Il 2024 si è concluso in un clima di grande combattività dei lavoratori e delle masse popolari. Non sono cresciuti solo la preoccupazione (la grande maggioranza della popolazione vorrebbe sottrarre l’Italia alla spirale della Terza guerra mondiale e della conseguente economia di guerra), sono cresciute anche le mobilitazioni, le manifestazioni, le forme di dissenso e ribellione.
Citiamo solo alcuni esempi: gli scioperi generali del 29 novembre e del 13 dicembre, l’agitazione e gli scioperi nel settore dei trasporti, le manifestazioni in solidarietà al popolo palestinese, contro la guerra e contro il ddl 1660. Anche uno dei principali quotidiani nazionali, il Fatto Quotidiano, ha annunciato l’obiezione di coscienza, per “difendere la libertà di stampa”, contro la legge-bavaglio del ministro Nordio.
Il clima di combattività è frutto del fatto che qualcuno si è messo a organizzare i lavoratori e le masse popolari. In altri termini: se anziché limitarsi ai piagnistei qualcuno la promuove, la mobilitazione si sviluppa.
In linea generale, il governo Meloni non cederà a nessuna richiesta che lede gli interessi dei suoi padroni e mandanti. Nel particolare, anche laddove fosse costretto dalla mobilitazione a cedere un dito, manovrerà senza scrupoli per riprendersi indietro anche il braccio.
Il dito che un settore delle masse popolari strappa con le lotte rivendicative prima o poi costerà il braccio a un altro settore delle masse popolari. Questo è il vicolo cieco delle lotte rivendicative.
Per sviluppare la mobilitazione delle masse popolari oltre i limiti “naturali” delle lotte rivendicative bisogna dare alla mobilitazione uno sbocco politico unitario.
Nel contesto di accresciuta combattività ha avuto un ruolo anche il polo Pd delle Larghe Intese – il Pd e i suoi addentellati e cespugli. Il presenzialismo di Elly Schlein nelle manifestazioni di piazza contro il governo, ai cancelli delle fabbriche minacciate dalla chiusura (vedi Stellantis di Pomigliano) e persino sui treni a raccogliere le lamentele dei passeggeri è stato una costante.
Sotto i riflettori anche Bonelli dei Verdi e Fratoianni di Sinistra Italiana, che sgomitano per dare una sfumatura di sinistra al “campo progressista”, e Conte che prova a mettere una toppa alla fuga di attivisti e voti che sta dissanguando il M5s dopo “l’abbraccio mortale con il Pd”.
Questi sommovimenti del “campo progressista” hanno avuto un ruolo, ma la differenza l’ha fatta la Cgil che è scesa sul terreno della mobilitazione soprattutto per due motivi.
Il primo è che il governo Meloni ha demolito la concertazione su cui poggiava il ruolo e l’azione dei sindacati confederali da oltre trent’anni. Per non “finire nel sottoscala”, Landini ha dovuto cambiare registro e dall’invito alla Meloni al Congresso della Cgil (2023) è passato a dire pubblicamente di voler “rivoltare il paese come un calzino” e parla di “rivolta sociale”.
Il secondo è la spinta della base che non tollera più le genuflessioni a governo e padroni a fronte del disastro economico e del progressivo smantellamento dell’apparato produttivo, della distruzione di diritti e tutele, del continuo calo del potere di acquisto di salari e pensioni.
È utile ridimensionare le supposte capacità del Pd di strumentalizzare le proteste e le mobilitazioni in chiave elettorale. Il marasma provocato dalla crisi generale e la spirale della Terza guerra mondiale stanno spazzando via le recite nel teatrino della politica borghese. I risultati delle elezioni regionali che si sono svolte nell’autunno scorso in Liguria, Emilia Romagna e Umbria lo dimostrano anche ai più scettici: il dato politicamente più importante è, ancora una volta, l’astensione.
Non sarà un eventuale governo del Pd, con o senza M5s, con o senza Calenda e Renzi, a porre fine al disastro in cui sta sprofondando il paese. Un eventuale prossimo governo del Pd, con o senza fronzoli, sarà instancabile prosecutore del programma del governo Meloni, già “agenda Draghi”, alias il programma comune della borghesia imperialista.
