Pubblichiamo l’intervista di Massimiliano Generutti, responsabile USB Lavoro Privato Friuli Venezia Giulia, per diffondere l’esperienza dei lavoratori del Porto di Trieste nel quadro dell’organizzazione e della lotta per la sicurezza sul lavoro e contro il traffico di armi e la Terza guerra mondiale che la Comunità Internazionale dei gruppi imperialisti USA, UE e sionisti sta dispiegando su più fronti.
L’intervista evidenzia in primo luogo gli importanti problemi della sicurezza sul lavoro a partire dal porto di Trieste in cui emerge da una parte la responsabilità delle grandi aziende nel quadro dello smantellamento di siti produttivi (stabilimenti e capannoni lasciati marcire, macchinari vecchi e pericolosi, linee produttive degradate, procedure pericolose, ritmi di lavoro condensati, taglio dei (pochi) fondi per la manutenzione ordinaria, risparmio sulla qualità dei materiali, ecc) e della mancanza di sicurezza su cui influisce il sistema degli appalti e dei subappalti. Insieme a questo emerge la costante latitanza degli istituti preposti nello svolgere i controlli dell’applicazione delle norme di legge; il collaborazionismo tra istituzioni governative locali e nazionali e delle autorità portuali con le aziende; il ruolo delle forze dell’ordine che si occupano di intimidire i lavoratori e i sindacati che si oppongono a questo processo
Dall’altra illustra alcune importanti e significative esperienze di protagonismo dei lavoratori e dei sindacati nel fare fronte alla situazione e nel lottare azienda per azienda, nel comparto produttivo del porto di Trieste e non solo per elevare l’organizzazione e la risposta operaia. Per completezza e per approfondire, invitiamo a prendere visione dell’intervento che M. Generutti ha tenuto durante il dibattito operaio sulla sicurezza sul lavoro in occasione della Festa della Riscossa Popolare a Milano (dal minuto 1:41:00).
Questa esperienza mostra che
1. l’aspetto determinante per la tutela della salute e della sicurezza sui posti di lavoro sono il protagonismo, l’organizzazione e il coordinamento dei lavoratori dentro e fuori i posti di lavoro. Creare in ogni posto di lavoro organismi di lavoratori che ne impongono il rispetto, l’applicazione e il miglioramento è la linea immediatamente pratica e concreta da seguire, consapevoli che, in termini di soluzione e di prospettiva, l’unica vera sicurezza sul lavoro sarà quella garantita dal controllo operaio e dei lavoratori dentro e fuori i posti di lavoro. Ci sono mille forme di lotta che i lavoratori possono attuare, dallo sciopero, ai picchetti ma anche molte forme senza perdere il salario e sono efficaci, come anche riportato nella lettera alla Redazione di Resistenza Scioperi senza picchietti?,tra cui il rispetto ossequioso dei carichi di lavoro come fatto proprio al Porto di Trieste. Questione decisiva è il grado di combattività e la volontà di vincere di chi promuove la mobilitazione.
2. La sicurezza sul lavoro è diventata oggetto dell’iniziativa dei sindacati confederali e dei sindacati alternativi e di base, come dimostrano le tante iniziative dentro e fuori le aziende in crescendo negli ultimi mesi. Rispetto al ruolo che hanno e che possono assumere ulteriormente si tratta di superare lo spirito di concorrenza in favore dell’unità d’azione, della concatenazione delle mobilitazioni e del coordinamento degli organismi che sono attivi in difesa della sicurezza sul lavoro, contro lo smantellamento delle industrie e di interi settori, la precarietà, i salari da fame, ecc. Il discorso non riguarda solo le reciproche relazioni fra i partiti e le organizzazioni politiche e sindacali di base, ma anche il settarismo verso la Cgil, che è l’unica organizzazione sindacale in grado di mobilitare una considerevole parte dei lavoratori.
