Sulla lotta per il rinnovamento del movimento sindacale

Fare dello sciopero del 13 dicembre una grande giornata di mobilitazione

Fare dello sciopero del 13 dicembre una grande giornata di mobilitazione in continuità con il 29 novembre per cacciare il governo Meloni

Il governo Meloni ha la maggioranza in parlamento, ma non nel paese. Sono oltre 50 gli scioperi già a calendario per il mese di dicembre: benché 20 siano stati ritirati, almeno 30 rimangono confermati, tra cui lo sciopero generale indetto da Usb per il 13 dicembre con anche Fisi. Questa data “segue” quella del 29 novembre indetta da Cgil e Uil e a cui ha aderito la quasi totalità del sindacalismo alternativo e di base, a eccezione di Usb.
È necessario rimuovere tutti gli ostacoli, politici e organizzativi, che impediscono di avanzare più speditamente nel rendere il paese ingovernabile al governo Meloni e nell’imporre un governo di emergenza popolare.
Dare continuità alla mobilitazione del 29/11 e fare del 13/12 un’altra grande giornata di mobilitazione per cacciare il governo Meloni.
Anche la Fiom ha proclamato scioperi e mobilitazioni a fronte della rottura della trattativa per il rinnovo del CCNL dei metalmeccanici. Ad esempio in Lombardia il 13/12 c’è uno sciopero di 4 ore a fine turno.

L’Italia, tramite il governo Meloni e i partiti delle Larghe Intese, è completamente coinvolta nel dispiegamento della Terza guerra mondiale a opera della Comunità Internazionale degli imperialisti Usa, sionisti e Ue.
Quanto prima si trae una conclusione realistica dal marasma in cui il mondo è immerso e meglio è: nessuna fazione della borghesia imperialista, nessun partito e nessun esponente della classe dominante ha la volontà né la possibilità di cambiare questo corso delle cose, perché loro ne sono gli artefici.
Solo i lavoratori e le masse popolari organizzate, con la mobilitazione e con la lotta. possono farlo.
Tuttavia, la lotta di classe per come l’abbiamo conosciuta negli ultimi 40 anni, con la direzione dei revisionisti moderni e della sinistra borghese – lotta rivendicativa e lotta sul piano elettorale – non è adeguata alle esigenze imposte dagli sviluppi della crisi generale del capitalismo.
Si pone con urgenza la questione di spezzare la catena della Comunità Internazionale degli imperialisti Usa, sionisti e Ue. Il primo paese imperialista che lo farà aprirà la strada a tutti gli altri e darà l’avvio alla fase dispiegata della seconda ondata mondiale della rivoluzione proletaria.

Abbiamo recentemente trattato delle esigenze della lotta di classe in questa fase, prendendo spunto dalle contraddizioni sorte nel movimento in solidarietà con il popolo palestinese. Lungi dall’essere una questione circoscritta e temporanea, è utile e salutare sviluppare il dibattito più ampio possibile sulle due linee che esistono oggi nel campo delle organizzazioni politiche e sindacali che si pongono l’obiettivo di cambiare il corso delle cose su cui marcia forzatamente il paese.
L’obiettivo di questo dibattito deve essere individuare e distinguere le tendenze arretrate da quelle avanzate per isolare le prime e favorire le seconde in modo da sprigionare tutta la forza delle masse popolari per rovesciare il sistema politico delle Larghe Intese e imporre in Italia un governo di emergenza popolare.

Siamo di fronte a una situazione nuova, nessuno di noi l’ha mai vissuta prima né la trova descritta in un libro. Bisogna osare avanzare. Il nuovo suscita dubbi: è inevitabile perché presenta sempre aspetti incerti. Il nuovo suscita perfino paura: anche questo è inevitabile, perché il nuovo comporta sempre aspetti ignoti. Ma chi non si rimbocca le maniche e non osa avanzare, subisce quello che fanno gli altri e, se è un intellettuale, propaganda disfattismo. Bisogna misurare con cura e responsabilità ogni passo, ma avanzare. Nel dubbio, meglio osare avanzare: come minimo impareremo. Possiamo indirizzare il corso degli eventi a nostro favore. Se noi avremo successo in Italia, nel resto dell’Europa le cose precipiteranno in senso favorevole a noi: in ogni paese le masse popolari hanno problemi analoghi ai nostri.
– da La voce del (n)Pci n. 78 “Dare un indirizzo unitario alla crescente mobilitazione contro il governo Meloni