Per mettere in campo “la forza della Cgil”, Landini ha bisogno di mobilitare gli iscritti (perché senza gli iscritti non conta niente), ma per mobilitare gli iscritti deve farla finita con i salamelecchi e gli inchini a governo e padroni. Se Landini si limiterà alle dichiarazioni incendiarie senza darvi seguito, la Cgil continuerà a perdere pezzi importanti della sua base. Se Landini asseconderà la base, dovrà prendere di petto il governo Meloni. In questo hanno un ruolo decisivo l’azione dei lavoratori e dei delegati combattivi delle principali aziende del paese.
Di fronte alle molte mobilitazioni, il governo Meloni ha finora, semplicemente, fatto orecchie da mercante. Questo non significa affatto che protestare e manifestare non serve a niente, ma è una sveglia per chi si era illuso di poterlo costringere a più miti consigli con mobilitazioni diffuse, ma racchiuse nel solco della compatibilità, del rispetto delle regole e delle liturgie: uno sciopero generale non è sufficiente a bloccare una finanziaria e a mandare a casa il governo Meloni.
Ma il Pd e i suoi cespugli non vogliono assolutamente alzare il tono delle mobilitazioni oltre una certa soglia perché sanno che oltrepassare quella soglia potrebbe essere un boomerang.
Grattata via la vernice, hanno lo stesso programma, attuano la stessa politica, perseguono gli stessi interessi del governo Meloni e alimentare la mobilitazione delle masse popolari sarebbe suicida, è incompatibile con il ruolo che svolgono nel sistema politico delle Larghe Intese.
Rimane il fatto che gli scioperi e le manifestazioni contro la finanziaria, le manifestazioni contro il ddl 1660, le agitazioni e gli scioperi nel settore dei trasporti, i presidi fuori dai cancelli delle aziende che stanno chiudendo, i cortei studenteschi, gli scioperi del personale sanitario, le proteste dei giornalisti, le iniziative e le manifestazioni contro la guerra e in solidarietà con il popolo palestinese, ecc. pongono tutte una questione politica, ma non sono ancora diventate un problema politico che toglie il sonno a ministri e sottosegretari.
Il 2025 si apre in continuità rispetto a come si è concluso il 2024. E con la stessa questione irrisolta: benché le condizioni per una svolta politica si vadano accumulando, non sono ancora arrivate a fare massa critica. Bisogna trovare la strada per accendere la scintilla della mobilitazione che rende ingestibile il paese al governo Meloni, che impedisce al Pd e ai suoi cespugli di installare un governo alternativo solo nella forma, che costringe la Larghe Intese a ingoiare un governo di emergenza delle organizzazioni operaie e popolari. Un governo che si dà i mezzi, grazie alla mobilitazione delle organizzazione operaie e popolari, di attuare le misure di emergenza che servono:
- Assegnare a ogni azienda compiti produttivi utili e adatti alla sua natura, secondo un piano nazionale. Nessuna azienda deve essere chiusa.
- Distribuire i prodotti alle famiglie e agli individui, alle aziende e a usi collettivi secondo piani e criteri chiari, universalmente noti e democraticamente decisi.
- Assegnare a ogni individuo un lavoro socialmente utile e garantirgli, in cambio della sua scrupolosa esecuzione, le condizioni necessarie per una vita dignitosa e per la partecipazione alla gestione della società. Nessun lavoratore deve essere licenziato, a ogni adulto un lavoro utile e dignitoso, nessun individuo deve essere emarginato.
- Eliminare attività e produzioni inutili o dannose, assegnando alle aziende coinvolte altri compiti.
- Riorganizzare tutte le altre relazioni sociali in conformità alla nuova base produttiva e al nuovo sistema di distribuzione.
- Stabilire relazioni di solidarietà e collaborazione o di scambio con gli altri paesi disposti a stabilirle con noi.