Gli scioperi e le mobilitazioni del 29 novembre e del 13 dicembre, le agitazioni per il rinnovo dei contratti nazionali (fra gli altri è in ballo anche quello dei metalmeccanici) e la lotta contro lo smantellamento dell’apparato produttivo, a partire da Stellantis, hanno segnato le ultime settimane del 2024 e sono premessa per lo sviluppo della mobilitazione popolare nel 2025. Che ciò accada non può dipendere (solo) dai vertici delle organizzazioni sindacali – né di quelle confederali né di quelle di base: serve che i lavoratori più avanzati, indipendentemente dai sindacati di appartenenza, diano continuità alla mobilitazione dal basso. Non importa quali saranno i risultati immediati: il principio da seguire è che se qualcuno la promuove, la mobilitazione si sviluppa; se qualcuno la alimenta, la combattività cresce.
3. La mobilitazione per la sicurezza sul lavoro è un campo importante per estendere e sviluppare la mobilitazione e il coordinamento per impedire che i porti vengano utilizzati per il trasporto e il traffico di armi.
L’esperienza dei lavoratori dei porti di Trieste, di Genova e di Livorno e di altri lavoratori dei paesi europei mostrano e sono un esempio nel campo delle masse popolari, dell’importanza di costruire iniziative che rafforzano l’organizzazione, estendono la mobilitazione, allargano il coordinamento, elevano la coscienza, ampliano gli obiettivi e il raggio d’azione. La questione della sicurezza sul lavoro così come l’opposizione alla guerra sono temi prettamente politici, che riguardano direttamente il governo del paese.
4. Rispetto allo sviluppo di una prospettiva si tratta di combattere tra la classe operaia, tra le masse popolari e tra le organizzazioni sindacali e politiche la sfiducia e il disfattismo, estendere e rafforzare l’organizzazione degli operai, elevare il loro orientamento e allargare la loro azione.
Anche la lotta degli operai per porre fine alla distruzione di posti di lavoro e di fabbriche, per difendere i diritti sindacali e politici conquistati e i Ccnl può avere successo solo se si sviluppa su larga scala. Di fronte allo smantellamento dell’apparato produttivo i focolai di resistenza e potenziale ribellione sono moltissimi, a partire dagli stabilimenti di Stellantis e dell’indotto (centinaia di migliaia di posti lavoro che sono sotto attacco), ma questo vale per la gran parte dei principali settori produttivi come la siderurgia, la produzione di elettrodomestici, la movimentazione delle merci (porti, logistica), ecc.
Si tratta, infine, di superare la convinzione che l’unico ruolo che le masse popolari organizzate possono assumere verso il governo è quello di rivendicare, in un contesto e in una fase in cui, invece, l’unica alternativa realistica al marasma in cui siamo immersi è che le masse popolari organizzate assumano il ruolo di nuova classe dirigente del paese.
Ci sono diversi ostacoli da superare per far compiere al movimento pratico dei lavoratori e delle masse popolari il salto di cui c’è bisogno e per il quale esistono le condizioni, ma si tratta di affrontarli con piccoli passi concreti, con spirito di iniziativa e di conquista. Questo è il miglior modo per misurarsi con le sfide che abbiamo di fronte e avanzare verso la cacciata delle Larghe Intese a partire dal governo Meloni e proseguire con la costituzione di un Governo di Blocco Popolare.
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Qual è la situazione dei lavoratori del Porto di Trieste?
Gli addetti portuali sono circa 1.700 suddivisi in diverse imprese. Tra queste, 18 hanno in concessione le aree demaniali e le banchine (regolamentate dall’art.18 della Legge n° 84 del 28.01.1994 – Ndr) e un’altra quarantina si occupano delle operazioni portuali (regolamentate dall’art.16 della Legge n° 84 del 28.01.1994 – Ndr) i cui lavoratoti, a cui viene affidato un segmento di lavorazione specifica come la gestione di un magazzino logistico per un terminalista, definiamo gli “schiavi degli art.18”. A questi si aggiungono i lavoratori interinali che svolgono il Lpt – Lavoro portuale temporaneo (regolamentato dall’art. 17 della Legge n° 84 del 28.01.1994 – Ndr) che, come prevede la legge, può essere gestito da una sola impresa. Gli interinali vengono utilizzati quando c’è una commessa di lavoro troppo grande ma a Trieste c’è sempre stato un “accordo tra gentiluomini” secondo il quale dopo due anni di anzianità i lavoratori a tempo vengono stabilizzati in “somministrati” del porto.
