Verso la manifestazione contro il ddl1660 del 14 dicembre a Roma

Video intervento di Shukri Hroob (Udap) sulla lotta alla repressione

Pubblichiamo il video intervento di Shukri Hroob rispetto alla liberazione di Tiziano, il compagno arrestato in occasione della manifestazione in solidarietà con la resistenza palestinese e libanese del 5 ottobre di Roma.
Condividiamo a pieno le parole di Shukri sull’importanza di mettere al centro ciò che è legittimo e che va negli interessi delle masse popolari anche se illegale o reso tale da governi e autorità borghesi. Per approfondire ulteriormente il tema, rilanciamo l’articolo dal titolo ” È legittimo tutto ciò che è conforme agli interessi delle masse popolari” pubblicato sul numero 78 de La Voce del (n)PCI.
Rinnoviamo, inoltre, l’appello a partecipare numerosi alla manifestazione di sabato 14 dicembre a Roma contro il ddl1660 promossa dalla “Rete A pieno regime” e a cui parteciperà anche la “Rete Liberi/e di lottare – contro il DDL 1660” (vedi qui adesione). La classe dominante cerca di criminalizzarci ma Il 5 ottobre insegna: resistere alla repressione è possibile, lottare la repressione è possibile se mettiamo al centro la solidarietà e l’unità di classe!

Con questo spirito parteciperemo alla manifestazione di sabato 14 dicembre a Roma per dire no al DDL 1660, per alimentare la lotta contro il Governo Meloni servo dei padroni, dei sionisti e della NATO. Dobbiamo cacciarlo! Le masse popolari organizzate devono dirigere il paese tramite un governo che risponda a loro: un Governo di Blocco Popolare.

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È legittimo tutto ciò che è conforme agli interessi delle masse popolari

Sostegno alla resistenza palestinese, lotta contro gli agenti sionisti, mobilitazione contro il DDL 1660

Il principio che è legittimo tutto ciò che serve agli interessi delle masse popolari, anche se vietato dalle leggi della classe dominante (quindi è illegale), è uno dei principi che deve guidare l’iniziativa di ogni organismo operaio e popolare, di ogni sindacato, coordinamento, movimento e partito che intende perseguire realmente e fino in fondo gli interessi delle masse popolari.

La classe dominante sistematicamente impone o cerca di imporre restrizioni e divieti all’azione delle masse popolari. Lo fa con le leggi repressive (vedasi da ultimo il Disegno di Legge “Sicurezza” n. 1660, presentato dal governo Meloni il 22 gennaio scorso, approvato dalla Camera il 18 settembre e ora in discussione al Senato),(1) con la forza del suo apparato propagandistico (campagne di denigrazione, liste di proscrizione di “antisemiti” e “putiniani”, terrorismo mediatico, ecc.), con i quotidiani abusi di potere, la militarizzazione del territorio, il controllo e il ricatto sociale.

1. Il DDL 1660 prevede in particolare

– l’inasprimento delle pene per i reati di oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale nelle manifestazioni di piazza;

– l’estensione del ricorso al DASPO urbano;

– l’introduzione del reato di rivolta penitenziaria, esteso anche per i migranti nei Centri di Protezione per il Rimpatrio e nei Centri di accoglienza per richiedenti asilo;

– procedure lampo per lo sgombero delle case occupate e l’introduzione di un nuovo reato che prevede la reclusione da 2 a 7 anni contro gli occupanti;

– la stretta contro i blocchi stradali (che diventano reati penali);

– la cancellazione della possibilità di rinviare la pena detentiva per le donne in stato di gravidanza.

La Lega ha inoltre presentato un emendamento per introdurre nel DDL la condanna da 4 a 20 anni di carcere per chi “anche con atti simbolici, possa anche solo minacciare il blocco di opere infrastrutturali o impedire la realizzazione di un’opera pubblica o di un’infrastruttura strategica”: una norma tagliata su misura per la rete di attivisti mobilitati contro le grandi opere speculative (a partire da TAV, ponte sullo Stretto di Messina, rigassificatori, ecc.).