Per quanto riguarda lo specifico del movimento sindacale italiano, le due linee che si scontrano riguardano
– da una parte la convinzione che sia possibile far fronte alla situazione attraverso la concezione, gli strumenti e i metodi che erano adeguati alla fase del periodo del capitalismo dal volto umano (una fase iniziata subito dopo il 1945 e che si esaurita grossomodo a metà degli anni Settanta: la mobilitazione dei lavoratori e delle masse popolari ha ottenuto grandi risultati sulla base di piattaforme rivendicative radicali e forme di lotta finalizzate a “strappare conquiste” al governo e ai padroni). Da questa convinzione deriva l’obiettivo di “cavalcare” il movimento spontaneo delle masse popolari per rafforzare i rispettivi organismi politici e sindacali (far crescere influenza e prestigio delle rispettive aree politiche) poiché la lotta di classe è intesa come conseguenza di parole d’ordine più o meno radicali, metodi di lotta più o meno radicali, strumenti più o meno radicali con cui strappare alla classe dominante conquiste e diritti. Questa è oggi la linea arretrata.

– Dall’altra parta la consapevolezza che nella situazione determinata dalla crisi generale in cui siamo immersi, per difendere le conquiste che padroni e governo stanno eliminando e per estendere diritti e conquiste a tutti i lavoratori e a tutte le masse popolari è necessaria la battaglia sul campo politico e non solo quello rivendicativo. Da questa consapevolezza deriva l’obiettivo di mobilitare tutti i settori operai e popolari mobilitabili, coordinare tutti gli organismi politici, sindacali e sociali che sono già attivi, incanalare tutta la mobilitazione per cacciare il governo Meloni, dare uno sbocco politico al movimento spontaneo delle masse popolari che si traduce nella lotta per la costituzione di un governo di emergenza popolare come via per alimentare la rivoluzione socialista. Questa è la linea avanzata.

La linea arretrata si ostina a perseguire strade che si sono dimostrate perdenti negli ultimi decenni.
La linea avanzata lavora per darsi i mezzi per far fronte efficacemente alla situazione attuale e, pur spontaneamente, cerca uno sbocco politico per lotta di classe, oltre il seminato prettamente rivendicativo e di quanto consentito dalla legalità e dalle regole imposte da governo e padroni.
Nessuna delle due posizioni è “cristallizzata” in questa o quella organizzazione sindacale, entrambe le posizioni esistono e si scontrano in ogni organismo che promuove l’organizzazione e la mobilitazione dei lavoratori e delle masse popolari, in ogni organizzazione sindacale, tanto nella sinistra dei sindacati di regime che nei sindacati di base.
Le settimane scorse, in particolare con lo sciopero del 29/11, e le prossime, in particolare con lo sciopero del 13/12, hanno fatto emergere più chiaramente lo scontro fra queste due linee.

È emblematica la situazione di Stellantis. Dopo un lungo periodo di morte lenta, lo smantellamento degli stabilimenti ha avuto un picco repentino nelle scorse settimane e le dimissioni dell’Ad, Tavares, ne sono state la comunicazione “non verbale”. Di fronte a ciò la Cgil (ma sulla stessa posizione si allineano i sindacati di base) chiede ai vertici Stellantis un nuovo piano industriale e chiede al governo una nuova politica industriale. Che senso ha chiedere a chi ha coscientemente distrutto l’azienda di rianimare il morto?
Il “piano industriale” degli Agnelli-Elkann è cristallino e in atto da anni: smantellare la produzione di auto e spostare il terreno d’azione dell’azienda nel campo della speculazione finanziaria.
Anche il piano del governo Meloni è chiaro: lo ha dichiarato la stessa Meloni a poche settimane dal suo insediamento: assecondare i padroni e lasciarli lavorare “con le mani libere”.
Quindi avanti con la Cig, i licenziamenti, le chiusure nell’indotto – vedi Trasnova.
Non ci sono margini per chiedere a padroni e governo una differente politica industriale.
Una nuova politica industriale e piani industriali per Stellantis, Beko, Gkn, ecc. ci saranno quando saranno le organizzazioni sindacali e gli organismi operai a farli e imporli con la lotta e ci saranno in grande con un governo che è loro diretta espressione ad attuarli.
Che lo sbocco unitario della mobilitazione dei lavoratori sia di tipo politico è evidente anche dal fatto che le mobilitazioni e gli scioperi delle organizzazioni sindacali hanno sempre più chiaramente una impostazione politica: vedere, ad esempio, le mobilitazioni de “La via maestra” promosse dalla Cgil o anche il fatto che tutti i sindacati di base hanno impugnato più chiaramente la parola d’ordine “contro il governo Meloni”.
Quanto prima la “questione dello sbocco politico” viene assunta coscientemente, tanto prima la sinistra delle organizzazioni sindacali troverà la strada per far valere la forza dei lavoratori e delle masse popolari organizzate.