In questo quadro, l’impresa terminalista più grande è la TMT – Trieste Marine Terminal S.p.a. (all’80% di MSC) che si occupa della movimentazione dei container. Ha 130 lavoratori operativi circa ma possono arrivare fino a 100 gli avviamenti di lavoratori a tempo per svolgere le mansioni di movimentazione dei container.
Le condizioni di lavoro per la sicurezza come sono?
La sicurezza nel porto di Trieste è un po’ complicata. Ricordo benissimo l’assemblea di due anni fa, fatta nella Sala delle Colonne all’interno dell’Autorità portuale e successiva alla morte di Paolo Borselli, caduto in mare col carrello elevatore e recuperato dopo quattro ore dalla scomparsa. Dopo due ore si sono accorti che mancava, l’hanno cercato e attraverso la visione delle telecamere di sicurezza hanno verificato che era caduto in acqua: i Vigili del fuoco l’hanno poi recuperato. Durante l’assemblea era emerso chiaramente che mancava l’ascolto da parte degli RSPP aziendali, delle Istituzioni che devono vigilare sulla sicurezza del porto, della Capitaneria di porto, dell’Ispettorato del lavoro e dell’azienda sanitaria. I lavoratori avevano espresso un elenco enorme di carenze di sicurezza di cui l’Autorità portuale prese nota. A seguito di un centinaio di mail inviate all’azienda sanitaria, avevano ottenuto solo due o tre risposte; le altre 97 mail erano state ignorate e quando è stata sollecitata la risposta ci è stato risposto che non usavamo i moduli previsti per le segnalazioni. Se non usiamo il modulo il rischio non esiste!
Il principale problema è che come USB facciamo molta fatica ad intervenire presso i privati, in particolare siamo presenti al molo 7 gestito da TMT. Quest’impresa, dal punto di vista dell’ascolto delle RLS/RLS di Sito, è definita “autistica”, nel senso che non ascolta le segnalazioni, tratta le RSPP con superficialità, non fornisce risposte tecniche, come se disturbassimo. Consideriamo tutto ciò un problema, perché pur rispettando tutte le regole qualcuno si fa male.
Quali sono i principali problemi di sicurezza all’interno del porto?
Come dicevo prima il principale problema è l’ascolto.
L’azienda Samer impiega un sistema sofisticato per evitare al massimo l’errore umano: ad esempio, quando passi a piedi davanti ad una ralla (il trattore portuale), la ralla si ferma; se ti avvicini troppo al bordo banchina la ralla si ferma, perché questi trattori hanno un sistema di geolocalizzazione del mezzo che gli impedisce di cadere dal molo.
TMT, sempre sullo stesso tipo di problema, e cioè sul sistema frenante, è l’esatto opposto. Borselli, che era al molo 7 gestito da TMT, non aveva questo controllo.
Al tavolo prefettizio, come USB, avevamo chiesto di stabilire una serie di criteri sull’obsolescenza dei mezzi, ad esempio su un mezzo che è stato riparato 5 volte bisogna rinnovare il sistema frenante o va messo in obsolescenza e non va più utilizzato. Su queste legittime proposte l’impresa ha risposto che decidono loro quando i mezzi sono obsolescenti.
Con Samer questo problema si ovvia perché loro preferiscono prevenire piuttosto che trovare delle scuse sul perché un operaio si sia fatto male; altri preferiscono l’opzione avvocati. La questione è dove vanno impiegate le risorse.
Nei porti spagnoli è l’Autorità portuale che decide il livello di sicurezza e gli interventi da fare, le aziende devono adeguarsi. Qui il principale problema è che invece le aziende rispondono che sono loro le responsabili della sicurezza, rispondono loro se qualcuno si fa male, quindi “non rompermi i coglioni”. Questa cosa ti frena ogni volta quando l’azienda fa muro su qualsiasi intervento.
Quanto è estesa la figura del Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (Rls) e in quali condizioni opera? Si muove liberamente, ha spazi di autonomia, che problemi si trova ad affrontare?