La classe dominante promuove anche una vera e propria cultura del legalitarismo, ossia del rispetto delle leggi anche se antipopolari e reazionarie, che fa leva sul mito della forza della borghesia capace di “vedere e controllare” tutto o comunque soggiogare le masse popolari se non addirittura condizionarle e dirigerle. È una cultura che in definitiva promuove la concezione che l’agibilità politica e sindacale della classe operaia e delle masse popolari non dipende dai rapporti di forza che queste, organizzandosi, riescono a imporre, ma dalle leggi e dalla benevolenza della borghesia, come se sul piano dei rapporti di forza quest’ultima non potesse essere sconfitta. La cultura del legalitarismo quindi va anche oltre il rispetto delle leggi borghesi: si basa sostanzialmente sull’idea che anche nel migliore dei casi tutto può e deve essere confinato a ciò che prevede l’orizzonte della società borghese, che è tollerato dalla borghesia. Spesso infatti la borghesia stessa per i suoi interessi viola le proprie leggi: quante volte nelle aziende prevale lo scoraggiamento di fronte agli abusi dei padroni perché “così funziona, se vuoi lavorare!”.

In questo articolo mi concentro su tre questioni che trasudano di legalitarismo e che influenzano negativamente l’azione che le masse popolari svolgono nella fase attuale.

L’idea che se la classe dominante vieta una data iniziativa, bisogna per forza accettare il divieto: al massimo si può ripiegare su iniziative alternative

I diritti si difendono praticandoli e quando le masse popolari si organizzano per praticarli non è detto che divieti o imposizioni riescano a impedirne l’esercizio: è solo una questione di rapporti di forza. È ciò che conferma la rottura del divieto che il governo Meloni aveva imposto alla manifestazione prevista per il 5 ottobre a Roma ad un anno dall’offensiva del 7 ottobre 2023 della Resistenza palestinese contro lo Stato sionista d’Israele. Dinanzi alle minacce di divieto, fatte circolare dai media di regime già a metà settembre (un mese prima della manifestazione) e condite con il classico terrorismo mediatico sui pericoli di violenze, è circolata tra alcuni organismi (centri sociali, organismi popolari, sindacati di base, ecc.) la posizione conciliatoria che, stante il divieto (inizialmente soltanto minacciato!), era meglio fare iniziative locali diffuse piuttosto che convergere su Roma il 5 ottobre.

Alla base di questa posizione c’era la sfiducia

– nel fatto che il movimento di solidarietà con la Resistenza palestinese, che in Italia dal 7 ottobre 2023 ad oggi ha promosso centinaia di mobilitazioni in tutto il paese (in alcune città addirittura mobilitazioni settimanali) e migliaia di iniziative grandi e piccole a livello locale, “accampate” e occupazioni delle università, ecc., avesse la volontà e la determinazione necessarie a far saltare effettivamente il divieto imposto per il 5 ottobre;

– nel fatto che le masse popolari del nostro paese fossero effettivamente capaci di far fronte a un simile divieto che comportava il rischio di scontri di piazza, denunce, clamore mediatico e che scontri, denunce e clamore mediatico non avrebbero indebolito ma anzi rafforzato il sostegno popolare di cui gode la Resistenza palestinese e l’odio verso i sionisti e i loro complici;

– nel fatto che il governo Meloni e i vertici della Repubblica Pontificia desistessero dal divieto come effettivamente è avvenuto: quando hanno capito che la manifestazione si sarebbe tenuta nonostante il divieto, la mattina del 5 ottobre stesso hanno autorizzato un presidio in piazzale Ostiense. È stata una vittoria per il movimento di solidarietà con la Resistenza palestinese, una vittoria che adesso bisogna far valere per tutte le prossime mobilitazioni, per far rimangiare al governo Meloni precettazioni e divieti.