I vertici della Cgil e della Uil sono stati progressivamente costretti a farsi promotori della mobilitazione dei lavoratori e delle masse popolari. I motivi sono due.
Il primo è che il governo Meloni ha demolito la concertazione su cui poggiava l’azione dei sindacati confederali da oltre trent’anni. Governo e padronato hanno semplicemente smesso di accordarsi e “mercanteggiare” con i sindacati confederali per imporre lacrime e sangue ai lavoratori e ai pensionati: è successo, ad esempio, con l’aumento di 3 euro delle pensioni e prosegue con le misure della finanziaria. Sta succedendo anche per i rinnovi contrattuali (Cgil e Uil sono già fuori dal rinnovo del contratto nel Pubblico Impiego e da quello di Poste). Per non finire nel sottoscala, Landini ha dovuto cambiare registro. Dall’invito alla Meloni al congresso della Cgil è passato a dire di voler “rivoltare il paese come un calzino” e parla di “rivolta sociale”: deve far valere di fronte al governo quello che resta della forza della Cgil.
Il secondo motivo è la spinta della base degli iscritti che non tollera più le genuflessioni a governo e padroni a fronte del disastro economico, della distruzione di diritti e tutele e del progressivo smantellamento dell’apparato produttivo (dalla Gkn a Stellantis, alla Beko, ecc.).
I due motivi sono ovviamente legati: per mettere “la forza della Cgil” sul tavolo delle trattative con il governo, Landini ha bisogno di mobilitare gli iscritti (perché senza gli iscritti non conta niente), ma per mobilitare gli iscritti deve farla finita con i salamelecchi e gli inchini a governo e padroni.
Ogni volta che la Cgil ha promosso mobilitazioni con parole d’ordine fumose, la risposta dei lavoratori è stata limitata e marginale. Ogni volta ha la Cgil ha promosso mobilitazioni con parole d’ordine che prendevano di petto il governo, la partecipazione è stata ampia e combattiva. Oltre allo sciopero del 29/11 scorso è emblematico lo sciopero del 17/11/2023.
Fra l’incudine del governo Meloni che ha mandato a monte la concertazione e il martello degli iscritti che non ne possono più, ad esempio, di lavorare nel paese con gli stipendi più bassi d’Europa senza che il maggiore sindacato sia disposto a fare qualcosa di diverso che abbaiare alla luna, la soluzione non può essere la mediazione.
Anche Landini dovrà decidere da che parte stare: se si limiterà alle dichiarazioni roboanti senza darvi seguito, perderà – ancora – parti crescenti della base. Se asseconderà la base, deve prendere di petto il governo Meloni. È la strada che, pur timidamente, è costretto a imboccare.
Rappresentativo di ciò sono sia la decisione di presentare ricorso contro la precettazione di Salvini per lo sciopero dei trasporti del 29/11 – anche se per il momento non circola neppure l’idea di violarle su ampia scala – e soprattutto la decisione della Cgil di NON formare il Protocollo d’Intesa per il Giubileo (impegno a non scioperare nei settori del trasporto, sicurezza, ambiente e sanità nei giorni di eventi di grande richiamo di persone, a partire dall’apertura della porta della Basilica di San Pietro il 23-25 dicembre 2024) con la Commissione di Garanzia, il sindaco di Roma e commissario speciale per il Giubileo, la Presidenza del Consiglio e ministri dei Trasporti, Interno e Salute. La motivazione di tale rifiuto è che il Protocollo “mira solo a evitare scioperi e anziché impegnarsi a rimuoverne le cause”.