Sono molto autonomi. Il problema è che sono diventati dei professionisti perché sono in carica dal 2008, quindi puoi diventare un uomo di struttura (cioè inquadrato nel sindacato) o il Rls a tutto campo. Secondo me nessuno di loro ha voglia di tornare in banchina a farsi il mazzo, però è anche vero che sono altamente professionalizzati. Infatti, poiché rompevano i coglioni ad Asugi (l’Azienda sanitaria di Trieste) per questa sua mancanza di risposte, al tavolo prefettizio Asugi ha proposto di nominarli a rotazione. Quindi io dico: una persona che è lì da 16 anni, che ha imparato a muoversi, a conoscere i soggetti della controparte e quando fanno muro di gomma cercano di aggirarli, quando hanno acquisito una conoscenza approfondita delle leggi, delle modificazioni e anche della terminologia (mi hanno aiutato a fare una segnalazione per un apparato che rischiava di provocare cesoiamento degli arti), non vanno sostituiti a rotazione. Anche la proprietà di linguaggio che hanno acquisito è molto importante. Come Usb, quello che gli proponiamo è di fare noi le segnalazioni, perché veniamo ascoltati di più. Quando Usb scrive all’Ispettorato del lavoro, all’Autorità portuale, Capitaneria di porto, ecc. la vertenza assume un rilievo più pesante. Ci rendiamo conto che gli Rls di Sito sono poco sostenuti dalle altre organizzazioni sindacali alle quali fanno riferimento, come se la sicurezza fosse una specie di tabù, come se si dicesse “lasciamo lavorare le aziende che se gli rompiamo i coglioni con nuovi costi e ulteriori fermi o con soluzioni che rallentano la produttività poi il porto è meno performante”, cioè è una sorta di sicurezza a nostro avviso che deve fare i conti con la produttività di un porto e quindi poi ogni due anni ci scappa il morto, come Bassin schiacciato cinque anni fa.
Determinanti per la sicurezza sono il protagonismo, l’organizzazione e il coordinamento dei lavoratori. Dentro e fuori il posto di lavoro, a fronte di quello che tu finora hai ben descritto, ci puoi parlare di come state intervenendo come Usb per organizzare i lavoratori, se ci sono difficoltà e che cosa state promuovendo come sindacato?
Mi rifaccio sempre all’episodio della morte di Paolo Borselli per il quale sono stato pesantemente criticato da tutte le organizzazioni sindacali sostenendo che eravamo entrati in una proprietà privata. Ho seguito io tutta la trattativa con le aziende, così come in Prefettura affiancato anche da qualche lavoratore. In quella trattativa abbiamo posto la necessità dell’interruzione delle manovre in alto mare, trovare una soluzione definitiva che permettesse ai lavoratori di non scaricare le ceste dai pianali facendo retromarcia verso il mare, quindi avendo sempre il mare di fronte, vicino alla banchina ma più al sicuro (sul lato corto, mai fare manovra!). Dopo una discussione di un’oretta, l’azienda ci ha risposto: “va bene, grazie dei suggerimenti, ci vediamo in Prefettura”. Lì c’è stata sicuramente una levata di scudi da parte di tutte le organizzazioni sindacali ma alla fine io ho scritto ai miei, che ci stavano aspettando nel piazzale, di venire alla palazzina dove si stava svolgendo l’incontro perché c’erano forti problemi. Inoltre, ho detto una cosa specifica all’azienda: “percepisco pienamente l’indignazione e la rabbia dei lavoratori e se noi usciamo da qua senza una misura precauzionale che eviti la manovra a mare, fossi in voi prenderei le auto e andrei via in fretta, perché a questa rabbia e frustrazione non volete dare risposta”. Hanno sospeso la riunione, hanno chiamato la Digos che era fuori perché erano preoccupati, sapevano che potevano esserci dei problemi e anche se sono stato criticato per questo, la trattativa si è sbloccata e abbiamo trovato una soluzione dopo quattro ore di dibattito. Fino a quel momento l’azienda non voleva darci una risposta, non doveva essere una questione di proprietà privata cercare Paolo Borselli nel mare. Devono avere paura, non possono far morire uno perché organizzano male il lavoro e per questo bisogna intervenire sull’organizzazione del lavoro, non si può continuare a dire, come fanno certe organizzazioni, che l’organizzazione del lavoro sta in capo all’azienda. No, quando l’organizzazione del lavoro determina condizioni di insicurezza per i lavoratori e rischio di infortunio, il sindacato ha il dovere di intervenire sull’organizzazione del lavoro. Le indicazioni che diamo di continuo ai lavoratori è di “rompere i coglioni!”. Perché il problema non è il lavoratore che rispetta la nuova regola e evita la manovra a lato mare, il problema sono quei lavoratori che lo fanno lo stesso. Questi sono portuali, a volte volano sberle, quindi dovete andare là e tirare giù dal carrello quelli che fanno manovre a lato mare, dovete impedirglielo. E questa cosa ha funzionato abbastanza.
