Il punto sulla situazione politica

Campo minato

Nell’articolo “L’Italia è malata di Larghe Intese” abbiamo trattato la necessità di far compiere un salto alla mobilitazione contro il governo Meloni e di come questo salto sia strettamente legato allo sbocco politico che il movimento comunista e rivoluzionario ha la responsabilità di indicare e perseguire.
Nello stesso articolo abbiamo trattato le difficoltà che il Pd e i suoi cespugli incontrano nell’approfittare dello sviluppo delle proteste sul piano elettorale per prendere il posto del governo Meloni. Con molte difficoltà potrebbero riuscirci, ma perseguirebbero lo stesso programma, pertanto si troverebbero in una situazione analoga a quella in cui è oggi il governo Meloni.
Tutti i ragionamenti presenti in quell’articolo affrontano la questione principale di questa fase politica: estendere la mobilitazione delle masse popolari e alzarne il tono fino a renderla la principale causa di ingovernabilità del paese (ingovernabilità dal basso) e far ingoiare alle Larghe Intese un governo di emergenza popolare.
Benché la mobilitazione popolare non abbia ancora raggiunto il livello necessario a far perdere il sonno a ministri e sottosegretari, il governo Meloni – che è l’oggetto contro cui sono indirizzate le proteste – inizia a essere una presenza ingombrante per i suoi mandanti e padroni, i vertici della Repubblica Pontificia.
In questo contesto si moltiplicano gli attacchi, gli sgambetti e le pressioni che una parte della classe dominante rivolge al governo Meloni, così come si acuiscono le contraddizioni fra gli stessi partiti di maggioranza che lo compongono.
Pur per sommi capi trattiamo in questo articolo dei principali, perché offrono appigli di cui il movimento comunista e rivoluzionario deve avvalersi per svolgere più efficacemente il suo compito.

La guerra calda governo / magistratura

Uno dei fronti della guerra per bande entro i vertici della Repubblica Pontificia è lo scontro fra governo Meloni e magistratura. Esso non è, ovviamente, la dimostrazione del fatto che “la magistratura è comunista” (sic!), ma delle insanabili difficoltà della classe dirigente a dare un indirizzo politico unitario allo Stato, alle istituzioni e al paese: la borghesia imperialista non riesce più a governare con gli strumenti e attraverso le forme con cui ha governato in passato, la crisi generale rende antagonista ogni contrasto di interessi, rende ingovernabile il paese e rende precario e traballante il sistema politico.
I feroci attacchi del ministro Nordio sono solo uno dei terreni in cui si sviluppa la battaglia. Contro la sua riforma ci sono già state proteste e assemblee e l’Associazione Nazionale Magistrati e altre associazioni promettono “le barricate”. A ciò si intrecciano e si combinano le “scintille” sulla gestione dei flussi migratori (in cui entra anche la Ue), con l’annullamento del decreto con cui Meloni vuole deportare in Albania i migranti e con il rinvio a giudizio per Salvini per aver impedito lo sbarco dalla Open Arms (Salvini, che all’epoca era ministro del governo Conte, è stato assolto il 21 dicembre scorso), e le stoccate contro questo o quel ministro (dall’inchiesta contro Daniela Santanché, su cui pende una nuova accusa di bancarotta fraudolenta, al pronunciamento del Tar del Lazio che ha annullato le precettazioni di Salvini nei confronti dei lavoratori dei trasporti in occasione dello sciopero del 13 dicembre).
Tuttavia, è contro l’autonomia differenziata che la magistratura ha schierato “l’artiglieria pesante”. Prima la Corte costituzionale ha accolto il ricorso delle quattro regioni (tutte governate dal Pd) per un parziale smantellamento della riforma, poi sempre la Corte costituzionale ha riconosciuto l’ammissibilità del referendum abrogativo che rischia, potenzialmente, di smantellarla dalle fondamenta.
Nel momento in cui scriviamo non è ancora arrivata la decisione sullo svolgimento o meno del referendum, ma per comprendere la portata dell’attacco è utile considerare che per il governo Meloni l’autonomia differenziata ha lo stesso valore che per il governo Renzi aveva il referendum sulla riforma della Costituzione (referendum perso e Renzi ko) e che all’ombra dell’eventuale referendum sull’autonomia differenziata “giace” anche il futuro della riforma del premierato.

Le elezioni amministrative

Il bluff del plebiscito per Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia alle elezioni politiche del 2022 si è smontato rapidamente. Dal 2022 a oggi, a ogni tipo di tornata elettorale, le forze di governo hanno preso legnate (anche dove hanno ufficialmente “vinto”, come in Liguria): non perché il Pd e i suoi cespugli abbiano “fatto faville”, ma perché le masse popolari a votare non ci vanno più. E le elezioni regionali in Liguria, in Umbria e in Emilia Romagna sono state solo l’ultima dimostrazione del distacco fra le masse popolari e il teatrino della politica borghese.
Questo conferma che per le Larghe Intese le elezioni sono un problema. Non affrontiamo qui per esteso ciò che questo comporta (se per le Larghe Intese sono un problema possono e devono diventare un’opportunità per i partiti e le organizzazioni politiche e sindacali e i movimenti anti Larghe Intese!), ci limitiamo a evidenziare che il problema è talmente gravoso – un’ulteriore dimostrazione del malcontento e della sfiducia delle masse popolari verso il governo Meloni e i partiti che lo compongono sarebbe talmente gravosa – che alcuni azzeccagarbugli stanno rovistando fra i cavilli per rimandare le elezioni regionali previste nel 2025 in importanti regioni fra cui Veneto, Toscana e Campania.
Ciò non vuol dire che “le elezioni saranno rimandate”, ma che nella guerra per bande fra le fazioni dei vertici della Repubblica Pontificia anche lo svolgimento delle elezioni è usato come clava (oppure oggetto di scambio o di ricatto), alla faccia della democrazia borghese e dei suoi rituali.

Crepe nella maggioranza

Dopo il difficile iter di approvazione della Legge di bilancio, il raffreddamento delle tensioni fra gli alleati di governo è destinato a durare poco: ci sono mille fronti su cui Fdi, Lega e Fi portano acqua al proprio mulino anziché al mulino del governo. Le questioni principali riguardano il ruolo dell’Italia rispetto all’allargamento della guerra della Nato contro la Federazione Russa in Ucraina e l’invio di armi italiane per attaccare il territorio russo; il ruolo dei militari italiani dell’Unifil in Libano; i contrasti rispetto al sostegno alla Commissione Europea e sul ruolo del commissario Fitto; la “postura” da tenere di fronte alle manovre degli Agnelli-Elkann e ai loro ricatti per ottenere finanziamenti pubblici per prolungare l’agonia di Stellantis… E ci fermiamo qui.

Il governo Meloni è nel mezzo di un campo minato e ogni dichiarazione che millanta stabilità, forza e capacità trasuda debolezza. È la sua debolezza, ma è anche la debolezza di tutto il sistema delle Larghe Intese. Possiamo e dobbiamo approfittarne.

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