La crisi sul fronte interno è il tallone d’Achille dei gruppi Usa

Usa in fiamme. Approfittiamone per liberare il nostro paese

I gruppi imperialisti Usa sono alla canna del gas. Dopo quasi due settimane la California continua a bruciare. Al momento Si contano almeno 27 morti e altrettanti dispersi. Oltre 170.000 sono le persone evacuate e 13 milioni quelle sotto allerta per i roghi che hanno coinvolto migliaia di ettari di suolo e inghiottito altrettante case.

Tra le cause del disastro si fa strada l’ipotesi della scarsa, per non dire inesistente, manutenzione alle reti e infrastrutture, da anni causa di incidenti e disastri che mettono in ginocchio le masse popolari del paese. L’Amministratore delegato della società che si occupa del monitoraggio delle forniture elettriche ha ammesso che sono stati rilevati diversi guasti in prossimità delle zone devastate dalle fiamme. Tanto è vero che le assicurazioni nello Stato da tempo hanno smesso di dare copertura per danni da incendi.

Ad aggravare ulteriormente la situazione di una zona già di per se ad alto rischio, si aggiunge lo smantellamento del servizio antincendio: la dotazione per il dipartimento antincendio è stata tagliata di oltre 17 milioni, sono stati tolti 100 milioni di dollari ai programmi anti-incendi e ridotti i fondi per le emergenze climatiche. A renderlo evidente da una parte le notizie dell’impiego di vigili del fuoco privati al soldo di chi poteva permetterseli, dall’altra le immagini di carcerati volontari impiegati a sostegno di servizi antincendio insufficienti con i i proletari sono costretti a guardare le proprie case bruciare. Questo l’emblema della crisi politica e dell’incapacità strutturale da parte della borghesia di dirigere e gestire la società. Un disastro che non riguarda solo le reti di trasporto e le infrastrutture ma ogni aspetto della vita delle masse popolari.

Non solo la California crolla su se stessa: la rete connettiva che tiene uniti gli Usa, soprattutto nei trasporti ferroviari e via strada, miete feriti e vittime quotidianamente. Nel 2021 lo U.S. Government Accountability Office (Gao) indicava come potenzialmente a rischio crollo o danni strutturali per cause legate alla loro costituzione o al contesto ambientale un ponte su quattro nel paese. E infatti il 26 marzo del 2024 il Francis Scott Key Bridge di Baltimora è collassato dopo l’impatto con una nave portacontainer. L’incidente ha riacceso i riflettori sul fatto che incuria e scarsa manutenzione siano alla base della “fragilità” della rete connettiva che tiene uniti gli Usa, soprattutto nei trasporti ferroviari e via strada.
Ma non è l’unico caso. Nel 2022 un incidente ferroviario in Michigan ha causato 4 morti, e il deragliamento di un treno nel 2023 a East Palestine, Ohio, ha suscitato scalpore per il fatto che molti cittadini del luogo si sono sentiti male dopo che un incendio ha rilasciato nell’aria diversi inquinanti.
In una valutazione del 2021 l’American Society of Civil Engineers rilevava un buco negli investimenti infrastrutturali di quasi 2.600 miliardi di dollari tra pubblico e privato a fine 2020, sottolineando come questo avrebbe potuto causare, la perdita di 10mila miliardi di dollari di Pil in 20 anni, una media di 500 miliardi di dollari l’anno, a causa di ritardi, incidenti, capacità di trasporto insoddisfatte e costi gestionali straordinari. Questo lo specchio della profonda crisi in cui versano gli Usa.

Contro questo disastro cresce in tutto il paese la ribellione e l’organizzazione delle masse popolari. A metà dicembre i lavoratori Amazon sono stati protagonisti dello sciopero promosso dal sindacato International Brotherhood of Teamsters (IBT) per il riconoscimento ufficiale della sigla sindacale e l’apertura di un tavolo di trattativa per un contratto di lavoro collettivo che garantisca salari dignitosi, turni di lavoro dignitosi. In California, Illinois, New York e Georgia sono stati organizzati picchetti che si sono estesi agli impianti di New York, Atlanta, della California meridionale, di San Francisco e di Skokie per poi diffondersi anche in centinaia di centri di distribuzione locali.

Per gli stessi motivi nel periodo di Natale anche i lavoratori di Starbucks di Chicago, Los Angeles e Seattle sono entrati in sciopero obbligando alla chiusura prolungata la maggior parte delle caffetterie. A questo si aggiunge l’ondata di sostegno e solidarietà nei confronti di Luigi Mangione accusato dell’omicidio del Ceo della Healthcare, la più grande compagnia di assicurazioni sanitarie degli Usa e le manifestazioni, come quella dello scorso 18 gennaio a Washington e in altre città, contro l’insediamento di Trump, a tutela dei diritti delle donne e del diritto all’aborto.

I gruppi imperialisti Usa non riescono più ad assicurare gli interessi nemmeno dei più ricchi, figurarsi quelli delle masse popolari. Da una parte quindi investono in repressione (ai tagli per i servizi antincendio in California ad esempio corrispondono maggiori spese per la polizia), mentre dall’altra tentano di gestire la crescente ingovernabilità interna con la politica estera. Ma per quanto tentino, continuano a fallire.

La verità è che nel paese la ribellione delle masse popolari continua a crescere. Questo sia che Trump e Biden facciano a gara per intestarsi un ruolo nell’accordo per il “cessate il fuoco” di Gaza, sia che Biden lanci allarmi su un’oligarchia che […] minaccia la nostra intera democrazia, i nostri diritti e libertà e un’equa possibilità per tutti di andare avanti, o che Trump blateri di annettere e conquistare nuovi paesi agli Usa o comprare stati come Panama, il Canada o la Groenlandia.

La crisi sul fronte interno è il tallone d’Achille dei gruppi Usa. Essa apre contraddizioni e possibilità che organizzazioni, movimenti e reti che si battono contro l’occupazione Usa del nostro paese devono cogliere e sfruttare a pieno. In questa situazione la lotta per spezzare il ruolo di protettorato Usa dell’Italia (sancito dal Patto Atlantico del 1949, dall’Accordo di Washington Italia-Usa del 1950, dall’Accordo di Roma sulla sicurezza reciproca del 1952 e dall’Accordo bilaterale sulle infrastrutture del 1954) può e deve muovere importanti passi.

Organismi e movimenti come il Coordinamento nazionale No Nato, No Muos, A Foras, Uomini e donne contro la guerra, le varie anime del movimento di solidarietà con la resistenza palestinese e tutte le organizzazioni operaie, popolari, politiche e sindacali che vogliono lottare in maniera efficace contro il coinvolgimento dell’Italia nelle politiche guerrafondaie promosse e dirette dal complesso economico militare Usa, hanno un’importante opportunità di marciare unite e colpire il nemico sempre più forte per avanzare nella battaglia di liberazione del nostro paese dall’occupazione di Usa, Ue e sionisti.

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