Vi state anche preoccupando di fare corsi di formazione sulla sicurezza all’interno del porto?
In realtà è un po’ che non sento le Rls di Sito anche perché appartengono alle altre sigle sindacali e siamo andati profondamente in scontro con le altre sigle sul rinnovo del Cccl anche per quelle false votazioni, quella falsa dichiarazione di vittoria a larga maggioranza del voto dei lavoratori di approvazione della piattaforma. In realtà sappiamo che Genova, Trieste e Monfalcone hanno votato pesantemente contro. Poi Genova, che storicamente è un porto guida nelle vertenze, è un porto che ha votato pesantemente contro il rinnovo contrattuale. I sindacati confederali hanno dato disposizione di non parlare con Usb: di colpo, sono rispuntate le trattative e i tavoli separati, quindi in Adriafer (azienda che lavora per la creazione di un sistema ferroviario integrato tra i terminal marittimi del Porto di Trieste, gli Hub terrestri e la rete ferroviaria nazionale) al primo tavolo che abbiamo fatto dopo la campagna contro questo rinnovo contrattuale ci siamo ritrovati da soli con l’azienda e le altre sigle in una seconda riunione. Il protocollo che abbiamo firmato in Prefettura prevedeva la formazione, una grande collaborazione anche da parte delle aziende nell’informare dell’esistenza del protocollo, dei suoi contenuti e dei passaggi che bisognava fare in ogni singola azienda.
Quando eravamo in buoni rapporti le Rls di Sito ci hanno sempre detto che con TMT, ma anche con le altre aziende, si fa molta fatica a fargli fare resoconti, relazioni. Oltretutto, il protocollo prevedeva che alla formazione fossero presenti anche le Rls di Sito e loro spesso non ricevono nessun tipo di informativa e quindi non riescono a organizzarsi un calendario delle presenze.
Noi come Usb non facciamo corsi di sicurezza, abbiamo una struttura nazionale e quando ci vengono posti temi specifici ovviamente sentiamo la struttura nazionale che ci dà le linee guida, le indicazioni.
Quindi su queste attività che hai descritto state promuovendo qualcosa e state cercando di entrare in relazione con gli altri sindacati presenti nel porto?
Come dicevo prima, la spaccatura ormai è sempre più netta, abbiamo questa difficoltà sul Ccnl, ma anche sulla sicurezza non siamo per la compatibilità della sicurezza con la produttività del porto, mentre le altre sigle ne fanno una questione. Se io ho il controllo della sicurezza io gestisco, quindi se avete pazienza di leggere il Cvnl dei porti, lì il sistema di elezione delle Rls è abbastanza blindato, ci puoi partecipare ma alla fine loro danno indicazioni. Chi non appartiene a i confederali verrà escluso, non farà le Rls di Sito, ad esempio. Avere il monopolio nel meccanismo delle Rls e usarlo per eleggere le Rls di Sito ti fa capire che quel meccanismo ti permette di gestire la maggioranza delle Rls così come il controllo delle Rls di Sito e quindi anche quello che determina il livello di conflittualità che queste Rls di Sito possono determinare all’interno del porto. Adesso il livello è bassissimo: ho recentemente risposto a una mail inviata dalle Rls di Sito su una cosa banalissima. Dove sono ubicati loro hanno una sala e un bagno, dal cui rubinetto da settembre esce l’acqua gialla e nonostante abbiano scritto da diverso tempo, son passati mesi e l’acqua gialla continua a uscire dal rubinetto. Quindi l’acqua non è potabile, magari anche la doccia è stata compromessa, perché non mi faccio una doccia dopo 8 ore di porto con l’acqua gialla, ma soprattutto se determina una rottura che allaga la sala che usano tutti, le Rls di Sito, le organizzazioni sindacali per fare le assemblee, le aziende per fare formazione, quindi una rottura renderebbe inservibile quello spazio. Non ho capito perché non intervengono, un idraulico capisce dov’è il problema oppure chiami la Pts (l’azienda che fornisce tutti i servizi di manutenzione anche deii sistemi antincendio portuali, oltre a fornisce le cabine elettriche che alimentano tutto il porto). La domanda è “Non avete un idraulico che riesce a capire come mai c’è l’acqua gialla?”: è un livello di trascuratezza abbastanza elevato.
