Lo scorso 19 dicembre Cecilia Sala, giornalista de Il Foglio, è stata arrestata in Iran con l’accusa di aver violato le leggi islamiche. Tre giorni prima – il 16 dicembre – a Malpensa era stato arrestato su mandato degli Stati Uniti Mohammed Abedini Najafabadi, ingegnere iraniano accusato di aver introdotto, tramite società di facciata, armi e strumenti tecnologici in Iran.
Da subito i media di regime hanno legato le due vicende e l’incarcerazione della Sala è stata presentata come una mossa dell’Iran per fare pressione sull’Italia. Ma al momento non c’è richiesta formale da parte dell’Iran di liberare Abedini in cambio del rilascio della Sala. Anzi il governo di Teheran ha affermato che non c’è alcun legame tra le due vicende. Ad ogni modo per quanto riguarda la sottomessa Repubblica Pontificia è più che evidente che la decisione finale su un eventuale rilascio o estradizione di Abedini spetterà agli Usa.
Abedini è accusato dal governo americano di aver sostenuto con il suo lavoro il Corpo delle Guardie della Rivoluzione islamica, organizzazione ritenuta terroristica dagli Usa ma non da Italia ed Europa. Abedini non è quindi accusato di alcun crimine nel nostro paese ma all’Italia spetta obbedire agli ordini degli Usa, ultimo dei quali il rigetto degli arresti domiciliari in attesa di estradizione. Il Corriere fa sapere infatti che il Dipartimento di giustizia americano ha scritto ai giudici milanesi “Non azzardatevi a metterlo ai domiciliari, voi italiani in cinque anni vi siete già fatti scappare dai domiciliari sette estradabili (a cominciare dal russo Artem Uss) sui quali avevamo buttato sudore e sangue”.
Non è nostra intenzione promuovere una campagna di opinione su Cecilia Sala, giornalista asservita agli Usa e alle larghe intese che ha avuto modo in più occasioni di omaggiarli con i suoi servigi (vedi, tra i tanti, l’articolo del 2022 in cui dichiarava che i russi al fronte combattevano scalzi), questa vicenda, per quanto ci riguarda, è rilevante perché mostra in tutta la sua chiarezza il rapporto di sottomissione che il governo italiano ha verso gli imperialisti Usa e i sionisti.
Negli ultimi giorni, dopo il colloquio con la Meloni, la famiglia di Cecilia Sala ha chiesto il silenzio stampa. Una famiglia, tra l’altro, pienamente integrata nel sistema di potere del nostro paese e una richiesta provvidenziale, perché alzare l’attenzione sulla vicenda avrebbe significato parlare della sudditanza del governo italiano agli imperialisti Usa.
Non solo Sala e Abedini. Pochi giorni dopo un’altra vicenda ha fatto emergere la fedeltà delle Forze dell’ordine italiane agli imperialisti Usa e sionisti. Il calciatore belga Stephane Omeonga è infatti stato arrestato a Fiumicino dalla polizia italiana, durante uno scalo aereo, con la sola “accusa” di essere sulla black list di Israele. In questa occasione le Forze dell’Ordine italiane sono state ligie a tal punto da muoversi senza mandato e richiesta specifica, solo per evitare persone sgradite ai sionisti.
Nel nostro paese gli Usa godono di maggiore libertà d’azione che in qualsiasi altro paese europeo: dispongono di un gran numero di basi militari, si avvalgono di agenzie politiche e spionistiche, hanno una rete di loro agenti, danno il loro benestare ai capi del governo e influenzano, direttamente o indirettamente, la politica dello Stato ufficiale. Questo da quando nel 1949, con la creazione della Nato, l’Italia è diventata un protettorato Usa, in aperta violazione all’articolo 11 della Costituzione del 1948.
Protettorato di cui da decenni i governi italiani evitano di parlare. Anche il vecchio PCI diretto dai revisionisti moderni capeggiati da Togliatti, ha sempre cercato di evitare che se ne parlasse (al pari della questione del ruolo del Vaticano), fino ad arrivare con Berlineguer a esaltare “la protezione dell’ombrello della NATO”. Condizione questa che si è combinata ulteriormente con la “gabbia dell’UE” in cui gli imperialisti italiani sono sempre più profondamente coinvolti.
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Un governo italiano che voglia fare davvero gli interessi delle masse popolari deve quindi fare i conti con questi poteri, rompendo la sottomissione e affermando la propria sovranità. Necessariamente può farlo solo sulla base di una pratica radicata e diffusa delle masse popolari del paese, su cui appoggiarsi. Pratica che già oggi si afferma in diverse forme nelle lotte per fermare la guerra esterna e interna, che in comune hanno la necessità di cacciare gli occupanti Usa, Ue e sionisti e affermare la sovranità nazionale.
La lotta contro la Nato e la militarizzazione del territorio è la lotta per una politica militare non asservita agli interessi di Usa e sionisti (leggi anche è nato il Coordinamento nazionale No Nato); la lotta per il rinnovo del CCNL e contro la “finanziaria della guerra” è lotta contro le imposizioni e i vincoli imposti dalla Comunità europea dei gruppi imperialisti; le battaglie in corso in tutto il paese (Stellantis in primis) contro lo smantellamento e la dismissione dell’apparato produttivo è lotta per un lavoro utile e dignitoso e che garantisca produzioni utili e necessarie al paese; le mobilitazioni contro il Vaticano e il suo potere tentacolare in ambito abitativo, sanitario, educativo sono lotte per affermare il diritto pubblico e universale a casa, sanità e educazione.
Tutte queste sono lotte che parlano della necessità di un governo che metta al centro la sovranità nazionale. Per liberarsi dai loro occupanti, a partire dal governo Meloni, la via che le masse popolari devono imboccare è quella di sviluppare ed estendere ognuna delle mobilitazioni in corso, di promuoverne il coordinamento per avanzare verso l’obiettivo comune.