Il 29 novembre si è svolto lo sciopero generale proclamato dalla Cgil e dalla Uil, ma anche dai sindacati di base, praticamente tutti tranne Usb.
La convergenza su un’unica data di sciopero non si vedeva da molti anni e in effetti è stata un importante segnale di maturità e responsabilità da parte dei sindacati di base che hanno anteposto le esigenze della lotta di classe allo spirito di concorrenza nei confronti della Cgil. Segnale molto positivo, dunque, che non ha però impedito che in occasione dello sciopero si svolgessero in molte città cortei diversi, manifestazioni separate. Il risultato è stato plateale: decine di migliaia di partecipanti ai cortei della Cgil e della Uil, poche migliaia (e in alcuni casi poche centinaia) ai cortei “separati” dei sindacati di base. In altri termini: nella inequivocabile diversità di partecipazione sono emerse tutte le resistenze dei sindacati di base a considerare i partecipanti alle manifestazioni promosse dai sindacati di regime come loro referenti, lavoratori a cui portare un orientamento più avanzato rispetto a quello dei vertici dei sindacati di regime.
“I sindacati di base, generalmente, alzano obiettivi e parole d’ordine più avanzati rispetto ai sindacati confederali: aver proclamato lo sciopero generale lo stesso giorno di Cgil e Uil ha rafforzato e riempito di contenuti – ad esempio la solidarietà al popolo palestinese, il No alla guerra e al ddl 1660 – la mobilitazione complessiva di quella giornata.
(…) Se si mettono a concorrere con i confederali su chi porta più lavoratori in piazza, i sindacati di base ne escono sconfitti.
Non solo, i vertici dei sindacati di base hanno perso l’occasione non di “gonfiare le piazze dei sindacati di regime”, ma di far valere l’orientamento più avanzato che pure hanno contribuito a dare alla giornata con le loro parole d’ordine e i loro obiettivi, fra le decine di migliaia di lavoratori che hanno partecipato alle piazze di Cgil e Uil.
Hanno perso l’occasione di valorizzare le richieste e le spinte a dare seguito a quella giornata di lotta che da quelle piazze emergevano, hanno perso l’occasione di essere compiutamente lo stimolo e il pungolo dei vertici di Cgil e Uil che di dare continuità immediata a quella mobilitazione non hanno intenzione (sono pur sempre parte del sistema delle Larghe Intese!). Hanno perso l’occasione, in definitiva, di diventare punto di riferimento per una parte di lavoratori combattivi che non si accontenta delle parole roboanti di Landini e Bombardieri.
(…) Il Sol Cobas era presente con propri striscioni, volantini, cori e torce ai cortei dei confederali a Napoli e a Milano. Bene hanno fatto ad aderire ai cortei dei confederali anche singoli lavoratori, iscritti ed esponenti di altre organizzazioni sindacali – fra cui Usb. A Torino non c’è stato nessun concentramento alternativo, i sindacati di base hanno portato nel corteo lanciato da Cgil-Uil le parole d’ordine e i loro obiettivi, rafforzati dalla presenza degli studenti e dei movimenti sociali. Questi sono esempi positivi di mobilitazione unitaria, la linea avanzata, che vanno replicati ed estesi” – dal comunicato della Direzione Nazionale del P.Carc del 9 dicembre 2024 “Fare dello sciopero del 13 dicembre una grande giornata di mobilitazione”.
Le manifestazioni del 29 novembre sono state caratterizzate da alcune “novità”.
Dopo tanto tempo, in molte piazze sono tornati gli striscioni di fabbrica. In alcuni casi, dietro gli striscioni c’era un nutrito gruppo di lavoratori, in altri casi a reggere lo striscione era un piccolo gruppo. Ma in questa fase non è importante quantificare se fossero tanti o pochi. Ciò che è importante è che la presenza degli striscioni di fabbrica è in controtendenza rispetto a come i vertici dei sindacati di regime hanno impostato i cortei negli ultimi anni: tutti i lavoratori dietro gli striscioni dei rispettivi sindacati (o al massimo striscioni di categoria), intruppati più come “tifosi di una squadra di calcio” che come rappresentanti attivi di questa o quella azienda.
Erano presenti spezzoni, ma è meglio dire “settori”, combattivi. La maggiore combattività emergeva dalla presenza di cori, canti, slogan e cartelli al posto dei fischietti, delle trombette, dei palloncini e dei cappelli da giullare che avevano trasformato le manifestazioni – in particolare della Cgil – in passeggiate folkloristiche.
Per non limitarsi ad aspettare e sperare che gli “elementi di novità” si sviluppino da soli – da soli non si svilupperanno, rimarranno potenzialità inespresse – bisogna che i lavoratori più avanzati li coltivino e il modo più semplice e immediato è organizzare assemblee di bilancio dello sciopero del 29 novembre.