L’altro aspetto importante che vogliamo porre riguarda la situazione nella quale ci troviamo, siamo un paese in guerra a tutti gli effetti, quindi i porti del nostro paese sono da una parte ambiti in cui i governi e le industrie belliche fanno transitare armamenti che alimentano i conflitti in corso e che contemporaneamente mette in pericolo la sicurezza dei lavoratori e degli abitanti delle città marittime come Trieste, da un’altra parte sono una risorsa per la lotta di classe in corso, sono ambiti importanti di organizzazione e mobilitazione. Un esempio importante nel nostro paese sono le lotte promosse dal Collettivo Autonomo Lavoratori Portuali (Calp) di Genova e dal Gruppo Autonomo Portuali (Gap) di Livorno oppure, in Europa, quello che stanno facendo in questi ultimi tempi i portuali greci. Questi sono esempi concreti della mobilitazione e della centralità della classe operaia nella lotta alla guerra e ai governi della guerra come quello che abbiamo noi.
Qual è la situazione a Trieste, come state intervenendo per sensibilizzare e organizzare i lavoratori su questo fronte? Fate riunioni, presidi, volantinaggi, quali sono i risultati, siete in contatto con i lavoratori di altri porti, con il Calp per esempio, o con i lavoratori di Livorno? E avete poi in programma delle iniziative comuni per quanto riguarda cercare di impedire che i porti vengano utilizzati per il trasporto e il traffico di armi?
La linea nazionale di Usb è di impedire la movimentazione di armamenti e mezzi militari nei porti, questo si declina in ogni porto con la capacità di mobilitazione. Ci sono arrivate già segnalazioni dal porto di Monfalcone, perché Trieste fino a poco tempo fa era un porto non interessato a questa movimentazione se non altro non palese, quindi no mezzi militari. Poteva esserci qualcosa nei container, ma di fatto non si palesava all’esterno, quindi o avevi accesso alle liste oppure movimentavi della merce ma non sapevi esattamente cosa fosse. Le prime segnalazioni partono dal porto di Monfalcone più di un anno fa, usciamo subito pubblicamente e c’era ancora Zeno d’Agostino (ex presidente Autorità Portuale Trieste), lui fa una pubblica smentita di movimentazione con tanto di foto dove c’erano però dei mezzi militari. Interviene anche la Cgil, il segretario della Filt regionale che dice che non ci sono mezzi militari in transito, con tanto di foto sul giornale Il Piccolo. Riesci a capire come si pongono le altre organizzazioni su questo tema. Parte un’altra segnalazione ancora più grave perché c’erano dei carri armati statunitensi di fabbricazione tedesca, senza insegne di esercito. È un po’ difficile dire che quei mezzi stanno andando in esercitazione, di solito vanno in Sardegna, quindi abbiamo subito fatto la segnalazione, aperto lo stato di agitazione, che formalmente è ancora aperto, che appena i lavoratori ci segnalavano la cosa proclamavamo lo sciopero sulla movimentazione di merci, invitavamo i lavoratori