Ci sono casi in cui il livello di mobilitazione, organizzazione e coordinamento degli organismi operai e popolari non è ancora sufficiente per fare delle forzature rispetto alla legalità borghese: in questi casi bisogna retrocedere, riformulare i propri obiettivi in maniera conforme alla situazione e rafforzarsi. Ci sono casi in cui invece è necessario alzare il livello di scontro violando i divieti imposti dalla borghesia perché è il salto che serve a rafforzare ed elevare il livello di mobilitazione, organizzazione e coordinamento degli organismi operai e popolari: il 5 ottobre scorso è stato un salto di questo tipo. Non vuol dire essere avventuristi o “mettersi nelle mani della repressione”, ma essere convinti che in definitiva sono le masse popolari a fare la storia, che se organizzate e determinate a vincere esse hanno la forza di perseguire obiettivi giusti. Vuol dire avere più fiducia nella capacità e forza delle masse popolari che in quelle della borghesia.

L’idea che le iniziative che rompono con la legalità o con le prassi della borghesia sono sbagliate e causano la repressione

Un esempio di questo è il “fuoco amico” contro la denuncia nominativa degli agenti dell’Entità sionista operanti in Italia che il (n)PCI ha fatto con l’Avviso ai Naviganti 145 del 22 agosto 2024. In particolare mi riferisco all’articolo a firma Fosco Giannini pubblicato il 26 agosto sul sito del Movimento per la Rinascita Comunista. Nel suo articolo Giannini non dice se è vero o no che esiste una Entità sionista internazionale i cui organismi, agenti e collaboratori operano anche nel nostro paese a sostegno dello Stato sionista d’Israele, responsabile del genocidio in corso nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania. Non dice neanche se le masse popolari italiane devono, anche nel loro proprio interesse, combattere ognuno degli esponenti dell’Entità sionista in ogni modo di cui esse sono capaci nel proprio contesto concreto: la lotta alla quale il (n)PCI chiama i destinatari dell’Avviso ai Naviganti 145. Giannini sostiene semplicemente che denunciare nominativamente organismi, agenti e collaboratori dell’Entità sionista operanti in Italia significa essere complici o addirittura esponenti delle forze della repressione anticomunista e antipopolare e che tale è il (n)PCI perché è clandestino. Giannini conferma che non ha superato le illusioni e i pregiudizi “democratici” e la concezione da “partito rivoluzionario nei limiti della legge” propagandati e imposti dalla borghesia imperialista e dai revisionisti moderni da Togliatti in poi. Quella di Giannini è la concezione che vincola i comunisti e le masse popolari ad un compromesso al ribasso nei confronti della legalità borghese: quanto più la borghesia stringe le catene della repressione, tanto più dobbiamo addomesticarci, non “tirare la corda”, non “fare casino”, magari perché siamo pochi e la repressione può ridurre il nostro numero. Al contrario, diciamo noi, è giusto e necessario individuare e promuovere quelle iniziative e attività che sono necessarie alle masse e che, anche se violano la legalità o le prassi imposte dalla borghesia, rafforzano la mobilitazione, l’organizzazione e il coordinamento degli organismi operai e popolari, danno loro fiducia che sono in grado di combattere e vincere, spingono anche altri alla lotta (compresi quelli che si sono demoralizzati a seguito delle sconfitte incassate a ripetizione sotto la guida della sinistra borghese). La logica secondo cui non è possibile fare una data attività in rottura con la legalità borghese perché espone alla repressione (che novità!) è una logica che educa alla ritirata, a giustificare il proprio immobilismo, ad arrendersi prima di combattere senza tener conto invece degli effetti positivi che una data iniziativa può suscitare. Dal 7 ottobre 2023 ad oggi le masse popolari italiane possono vedere quotidianamente in diretta sui maggiori canali di informazione internazionali il genocidio in corso in Palestina, possono piangere per i bambini palestinesi trucidati sotto le bombe, possono indignarsi per i crimini dei sionisti: il (n)PCI ha soltanto reso un servizio facendo conoscere i nomi dei mandanti e sostenitori di tutto ciò per poterli combattere.

