Il 17 gennaio, dopo giorni di annunci e smentite, è stato firmato l’accordo per un cessate il fuoco di sessanta giorni nella Striscia di Gaza.
L’accordo era sul piatto dal maggio scorso, ma i sionisti d’Israele si erano sempre rifiutati di accettare le condizioni della tregua, definendole “irricevibili”.
In effetti, la tregua è stata firmata senza che i sionisti abbiano raggiunto alcun obiettivo di quelli che avevano dichiarato: non sono riusciti a liberare “gli ostaggi” (anzi diversi sono morti sotto le loro bombe), non sono riusciti a occupare stabilmente e a controllare la Striscia (le azioni della Resistenza non si sono mai interrotte), non sono riusciti a “debellare Hamas” e le altre organizzazioni del fronte della Resistenza, non sono riusciti a piegare il popolo palestinese e non sono riusciti a “cambiare il volto del Medio Oriente” – come dichiarava il boia Netanyahu – neppure con le manovre che hanno esteso la guerra al Libano, alla Siria e all’Iran.
La Resistenza palestinese consegue invece obiettivi importanti. Oltre alla tregua dal massacro perpetrato dai sionisti, ottiene la liberazione di quasi 1.900 palestinesi prigionieri nelle carceri israeliane (fra cui anche bambini sottoposti ad arresto “amministrativo”), obiettivo dichiarato fin dall’inizio, fin dal contrattacco del 7 ottobre 2023. Non solo.
Le celebrazioni che si svolgono nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania per l’accoglienza dei prigionieri palestinesi liberati mostrano la determinazione e la vitalità di un popolo che non è stato domato, tanto che l’esercito sionista di occupazione ha lanciato sulla Striscia di Gaza volantini che intimano alla popolazione, rientrata nel corso dei giorni in un territorio devastato, di evitare scene di giubilo che non sarebbero più tollerate e causerebbero la reazione dell’esercito di occupazione.
Anche il rilascio dei prigionieri israeliani è diventato per la Resistenza palestinese occasione per mostrare alle masse popolari e ai popoli del mondo (non solo agli occupanti) sia la forza e le capacità logistiche, sia la profonda differenza che la distingue dal nemico. Al netto di quelli ammazzati sotto i bombardamenti sionisti, i prigionieri israeliani si mostrano in salute e, molti di loro, sorridenti. I prigionieri palestinesi sono invece visibilmente segnati dalla fame e dalle torture fisiche e psicologiche.
È anche di fronte alla “prova del nove” dello scambio di prigionieri che divampa la crisi politica in Israele.
In polemica con la decisione di firmare l’accordo di cessate il fuoco si è dimesso il ministro per la sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir – fautore della guerra a oltranza – e il suo partito, Potere Ebraico, è uscito dal governo. Il ministro delle finanze Bezalel Smotrich, capo del partito Sionismo Religioso, ha promesso di dimettersi e uscire dalla maggioranza se la guerra non riprenderà, dopo la prima fase della tregua, con la completa occupazione di Gaza e l’imposizione di un protettorato militare sionista. Questa defezione, sommata a quella di Potere Ebraico, farebbe cadere il governo.
La firma dell’accordo per il cessate il fuoco è quindi una grande vittoria della Resistenza e del popolo palestinese e una grave sconfitta per i sionisti e gli imperialisti Usa ed europei.
Attenzione però: la tregua non è la pace, è una vittoria tattica. Finché esisterà lo Stato illegittimo d’Israele non è possibile nessuna pace: né in Palestina né in Medio Oriente né nel resto del mondo.
Anzi, pur di limitare gli effetti della crisi politica che li attanaglia, i sionisti d’Israele si metteranno alla testa di manovre, complotti e operazioni per far saltare l’accordo o violarlo deliberatamente.
Va in questo senso l’operazione “Muro di ferro”, lanciata in Cisgiordania solo tre giorni dopo l’inizio della tregua a Gaza. Nel momento in cui scriviamo ha già fatto decine di morti, in particolare con un attacco molto duro su Jenin.
In risposta, Hamas ha lanciato un appello alla mobilitazione generale in Cisgiordania, con un comunicato in cui accusa anche l’Autorità Nazionale Palestinese (Anp) di aperto collaborazionismo con i sionisti.
Nell’accordo per il cessate il fuoco nella Striscia di Gaza, la maggioranza dei prigionieri palestinesi di cui la Resistenza ha richiesto il rilascio sono appartenenti a Fatah, partito che guida l’Anp. È una dimostrazione che la lotta contro la complicità dei vertici dell’Anp con i sionisti non scoraggia il fronte della Resistenza a perseguire la lotta per l’unità nazionale palestinese.
Con il cessate il fuoco non termina dunque la guerra, ma si apre una nuova fase in cui la mobilitazione delle masse popolari nei paesi imperialisti in solidarietà alla Resistenza e al popolo palestinese, contro l’entità sionista e contro la Terza guerra mondiale assumerà un ruolo ancora maggiore di quello che ha avuto in questi quindici mesi.
L’aspetto decisivo di questa fase si riassume nel fatto che le masse popolari dei paesi imperialisti raccolgano il testimone che il popolo palestinese e i popoli del Medio Oriente – dal Libano allo Yemen all’Iraq – hanno gloriosamente portato fin qui e che ci consegnano.