- Epurare gli alti dirigenti della Pubblica Amministrazione che sabotano la trasformazione del paese, conformare le Forze dell’Ordine, le Forze Armate e i Servizi d’Informazione allo spirito democratico della Costituzione del 1948 e ripristinare la partecipazione universale dei cittadini alle attività militari a difesa del paese e a tutela dell’ordine pubblico.
La questione non è “sarebbe bello che qualcuno ci riuscisse”, la questione è che cosa bisogna fare per portare gli organismi operai e popolari a costituirlo!
Si tratta di superare la cappa di legalitarismo che frena l’azione e l’attivismo dei promotori della mobilitazione. Il discorso riguarda il rendere ordinario, “normale”, la violazione dei divieti e delle censure con cui le autorità borghesi cercano di impedire lo sviluppo della mobilitazione (ogni divieto è efficace solo se qualcuno lo rispetta), ma riguarda anche il concepire, promuovere e sviluppare iniziative che affrontano, ad esempio, la povertà dilagante secondo il principio che è legittimo tutto quello che va negli interessi delle masse popolari anche se è illegale.
“Nel nostro paese sono più di 5 milioni le persone (compresa una parte di lavoratori e pensionati) che vivono in povertà: un decimo della popolazione non ha il necessario per una vita civile mentre i supermercati rigurgitano di cibo, il governo spende miliardi in armi, i ricchi vivono nel lusso sfrenato! In tutti i paesi imperialisti milioni di persone sono cacciate ai margini della società e costrette a vivere di ammortizzatori sociali, di carità, di espedienti e di attività illegali”.
Si tratta di superare lo spirito di concorrenza fra partiti e organizzazioni politiche e sindacali in favore dell’unità d’azione, della concatenazione delle mobilitazioni e del coordinamento degli organismi che le promuovono. Il discorso non riguarda solo le reciproche relazioni fra i partiti e le organizzazioni politiche e sindacali di base, ma anche il settarismo verso la Cgil, che è l’unica organizzazione sindacale in grado di mobilitare una considerevole parte dei lavoratori. “Un problema da affrontare per avanzare su questo terreno è il settarismo duro a morire nel sindacalismo combattivo. (…) Se la Cgil e oggi persino la Uil non sono allineate con Cisl e Ugl nella collaborazione con il governo Meloni è anche grazie all’esistenza dei sindacati alternativi, oltre che all’opposizione dei loro stessi iscritti e di molti lavoratori non iscritti a nessun sindacato, opposizione che può manifestarsi meglio e con più forza proprio grazie all’esistenza e all’azione dei sindacati alternativi e di base, degli organismi di lavoratori e delle organizzazioni comuniste”.
Si tratta di combattere le sfiducia e il disfattismo, estendere e rafforzare l’organizzazione degli operai, elevare il loro orientamento e allargare la loro azione. “Anche la lotta degli operai per porre fine alla distruzione di posti di lavoro e di fabbriche, per difendere i diritti sindacali e politici conquistati e i Ccnl può avere successo solo se si sviluppa su larga scala”. Di fronte allo smantellamento dell’apparato produttivo i focolai di resistenza e potenziale ribellione sono moltissimi, a partire dagli stabilimenti di Stellantis e dell’indotto (centinaia di migliaia di posti lavoro che sono sotto attacco).
Si tratta, infine, di superare la convinzione che l’unico ruolo che le masse popolari organizzate possono assumere verso il governo è quello di rivendicare, in un contesto e in una fase in cui, invece, l’unica alternativa realistica al marasma in cui siamo immersi è che le masse popolari organizzate assumano il ruolo di nuova classe dirigente del paese.
Ci sono altri ostacoli da superare per far compiere al movimento pratico dei lavoratori e delle masse popolari il salto di cui c’è bisogno e per il quale esistono le condizioni, ma affrontare con piccoli passi concreti, con spirito di iniziativa e di conquista quelli che abbiamo indicato è il miglior modo per misurarsi con le sfide che abbiamo di fronte.
* Le citazioni virgolettate sono tratte da “Dare un indirizzo unitario alla crescente mobilitazione contro il governo Meloni” pubblicato su La Voce del (n)Pci n. 78 di cui si consiglia la lettura su www.nuovopci.it