La questione reale e di prospettiva è perché Landini è passato dai salamelecchi alla Meloni alla “rivolta sociale” e come servirsene per promuovere effettivamente quella “rivolta sociale” che Landini non promuoverà, ma di cui i lavoratori hanno bisogno affinché “nessun lavoratore sia licenziato”, “nessuna azienda venga chiusa”, “ogni adulto abbia un lavoro dignitoso”. Bisogna mettere al centro questi obiettivi (contro natura per i padroni e i loro governi: per loro le aziende sono macchine per fare soldi e i lavoratori manodopera da usare quando serve) e promuovere la mobilitazione più vasta possibile per imporli e per renderli duraturi e compatibili tra loro e con le condizioni generali nazionali e internazionali. I sindacati alternativi e di base, nati per far fronte alla concertazione e alla collaborazione con i padroni che i sindacati di regime imponevano ai lavoratori, devono fare propri questi obiettivi e lanciare una vera e propria campagna per realizzarli, devono essere all’avanguardia nel mobilitare più largamente i lavoratori per imporli fino a costituire un governo d’emergenza che si formi proprio su questi obiettivi e per questi obiettivi, che sia formato da organismi e da persone che si battono per questi obiettivi. Di fronte a questi obiettivi e al dramma creato dalla crisi e dalla guerra, anche tra gli iscritti ai sindacati di regime cambia la situazione. E se cambia l’orientamento dei lavoratori, se cresce la mobilitazione dei lavoratori per questi obiettivi, anche un numero crescente di sindacalisti di regime, alcuni per convinzione altri per opportunismo, si schiereranno per questi obiettivi. I sindacalisti di regime non sono aspiranti suicidi: sanno bene che dipendono dai lavoratori, dal seguito e dall’adesione che hanno tra i lavoratori. Anche quelli opportunisti sanno bene che, se non riescono a controllare i lavoratori, per i padroni sono limoni spremuti e i padroni li gettano. Sarebbe un errore respingere l’adesione di questi sindacalisti e tanto più ancora respingere l’adesione dei lavoratori iscritti ai sindacati di regime a questi obiettivi. Come sarebbe egualmente un errore affidarsi a sindacalisti opportunisti e inaffidabili, mettersi nelle loro mani, fidarsi di loro. I sindacati alternativi e di base devono prendere e tenere in mano l’iniziativa, ma non essere settari. Non rifiutare oggi la collaborazione su questi obiettivi in nome delle porcate che quegli stessi sindacalisti hanno fatto ieri e che continuano a fare oggi (e più il legame procede nelle lotte di oggi, più gli diventerà difficile continuare a farne). Ma contemporaneamente non dar loro fiducia né mettere la lotta e gli interessi dei lavoratori nelle loro mani. Niente settarismi, ma autonomia e iniziativa.
– da La voce del (n)Pci n. 78 “Dare un indirizzo unitario alla crescente mobilitazione contro il governo Meloni

La maggioranza dei sindacati alternativi e di base (tranne Usb) ha proclamato lo sciopero generale il 29/11 in concomitanza con quello proclamato dalla Cgil e dalla Uil. Non è utile entrare qui nel merito di chi ha indetto prima lo sciopero, tipica manifestazione di uno spirito di concorrenza che, come vedremo di seguito anche rispetto alla partecipazione alle manifestazioni legate allo sciopero, contribuisce a spingere i sindacati di base e alternativi alla marginalità.
Ciò che è utile al ragionamento che stiamo facendo è invece l’aderenza alla realtà e la responsabilità verso i lavoratori che hanno spinto i sindacati di base a scioperare il 29/11, evitando di convocare uno sciopero generale minoritario. Ma non solo.
I sindacati di base, generalmente, alzano obiettivi e parole d’ordine più avanzati rispetto ai sindacati confederali: aver proclamato lo sciopero generale lo stesso giorno di Cgil e Uil ha rafforzato e riempito di contenuti – ad esempio la solidarietà al popolo palestinese, il NO alla guerra e al ddl 1660 – la mobilitazione complessiva di quella giornata.
E i risultati ci sono stati eccome: i nostri organi di propaganda hanno raccolto decine di interviste durante i cortei promossi dalla Cgil e la grande maggioranza dei lavoratori che sono stati disponibili a condividere le loro impressioni ha dimostrato apprezzamento e soddisfazione per uno sciopero “veramente unitario e generale”, oltre ad aver mostrato l’esigenza di dare continuità a quella giornata di mobilitazione.
Tutto bene? No. Al netto di alcune eccezioni – un esempio su tutti è Torino – i sindacati di base hanno convocato manifestazioni separate rispetto a quelle convocate da Cgil e Uil con le “solite” motivazioni – trite, ritrite e fuori dalla realtà – per cui manifestare insieme ai lavoratori iscritti alla Cgil e alla Uil avrebbe in qualche modo dato legittimità ai vertici di quei sindacati.
Il risultato, plasticamente, è stato il seguente: molte migliaia di persone ai cortei della Cgil e della Uil, poche migliaia (ma in alcuni casi poche centinaia) ai cortei dei sindacati di base.
Se si mettono a concorrere con i confederali su chi porta più lavoratori in piazza, i sindacati di base ne escono sconfitti. Non solo, i vertici dei sindacati di base hanno perso l’occasione non di “gonfiare le piazze dei sindacati di regime”, ma di far valere l’orientamento più avanzato, che pure hanno contribuito a dare alla giornata con le loro parole d’ordine e i loro obiettivi, fra le decine di migliaia di lavoratori che hanno partecipato alle piazze di Cgil e Uil.
Hanno perso l’occasione di valorizzare le richieste e le spinte a dare seguito a quella giornata di lotta che da quelle piazze emergevano, hanno perso l’occasione di essere compiutamente lo stimolo e il pungolo dei vertici di Cgil e Uil che di dare continuità immediata a quella mobilitazione non hanno intenzione (sono pur parte del sistema delle Larghe Intese!). Hanno perso l’occasione, in definitiva di diventare punto di riferimento per una parte di lavoratori combattivi che non si accontenta delle parole roboanti di Landini e Bombardieri.

