Nei mesi scorsi polizia e carabinieri hanno moltiplicato i tentativi di intimidire alcuni nostri compagni che sono stati raggiunti da telefonate con cui venivano invitati a presentarsi in caserma o in questura senza spiegazioni di sorta.
Un compagno a cui giunge tale convocazione può facilmente trovarsi in terra di nessuno e questi sono i momenti in cui possono verificarsi provocazioni di vario tipo.
Fatta questa premessa ed entrando nel merito della questione, ci sono essenzialmente tre casi in cui le forze dell’ordine possono convocare qualcuno in questura o caserma (chiamati anche uffici giudiziari):
1. per sentire il soggetto come persona informata sui fatti, cioè come potenziale testimone (non è prevista l’assistenza del legale perché non si è indagati);
2. per sentire il soggetto come testimone all’interno di un procedimento penale (in questo caso si ha diritto all’assistenza del legale);
3. per sottoporre il soggetto a interrogatorio in qualità di indagato.
Tutti e tre questi casi devono essere accompagnati da una convocazione ufficiale. Questo tipo di convocazione è vincolante, vuol dire che non presentarsi implica la violazione di quanto previsto dall’art. 650 del codice penale (inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità).
Quindi, se la polizia o i carabinieri chiamano al telefono (ma vale lo stesso anche in caso di avviso orale) e comunicano di recarsi presso i loro uffici perché “devono comunicarci qualcosa” o “fare una chiacchierata”, non si è tenuti a presentarsi.
Di fronte a eventuali insistenze bisogna semplicemente appellarsi a quanto prescrive la legge chiedendo una convocazione ufficiale – il così detto biglietto di invito – dove sarà scritta data e ora della convocazione.
Con una sentenza del 26 novembre 2020, la n. 33374, la Corte di Cassazione ha stabilito anche che l’invito deve contenere una stringata motivazione, non essendo sufficiente il riferimento generico a motivi di giustizia.
Il biglietto di invito può essere consegnato o presso il domicilio/residenza, inviato per posta oppure può essere ritirato negli uffici giudiziari.
E se il poliziotto/carabiniere comunica, sempre ufficiosamente – quindi al telefono o di persona – di recarsi in caserma per ritirare un documento? Trattasi, anche in questo caso, di invito informale che non presuppone alcun obbligo, pertanto vale quanto detto sopra.
Quali sono le notifiche per le quali a norma di legge si viene convocati in caserma?
Solitamente si tratta di un avviso di garanzia oppure l’invito a eleggere un domicilio perché è in corso un procedimento penale a carico dell’indagato.
In conclusione, le convocazioni fatte via telefono per indurci a presentarci in questura o caserma sono iniziative illegali con cui gli apparati repressivi combinano molteplici obiettivi:
– testarci, cioè vedere come reagiamo, se siamo abbastanza consapevoli dei nostri diritti, se e come li facciamo valere;
– intimidirci, far passare il messaggio che loro possono chiamarci/convocarci come e quando vogliono (e non è così!);
– raccogliere informazioni poiché la telefonata è spesso occasione per avviare “un dialogo” che potrebbe continuare in questura e cioè interrogatori informali (la chiamata è una scusa, procedono tempestando di domande personali e politiche a cui non bisogna rispondere, al massimo bisogna chiedere se è in corso un interrogatorio e per quale motivo).
Gli organi repressivi (in particolare la polizia politica, Digos e simili) usano questi sistemi illegali per intimidire e scoraggiare i militanti e si accaniscono soprattutto sui compagni più giovani, o comunque su coloro che hanno meno esperienza politica.