a rifiutare di movimentare questa merce. Abbiamo fatto volantinaggio a Monfalcone, una bella chiacchierata con i lavoratori che si sono fermati, che obiettavano “Se non lo movimento io magari lo movimentano gli altri”. La nostra risposta è stata “Siamo persone adulte, ciascuno decide per sé, se io decido che i mezzi militari non li voglio movimentare, ho una copertura sindacale io mi rifiuto di movimentarli, perché la mia coscienza mi proibisce di fare questa cosa”. È questo il messaggio che abbiamo mandato, è inutile aspettare cosa fanno gli altri, non siamo all’asilo. L’ultima movimentazione in cui abbiamo ribadito che c’è lo stato di agitazione, alcuni lavoratori dell’art.17 si sono rifiutati di movimentare i mezzi e a cui non è successo nulla, sono stati semplicemente spostati di attività e non hanno toccato i mezzi militari a Trieste. Un paio di mesi fa Samer che caricava dei camion Shelter sui traghetti per la Turchia, o sono mezzi d’acquisto o la Turchia li riceveva per spostarli in teatri di guerra che in quella zona sono Ucraina e Striscia di Gaza. È difficile perché il porto di Trieste è un porto storico, i portuali dicevano “Non andate in viale XX settembre stasera (è il luogo tipico di raduno dei fascisti) perché si va a fare allenamento”. I portuali erano legati al vecchio PCI, ma anche a frange extraparlamentari, avevano quest’impostazione. Oggi al porto di Trieste parlare di stella rossa, di comunismo diventa un problema, non è un tema che si evita, però introduci i concetti di lotta di classe un po’ camuffandoli, ad esempio sul welfare: soldi che si spostano senza tasse, a parità di remunerazione che riceve il lavoratore una fetta di questi soldi che riceve non buttano tasse per lo Stato e di conseguenza non buttano neanche servizi. Oltretutto è un po’ quella catena che aveva creato la Fiat a Torino dove aveva le agenzie che costruivano i palazzi, le agenzie immobiliari che li affittavano agli operai della Fiat, poi costruivano i supermercati gestiti dai gruppi Fiat, quindi il salario che ti davano se lo riprendevano in affitto, nella macchina Fiat che ti vendevano, nei supermercati Fiat, quindi welfare grossomodo è questo: il padrone che dà dei soldi esentasse che non portano servizi e il gruppo di padroni decide anche dove li spendi. Un circuito più moderno rispetto a quello creato da Fiat, ma è lo stesso meccanismo.
Quindi ai lavoratori diciamo “Guardate, già ricevere i soldi che non buttano servizi è una merda e non serve ai lavoratori e doverli spendere dove decidono i padroni è un’altra merda”. E passa abbastanza. Noi abbiamo forgiato qua a Trieste il termine BASTA COI SOLDI DEL MONOPOLI, che è stato ripreso anche dal coordinamento nazionale, e che anche i lavoratori lo dicono in assemblea, abbiamo creato un brand sul welfare dei soldi del monopoli.
Avete relazioni con altri organismi o sindacati che stanno organizzando in altre città iniziative per il blocco del traffico di armi?
