Nell’articolo “Elezioni Usa cosa NON cambia” (su Resistenza n. 11-12/2024) abbiamo sottolineato come, quale che fosse il candidato vincente alle elezioni presidenziali, gli imperialisti Usa non avevano soluzione alla crisi che travolge il loro sistema e perciò la linea fondamentale della loro condotta si sarebbe sviluppata sulla stessa strada su cui era già avviata. Una traiettoria che va nella direzione di un continuo aggravarsi della crisi economica, politica e sociale e conduce verso la guerra mondiale dispiegata.
La contesa elettorale è stata infine vinta da Trump, il candidato che ha promesso per molti versi di ribaltare la politica interna ed estera portata avanti dagli Usa sotto Biden. Ovviamente si fa quindi un gran parlare, anche all’interno del movimento comunista, di quali saranno le conseguenze della sua elezione, quali scelte prenderà, in che direzione instraderà la politica del principale paese imperialista, oscillando tra ingenuo ottimismo e catastrofismo.
Torniamo, quindi, sull’argomento, proponendo ampi stralci dell’articolo “Donald Trump di nuovo alla presidenza degli Usa”, pubblicato sul La Voce del (n) Pci n. 78.
“(…) Ma in realtà chi è che decide cosa faranno gli Usa nei prossimi anni? Chi ha deciso quello che hanno fatto gli Usa negli anni in cui alla testa dell’amministrazione Usa vi sono stati i presidenti indicati (G.W. Bush, Obama e Biden, ndr.) e i loro predecessori?
Uno di questi, il generale D.D. Eisenhower, presidente dal 1953 al 1961, ebbe l’onestà di esporre pubblicamente quello che la sua esperienza gli aveva mostrato. Nel discorso di commiato pronunciato alla fine della sua seconda presidenza nel 1961, egli disse che era seriamente dubbio il ruolo reale dei vincitori designati dal voto degli elettori Usa. A suo parere le decisioni dell’amministrazione federale, e quindi l’effetto che queste potevano avere sul corso delle cose negli Usa e nel mondo, erano prese da un “complesso di militari e industriali” (oggi avrebbe detto da un “complesso di militari, industriali e finanzieri”), più che dai dirigenti designati dal voto degli elettori americani. (…)
Negli Usa, come negli altri paesi, in realtà due sono le strade aperte (possibili) per il futuro: da una parte, le operazioni con cui i membri del complesso militare-industriale-finanziario, i caporioni dei gruppi imperialisti cercano di protrarre l’esistenza del capitalismo; dall’altra, la rivoluzione socialista promossa dal movimento comunista cosciente e organizzato degli Usa. (…)
Quanto alla rivoluzione socialista, negli Usa il movimento comunista dopo la repressione maccartista degli anni Cinquanta è ancora molto debole. La sua rinascita è in corso, ma procede lentamente. Molteplici sono negli Usa le lotte dei lavoratori che, ovviamente, i mezzi di manipolazione delle menti e dei cuori delle masse popolari italiane passano sotto silenzio. Ma sono ancora lotte spontanee e comunque non coordinate tra loro dal movimento comunista degli Usa.
Quanto alle misure che la futura amministrazione attuerà, l’esperienza dei decenni passati insegna che, più che le convinzioni e le promesse dei suoi esponenti e i programmi proclamati dal presidente e dai singoli dirigenti della sua amministrazione, varranno gli interessi e le decisioni dei maggiori gruppi imperialisti Usa e multinazionali.
Quindi per avere una buona comprensione di quello che succederà dopo l’elezione di Trump noi comunisti promotori della rivoluzione proletaria dobbiamo porre mente ai problemi che il complesso militare-industriale-finanziario Usa deve affrontare, ai contrastanti interessi tra i suoi componenti e tra essi e i gruppi imperialisti degli altri paesi, in particolare europei, alle circostanze che la produzione capitalista a livello mondiale, la sovrapproduzione assoluta di capitale, la devastazione e l’inquinamento della terra, dell’atmosfera e dei mari del nostro pianeta, la sua crisi climatica, lo sviluppo della rivoluzione proletaria nel mondo intero ivi compresa l’espansione dei Brics+ promossa dalla Repubblica Popolare Cinese (Rpc), il blocco dell’espansione della Nato a opera della Federazione Russa, la relativa autonomia dello Stato sionista di Israele e altri fattori porranno loro, più che alle convinzioni, alle aspirazioni, ai propositi e ai programmi di Trump e dei dirigenti da lui nominati.
Questo non vuol dire che convinzioni, aspirazioni, propositi e programmi dei singoli e quelli ufficialmente dichiarati dai partiti non contano niente, ma che in ogni contesto dobbiamo distinguere, sia per noi sia per i nostri nemici, quello da cui i nostri nemici non possono prescindere (il principale) da quello che è secondario e che lo stesso (distinguere il principale dal secondario) dobbiamo fare per noi. (…)
Il complesso militare-industriale-finanziario Usa non ha soluzione ai problemi che deve affrontare. Solo provvisoriamente può rimediare al malcontento di più di due terzi dell’elettorato per la situazione economica lasciata dall’amministrazione Biden e da quelle che l’hanno preceduta, le due amministrazioni Obama (in realtà Biden) e l’amministrazione Trump. Può ricorrere alla riduzione degli interessi sui prestiti, cioè la stessa linea con cui la Federal Reserve ha fatto scoppiare la crisi del 2008. Può indurre i capitalisti Usa a installare industrie negli Usa con dazi sulle importazioni dagli altri paesi imperialisti, dalla Rpc e dai Brics+ e aumentare la produzione di armi, cioè estendere la Terza guerra mondiale a pezzi.
La conclusione è che l’impresa della borghesia imperialista va verso la fine del capitalismo o verso la fine della specie umana. Lo sviluppo del movimento comunista nel proprio paese fino a raggiungere la capacità di instaurare il socialismo è l’obiettivo che noi comunisti dobbiamo proporci e crescono le condizioni favorevoli per raggiungerlo (…)”.