La posizione di Giannini, oltre a seminare arrendevolezza e paura della repressione ed educare ad un ossequioso quanto deleterio rispetto per il nemico, alimenta la divisione tra buoni e cattivi e quindi spaccature e isolamento nel campo delle masse popolari, al pari della posizione promossa dalla rivista l’AntiDiplomatico, secondo cui il tentativo di forzare il blocco di polizia che il 5 ottobre impediva l’avvio del corteo è stato opera di gruppi di infiltrati. Scommetto che se l’azione fosse riuscita e il corteo fosse partito, nessuno si sarebbe posto il problema!

Posizioni di questo tipo esprimono una concezione legalitaria della lotta di classe e sono frutto dell’influenza della classe dominante: ciò che viene messo al centro è la forza della borghesia e dei suoi apparati repressivi, le sue manovre e operazioni segrete capaci di condizionare piccoli e grandi eventi, e non la forza che le masse popolari possono esprimere organizzandosi su giusti obiettivi e in maniera determinata.

Opporsi alla repressione senza un piano di lotta per far saltare le misure repressive delle autorità

La repressione dilaga nel nostro paese e nel resto dei paesi imperialisti, man mano che procedono la crisi generale del capitalismo, l’eliminazione delle conquiste, l’aggressione contro i paesi e i popoli oppressi che non accettano docilmente di essere saccheggiati e quindi si sviluppa la resistenza delle masse popolari. L’ “ordine sociale” della borghesia imperialista è sempre più un ordine di guerra, di miseria, di distruzione dell’ambiente. Per imporlo e conservarlo la classe dominante deve indurre le masse popolari a rassegnarsi ad esso, quindi le sue autorità devono reprimere i ribelli e gli organismi che promuovono la resistenza popolare e, nel nostro paese, eliminare per legge e di fatto quanto resta delle libertà democratiche conquistate con la Resistenza.

Ma quando calpesta i diritti delle masse popolari e cerca di limitare la libertà di organizzazione e protesta, la classe dominante non si muove su un terreno per lei favorevole. Un esempio è il movimento che si è sviluppato in tutto il paese contro il DDL 1660: non è la prima misura repressiva adottata dal governo Meloni,(2) ma rappresenta un salto di livello. Contro il DDL 1660 è schierato un ampio e variegato numero di forze, che va dal sindacalismo di base, organismi già attivi contro la repressione, partiti e organismi del movimento comunista, sinceri democratici alla CGIL, ANPI e ARCI; anche PD e altri “oppositori” parlamentari del governo Meloni, esponenti della Chiesa e della magistratura hanno preso posizione contro il DDL 1660: il ricorso alla repressione divide i vertici della Repubblica Pontificia tra chi è per stroncare le mobilitazioni colpendo duro, chi è per attenuare contrasti, concedere qualcosa a qualcuno, trovare elementi di conciliazione, chi punta sulla mobilitazione reazionaria (mobilitare una parte delle masse popolari contro le altre).

2. Sono sei le misure già approvate dal governo Meloni, da ottobre 2022 ad oggi, volte a reprimere le masse popolari:

– Decreto legge “Anti-Rave” n. 162 del 31.10.22, convertito in legge n. 199 il 30.12.22;

– Decreto legge “Cutro” n. 20 del 10.03.23, convertito in legge n. 50 il 5.05.23;

– Decreto legge “Caivano” n. 123 del 15.09.23, convertito in legge n. 159 il 13.11.23;

– Decreto legge n. 124 19.09.23, convertito in legge n. 162 1.11.23;

– Decreto legge sulle organizzazioni non governative n. 1 del 2.10.23, convertito in legge n. 15 il 24.02.24;

– Legge n. 6 del 22.01.2024, contro le azioni di protesta promosse da organizzazioni ambientaliste come Ultima Generazione ed Extinction Rebellion.