Organizzarle sui posti di lavoro, ma se non ci sono condizioni favorevoli, anche fuori. Quello che è importante in questa fase NON è la partecipazione massiccia, ma che qualcuno si prenda la responsabilità di dare gambe alla mobilitazione!
In termini di adesione e partecipazione, lo sciopero generale indetto da Usb il 13 dicembre ha inevitabilmente risentito della decisione di non convergere sulla data del 29 novembre: questo ha messo molti lavoratori nella condizione di dover scegliere a quale sciopero aderire e ha posto anche molti iscritti Usb nella difficile situazione di rimanere al lavoro con gli iscritti della Cisl e dell’Ugl il 29 novembre.
Tuttavia, anche per il fatto che il 29 novembre lo sciopero dei trasporti è stato dimezzato dalla Commissione di Garanzia e che la pretesa di Salvini di precettare i lavoratori il 13 dicembre è stata respinta dal Tar del Lazio, lo sciopero ha avuto una particolare adesione nel settore dei trasporti.
I vertici di Usb hanno dato prova di settarismo e arretratezza decidendo di non scioperare il 29 novembre in favore di uno sciopero “in solitaria” il 13 dicembre, ma gli stessi vertici Usb hanno dato prova di incarnare la tendenza avanzata nella lotta contro le precettazioni. Non si sono limitati al ricorso legale contro la minaccia di precettazione di Salvini (che pure hanno vinto), ma hanno promosso una serie di mobilitazioni prima dello sciopero proprio contro le precettazioni, facendole diventare un problema politico per il governo.
Gli scioperi e le mobilitazioni del 29 novembre e del 13 dicembre, le agitazioni per il rinnovo dei contratti nazionali (fra gli altri è in ballo anche quello dei metalmeccanici) e la lotta contro lo smantellamento dell’apparato produttivo, a partire da Stellantis, hanno segnato le ultime settimane del 2024 e sono premessa per lo sviluppo della mobilitazione popolare nel 2025. Che ciò accada non può dipendere (solo) dai vertici delle organizzazioni sindacali – né di quelle confederali né di quelle di base: serve che i lavoratori più avanzati, indipendentemente dai sindacati di appartenenza, diano continuità alla mobilitazione.
Non importa quali saranno i risultati immediati: il principio da seguire è che se qualcuno la promuove, la mobilitazione si sviluppa; se qualcuno la alimenta, la combattività cresce.
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Che le manifestazioni del 29 novembre fossero diverse dalle passeggiate folkloristiche organizzate dai vertici dei sindacati di regime negli ultimi anni è emerso anche da quanto abbiamo raccolto con i nostri strumenti di propaganda. Molte interviste fatte in piazza sono state trasmesse nel podcast Corrispondenze operaie. Ne riportiamo alcuni spunti che vengono dalla piazza di Milano.
Simone, lavoratore McDonald’s e delegato Filcams: “non bisogna rassegnarsi all’idea che la normalità sia questo mondo del lavoro; finché ci riteniamo fortunati ad avere un lavoro, arriviamo ad accettare troppe cose. Lo sciopero serve a dimostrare la necessità che qualcosa cambi, ma uno sciopero generale ogni tanto serve a poco: è necessario uno stato di agitazione permanente. E poi bisogna parlare di politica, non è sufficiente limitarsi alle rivendicazioni”.
Raffaele, operaio alla Pirelli di Bollate e delegato Filctem-Cgil: “la situazione è disastrata, soprattutto con questo ultimo governo, le cose così non possono più andare avanti. Bisogna trovare il modo per portare nelle piazze tutti i lavoratori. È ovvio che c’è una responsabilità delle organizzazioni sindacali tutte, confederali e non: serve una mobilitazione unitaria ed è urgente perché già oggi i lavoratori faticano, siamo i poveri di domani”.
Luca, delegato Fisac-Cgil: “bisogna pretendere che i piani industriali abbiano una prospettiva, non basta avere una visione che, al massimo, arriva ai prossimi tre anni. Che tipo di sviluppo è possibile prevedere tre anni alla volta?
Il governo Meloni non ha alcuna intenzione di ascoltare le rivendicazioni delle piazze. Politica industriale, legge di bilancio: questi tirano dritto e non basta uno sciopero ogni tanto, bisogna continuare a mobilitarsi e a lottare”.
Francesca, lavoratrice della scuola: “partiamo dal fatto che bisogna partecipare agli scioperi, i lavoratori devono essere presenti e metterci la faccia. Tutto quello che accomuna i lavoratori deve diventare un punto di forza per la mobilitazione, questo è il modo per unire tutte le forze di opposizione al governo Meloni, senza perdersi in divisioni che non giovano a nessuno. L’obiettivo comune è uno solo: far cadere questo governo, buttare giù questo governo”.