanci di bottiglie, fuochi d’artificio e bombe carta contro le forze dell’ordine, blocchi stradali e danneggiamenti dell’arredo urbano e dei mezzi pubblici.
“Milano come le banlieue di Parigi” titolavano i giornali. Per settimane televisione e giornali hanno cercato di strumentalizzare i fatti, parlando solo di immigrati borseggiatori e occupanti abusivi di case.
Volevano dimostrare chese il proletario italiano non ha la casa è perché ci sono gli stranieri che le occupano e non perché è stato svenduto il patrimonio immobiliare ai palazzinari. E che se non è sicuro girare in strada è per colpa dei ragazzi come Ramy, non della disoccupazione dilagante o della mafia della chiesa e delle cooperative sociali che speculano sull’immigrazione. Tutto per portare i lavoratori italiani a dire che sì, in fondo, i carabinieri hanno fatto bene a “speronare un delinquente” e, anzi, lo scudo penale per le forze dell’ordine non è poi una brutta pensata.
La verità è che senza quei disordini, senza quegli scontri, l’omicidio di Ramy sarebbe stato insabbiato. Invece la procura è stata costretta ad aprire un’indagine e dall’indagine, a spizzichi e bocconi, sono iniziati a emergere pezzi di verità. Come il video ripreso dalla macchina dei carabinieri dove si vede – e si sente – che lo speronamento era volontario e premeditato, ci hanno provato più volte. Come l’accertamento che al testimone dello speronamento i carabinieri hanno imposto di cancellare il video sul cellulare con cui aveva ripreso tutto.
Possiamo tirare una prima conclusione: solo la mobilitazione e i disordini hanno squarciato la menzogna e impedito l’insabbiamento dell’omicidio di Ramy. Tutti quelli che hanno condannato in coro “gli scontri” e “le violenze” o non hanno gli strumenti per capire in che paese vivono o lo sanno perfettamente, ma hanno interesse a difendere lo schifo che lo avvolge.

Quanto più montava la propaganda reazionaria, tanto più era palese che un’emergenza esiste davvero: quella del classismo e del razzismo di Stato, quella dell’impunità delle forze dell’ordine.
E così, a inizio gennaio, la rabbia è tornata nelle strade: “verità e giustizia per Ramy” era lo striscione che apriva il corteo a Milano; “vendetta per Ramy” era quello che apriva il corteo di Roma e che ha animato anche i cortei di Torino e di Bologna dove ci sono stati scontri per raggiungere le questure e i commissariati. Cortei che non si sono sciolti dopo le cariche, che hanno resistito e sono proseguiti. In questo modo il razzismo e il classismo di Stato sono diventati un problema di ordine pubblico, cioè un problema politico.
Governo, istituzioni, politicanti e media se la sono fatta sotto. Non avendo alcun argomento solido per affrontare la sana insorgenza contro il loro sistema, le loro speculazioni, il loro squallido richiamo alla legalità che tutela i ricchi e ammazza i poveri, hanno dovuto inventarsi le “trame oscure”.
Ogni strumento di disinformazione è stato impegnato nella costruzione di un nuovo nemico pubblico, un po’ egiziano un po’ No Tav, che per motivi non ben definiti ha l’unica missione di sovvertire lo Stato e il potere costituito. “A Roma e a Torino ci sono i professionisti della tensione”, “a Bologna è stata assaltata la sinagoga!”.
Manco a dirlo, i veri professionisti della violenza e della tensione hanno scientemente fatto circolare una balla, nessuna sinagoga è stata assaltata.
Possiamo tirare una conclusione più generale: quando c’è un ordine sociale ingiusto, il disordine è il primo passo verso un ordine sociale giusto.

La mobilitazione dopo l’omicidio di Ramy ha dimostrato che le masse popolari, immigrati e autoctoni, hanno gli stessi interessi e lo stesso nemico: i criminali che governano questo paese. Gli schiamazzi mediatici che sono seguiti non sono altro che una reazione goffa, nervosa e irritata a questo loro fallimento.

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