Usare anche le divisioni in seno alla classe dominante per suscitare un movimento ampio e capillare di protesta e di lotta contro la repressione, rafforzarlo ed elevarlo quanto a orientamento e a efficacia senza portare acqua al mulino della classe dominante e infilare il movimento in un vicolo cieco richiede che i promotori della lotta contro il DDL 1660 (in particolare la Rete liberi/e di Lottare – No DDL 1660, promossa da SICobas e Iskra di Napoli e a cui aderiscono già più di 150 organismi) diano seguito non solo alla denuncia e all’opposizione contro il DDL 1660, ma si dotino di un piano d’azione che combina

– lo sviluppo della solidarietà di classe come strumento per legare in un ampio fronte di lotta contro la repressione molteplici settori delle masse popolari: dai lavoratori precettati per gli scioperi a quelli colpiti dalla repressione aziendale; dai movimenti di lotta contro la NATO e la guerra ai comitati e organismi che lottano contro la devastazione dell’ambiente fino agli organismi e individui colpiti dalla repressione per le proprie posizioni contro lo Stato sionista d’Israele e in solidarietà con il popolo palestinese;

– una campagna di iniziative finalizzate non solo a impedire l’approvazione del DDL 1660, ma anche a sabotare da subito le misure restrittive e antipopolari già in atto e fare della violazione di queste misure una pratica diffusa (violazione dei fogli di via, dei DASPO urbani e delle precettazioni contro gli scioperi, non pagamento delle sanzioni pecuniarie e altre iniziative simili): la vittoria contro il divieto di manifestare il 5 ottobre a Roma ha mostrato che è possibile non solo lottare contro la repressione, ma anche far saltare i dispositivi repressivi messi in campo dalla classe dominante. Una campagna di lotta contro la repressione che confluisca cioè in una più generale campagna di mobilitazione per cacciare il governo della guerra, dell’economia di guerra e della repressione, servo degli imperialisti USA, complice dei sionisti e compare degli imperialisti UE;

– lo sviluppo della lotta contro la repressione in campi come la denuncia degli infiltrati e delle spie, la denuncia e la lotta contro gli agenti pubblici e privati che schedano e controllano, contro la polizia politica, contro il controllo che le Forze dell’Ordine estendono sulla corrispondenza, sulle comunicazioni telefoniche, su Internet, contro le schedature e la sorveglianza con videocamere.

In sintesi, richiede di fare della repressione un problema di ordine pubblico, un problema politico, sfruttando la contraddizione tra la riduzione della libertà per le masse e la libertà assicurata ai sionisti nel nostro paese di condurre le proprie operazioni a sostegno del genocidio del popolo palestinese, ai padroni di sfruttare e uccidere gli operai, agli speculatori di fare affari devastando il territorio, ai guerrafondai di trascinare il nostro paese nella Terza guerra mondiale.

Le masse popolari devono trovare la strada per farla finita con il governo Meloni, con i vertici della Repubblica Pontificia e con il loro “ordine sociale” di guerra, miseria e devastazione ambientale. Un governo che tutela un ordine sociale che non assicura a tutti un posto dignitoso, un lavoro utile e sicuro, i beni e servizi necessari per una vita dignitosa, l’accesso di tutti al patrimonio culturale, alla conoscenza e all’arte non ha alcuna legittimità, non solo morale, ma neanche ai termini della Costituzione strappata dalla Resistenza. Ribellarsi è giusto! Chi predica contro la ribellione e condanna la ribellione delle masse popolari anziché estenderla, elevarne il livello di coscienza e di organizzazione, definirne meglio gli obiettivi politici e sociali, rendere più efficaci le forme di lotta lavora a favore della borghesia e del suo ordine sociale di morte. Le forme di ribellione sono tanto più giuste quanto più sono efficaci per eliminare l’ordine sociale che ci opprime.

I comunisti, i lavoratori avanzati, la parte più avanzata delle masse, i sinceri democratici devono mettersi alla testa della ribellione delle masse popolari e trasformarla in lotta per instaurare il socialismo. Questa è l’unica via per porre fine alla crisi perché pone fine al capitalismo e instaura un ordine sociale degno di questo nome.

Mirco F.

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