È anche un confronto internazionale, ovviamente il coordinamento porto di Trieste sta dentro il coordinamento porti nazionali, di conseguenza siamo sempre in contatto anche con il Calp di Genova col quale ci sentiamo per vedere come organizzare il blocco del carico delle armi senza incorrere a quello che è successo a loro, associazione sovversiva, perquisizioni ecc. Agire con astuzia e furbizia e ottenere il massimo risultato con la minima repressione possibile, anche perché magari noi ideologizzati e forti dal punto di vista ideologico mettiamo in conto che ci sarà la repressione, il lavoratore quando si complica la vita con perquisizione a casa con citazioni in giudizio, una condanna che si può trasformare in pena pecuniaria significa colpirlo sulla parte economica già debole per i bassi salari. Siamo in contatto con i portuali di Koper, abbiamo una specie di gemellaggio a Capodistria della vicina Slovenia, il porto principale, e da loro impariamo anche determinati meccanismi, fanno la lotta di classe senza dirlo, perché perderebbero iscritti, in tutto quel pezzo di ex-Jugoslavia che è uscito deluso dal comunismo e che ha visto dei passaggi critici di quella storia. Gli sono rimasti brutti ricordi ma si sono persi alcuni pezzi, come l’autogestione, la garanzia di un’economia che si reggeva sulla produzione ma anche aveva una grossa fetta rurale e quindi ti concedevano di vivere i tuoi spazi nella casa, nella coltivazione della terra, nell’allevamento degli animali, integrava il salario, una cosa che oggi in Europa devi fare 143 vaccinazioni, 72 controlli dal veterinario… Abituati ad avere una vita molto libera si sono ritrovati invece una vita nelle gabbie europee che poi non garantisce comunque la salute pubblica. Con il porto di Koper abbiamo questo forte scambio però è un sistema molto diverso, in Slovenia è proibito fare scioperi politici contro le politiche del governo. Lo sciopero può essere legato solo ad una questione contingente di vertenza sul lavoro. Hanno ereditato questa mentalità e con gli scambi che abbiamo avuto la questione delle armi non la prendono neanche in considerazione e questo ci dispiace perché hanno una forza immane, su 1300 addetti hanno 1100 iscritti. Koper è porto pubblico dove, a parte le agenzie che lavorano sulla movimentazione degli automezzi, il resto delle attività è in mano allo stato e all’azienda pubblica che gestisce il porto di Capodistria. A Trieste ci sono 18 art.18, 40 art.16, un art.17, poi c’è la movimentazione ferroviaria, che non rientra in questi 3 articoli, ma ci sono altre attività, come Pts che citavo prima, che fa la manutenzione generale del porto e che non rientra in questi 3 articoli, quindi una miriade di aziende, per fortuna il 99% col contratto porti, però per raggiungere i 1700 lavoratori del porto di Trieste devi fare 70 assemblee, loro con un’assemblea raggiungono tutti i 1100 iscritti e i 1300 lavoratori del porto. Nel nostro paese, la frammentazione sindacale ci costa una fatica immane, non siamo un sindacato enorme e non abbiamo una struttura tale da poter sostenere 70 assemblee in porto.
Però sono un insegnamento, una scuola da noi in Italia.
Sicuramente, anche per la visione. Ce l’hanno detto, considerano un dispendio inutile di energia quello di fermare le armi, perché gli manca proprio il pezzo dello sciopero politico.
Veniamo ad un altro argomento, il reato di omicidio sul lavoro. Voi come Usb, Rete Iside e insieme al Movimento 5 stelle e Alleanza Verdi-Sinistra avete poi presentato al Senato una proposta di legge di iniziativa popolare per introdurre il reato di omicidio sul lavoro. Qual è la situazione?
La campagna è già finita, c’era la campagna di raccolta firme per due referendum, promosse anche da altre forze politiche, tra le quali Rifondazione Comunista. Abbiamo raggiunto il numero di firme sufficienti per presentare la proposta di legge di iniziativa popolare sul salario minimo, quello di reato di omicidio sul lavoro non siamo riusciti a raccogliere il numero minimo di firme, quindi è stata una proposta depositata in parlamento da forze politiche, ha una valenza diversa. Era una cosa doverosa da fare perché come l’omicidio stradale diventa un’aggravante. Se penso a Luana D’Orazio, tu come datore di lavoro escludi le sicurezze, sei perfettamente cosciente che per aumentare la produttività metti a rischio la vita altrui, quindi dovrebbe esserci una forte aggravante. Se tu ricevi decine di segnalazioni dal tuo Rls e non sei mai intervenuto, quando il fatto accade deve essere un’aggravante per non aver preso in considerazione segnalazioni che avrebbero potuto evitare quell’incidente e dovrebbero farti finire in galera per aver scelto scientemente di non investire in sicurezza e rimuovere le sicurezze dove ci sono. Dovrebbe cambiare il mondo del lavoro, i datori di lavoro dovrebbero cominciare ad avere paura dei lavoratori, della loro rabbia e delle leggi che li fanno finire in galera. Qualcuno dice “Non è un deterrente perché la produttività viene prima”. Ma almeno per dieci anni è in carcere, serve almeno a togliere dalla circolazione persone che non dovrebbero fare impresa e organizzare il lavoro, perché considerano di più le macchine che le persone.