Abolire il 41 bis

A Perugia crolla il teorema contro gli anarchici accusati di terrorismo

Il 15 gennaio si è conclusa con il non luogo a procedere l’udienza preliminare che si è svolta a Perugia per il processo a carico di 12 anarchici che nel 2021 furono inquisiti dalle procure di Milano e di Perugia (operazione “Sibilla”) per associazione sovversiva con finalità di terrorismo – sei di essi furono subito sottoposti a misure cautelari.
L’indagine girava attorno al contenuto degli articoli della pubblicazione Vetriolo, ritenuta artificiosamente uno strumento dell’associazione sovversiva costituita da chi avesse in qualche modo a che fare con la rivista.
Si è trattato di un tentativo – non il primo e neppure l’unico – di attaccare frontalmente il diritto di parola e di stampa e la libertà di espressione, ma l’impianto dell’indagine ha iniziato a scricchiolare fin da subito, da quando il Gip ha ridimensionato l’accusa: da associazione sovversiva con finalità di terrorismo a istigazione a delinquere aggravata dalla finalità terroristica.
L’inchiesta si è dunque progressivamente sgonfiata, ma la ci sono voluti quasi 4 anni per chiuderla, anche perché uno degli imputati era Alfredo Cospito e proprio l’imputazione con l’aggravante del terrorismo del tribunale di Perugia è stata usata fra le argomentazioni per giustificare il suo confinamento al 41 bis.
Adesso il procedimento è chiuso, è chiaro anche dall’operato delle autorità giudiziarie stesse che la macchinazione era un buco nell’acqua (ovviamente le autorità giudiziarie non possono ammettere che si trattasse di un teorema persecutorio contro il movimento rivoluzionario), tuttavia Alfredo Cospito è ancora sottoposto al 41 bis e la notizia dell’esito del processo è relegata alla cronaca locale.

Sulla falsa riga del precario impianto accusatorio che teneva in piedi “l’operazione Sibilla”, nel 2023 le autorità giudiziarie hanno provato a sferrare un altro attacco, del medesimo tenore, contro la libertà di stampa e d’espressione: ancora una volta partendo dal movimento anarchico, con l’operazione “Scripta Scelera”, sono stati imputati nove anarchici per associazione sovversiva con finalità di terrorismo per l’indagine attorno alla rivista Bezmotivny. Anche in questo caso, l’accusa di associazione sovversiva è caduta subito, sono rimaste in piedi le accuse di stampa clandestina e offesa all’onore al Presidente della Repubblica (sic!).

Entrambe le inchieste rientrano nello spettro dei reiterati tentativi della classe dominante di istituire lo stato d’emergenza dietro il pretesto del terrorismo per restringere gli spazi di agibilità politica per le masse popolari a fronte della mobilitazione spontanea che esse oppongono alla vera emergenza in corso: l’aggravamento degli effetti della crisi generale del capitalismo, lo sviluppo della Terza guerra mondiale e la guerra di sterminio non dichiarata che la classe dominante conduce contro le masse popolari anche nel nostro paese.
Tuttavia lo zelo e la continuità con cui le autorità borghesi perseguitano chi non si arrende, chi resiste, chi promuove e organizza la ribellione delle masse popolari ha anche un effetto positivo: educa alla resistenza e alla lotta, forgia alla guerra. Le dichiarazioni spontanee che gli imputati hanno fatto durante l’udienza preliminare del 15 gennaio ne sono una dimostrazione.
Il processo di Perugia non si è concluso con il non luogo a procedere in ragione di un ravvedimento delle autorità giudiziarie, il non luogo a procedere è il risultato della mobilitazione e della condotta degli imputati.
Citiamo qui solo la grande mobilitazione in solidarietà ad Alfredo Cospito che si è sviluppata nel 2023 in tutto il paese, coinvolgendo anche un pezzo della società civile e assumendo un carattere popolare, ma il discorso di fondo riguarda la concezione con cui si affronta la repressione. L’operazione Sibilla è crollata perché gli accusati sono diventati accusatori, hanno usato ogni occasione per alimentare la lotta e per denunciare il ruolo della classe dominante, perché non si sono fatti né intimidire, né lusingare dalla classe dominante.
In questo senso, oltre che essere una vittoria per tutti coloro che hanno cuore la libertà di stampa, di espressione e di parola, il processo di Perugia è stato anche un esempio per chi è colpito e sarà colpito dalla repressione: quali che siano le accuse, i pretesti, le montature, le “prove” che il nemico sostiene di avere in mano, anche nelle mani del nemico è possibile infliggergli colpi e rafforzare la lotta per liberarsene.

Nel contesto in cui il governo Meloni è attraversato dalle inchieste, si fa garante dei criminali sionisti (immunità per Netanyahu, nell’eventualità che venga in Italia, e per il generale Ghassan Alian, che in Italia c’è venuto), invoca lo scudo penale per le forze dell’ordine e sgomita per l’approvazione del ddl 1660, in un contesto in cui proseguono depistaggi e insabbiamenti per proteggere gli autori dei pestaggi di massa e le torture nelle carceri e i tribunali sono saturi di procedimenti contro attivisti e militanti, in un contesto in cui è evidente che l’emergenza terrorismo è una balla per mettere sotto il tappeto l’emergenza povertà, precarietà ed esclusione sociale e le città stanno diventando zone rosse, emerge, dirompente, l’esigenza di una nuova legalità, una legalità di classe. E non ci sono inchieste o teoremi giudiziari che possano impedire a questa esigenza di emergere e di svilupparsi come parte integrante della lotta di classe.

Grandi e piccoli attacchi all’agibilità politica e alla libertà di parola
È utile considerare le profonde differenze rispetto ai processi di cui abbiamo parlato, ma anche due compagni del P.Carc sono invischiati in un processo in cui, al di là delle accuse tragicomiche, l’eventuale condanna sarebbe una picconata alla libertà di parola e di espressione e un restringimento degli spazi di agibilità politica. È il processo per la scritta Fontana assassino che nel 2020 è comparsa sui muri di Milano.
Alla comparsa della scritta ci pensarono i giornali a creare il clima di emergenza evocando il terrorismo (nel contesto della gestione criminale della pandemia): una scritta veniva equiparata a una minaccia, a una istigazione a delinquere: secondo i giornali la Procura di Milano, stesso giudice del teorema Sibilla, Nobili, “prese in mano il fascicolo” e la Prefettura dispose la scorta per Fontana.
Poi, nel 2023, è iniziato il processo. Gli imputati sono i compagni che hanno rivendicato politicamente la scritta a nome del P.Carc, ma non essendoci prove che fossero anche gli autori materiali della scritta, il processo è diventato una farsa fin dalla prima udienza: delle accuse di terrorismo non c’è più traccia, sono svanite prima di varcare la soglia della Procura, c’è l’accusa di imbrattamento, ma non ci sono le prove che a imbrattare fossero stati gli imputati. Da qui la formulazione del PM di una sorta di concorso morale.
Il 22 gennaio alle 15:30 si terrà quella che probabilmente è l’ultima udienza. L’eventuale pena prevista è ridicola, ma più che la pena, ciò su cui è utile ragionare è l’impianto accusatorio che scriverebbe una pagina inedita: concorso morale in imbrattamento, l’unica motivazione possibile per una condanna sarebbe la condivisione, da parte degli imputati, del contenuto della scritta.
Saremo in presidio al tribunale di Milano dalle 15.

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