Esempi positivi che indicano una strada. Il 29 novembre il Sol Cobas era presente con propri striscioni, volantini, cori e torce ai cortei dei confederali a Napoli e a Milano. Bene hanno fatto ad aderire ai cortei dei confederali anche singoli lavoratori, iscritti ed esponenti di altre organizzazioni sindacali – fra cui di Usb. A Torino non c’è stato nessun concentramento alternativo, i sindacati di base hanno portato nel corteo lanciato da Cgil-Uil le parole d’ordine e i loro obiettivi, rafforzati dalla presenza degli studenti e dei movimenti sociali. Questi sono esempi positivi di mobilitazione unitaria, la linea avanzata, che vanno replicati ed estesi.

L’Usb non ha scioperato il 29/11. Quella che contraddistingue i vertici di Usb è una forma di arretratezza “da manuale” al punto dall’aver messo i propri iscritti nella condizione di rimanere nelle aziende insieme alla Cisl. In nome di cosa? In nome di quale “interesse superiore della lotta di classe”?
Non lo sappiamo noi, non lo sanno i delegati e gli iscritti Usb e non lo sa neppure il gruppo dirigente che nel comunicato post sciopero del 29/11 non lo spiega. Anzi, se possibile complica le cose quando afferma:

“Il sindacato è anche pratica concreta dell’obiettivo, capacità di raggiungere il risultato, non è pura testimonianza o esplicitazione del punto di vista. E questo comporta la ricerca continua della mediazione, il piano delle alleanze, l’azione concertata anche con chi è diverso e distante da te. E Usb non si sottrae a questo, anzi promuove in tutte le situazioni dove questo è possibile e utile l’iniziativa comune. È il caso recente del referendum contro l’accordo separato firmato dalla Cisl e dal sindacalismo autonomo nel comparto delle funzioni centrali, che stiamo promuovendo con Cgil e Uil, anzi che noi abbiamo proposto a Cgil e Uil. Una iniziativa che ha un obiettivo preciso: far fallire il progetto di tenere bassi i salari dei dipendenti pubblici. Un’alleanza di scopo, eventualmente replicabile anche in altri comparti, ma comunque ben delimitata nelle sue finalità”.

Viene da chiedersi se fermare il paese con uno sciopero generale, perseguire l’obiettivo di respingere con la mobilitazione la finanziaria di guerra del governo Meloni, far montare la mobilitazione fino a cacciare il governo Meloni è un obiettivo concreto, tanto importante da meritare la “ ricerca continua della mediazione, il piano delle alleanze, l’azione concertata anche con chi è diverso e distante da te (…). Un’alleanza di scopo, eventualmente replicabile anche in altri comparti, ma comunque ben delimitata nelle sue finalità”. Oppure no? Perché Usb incarna una spinta positiva nel comparto delle funzioni centrali e si è sottratta dall’assumerlo nel caso dello sciopero del 29/11?
Il risultato dell’ambiguità dei vertici di Usb – possiamo chiamarla “poca chiarezza” – è stato duplice.
Da una parte, i lavoratori iscritti a Usb NON hanno partecipato allo sciopero più importante – fino a questo momento ciò è stato lo sciopero del 29/11 – contro il governo Meloni e alla più importante e unitaria mobilitazione degli ultimi anni.
Dall’altra, una parte di iscritti – quella che si è sentita più “a disagio” a rimanere nelle aziende con gli iscritti della Cisl, quella che non se la è sentita di spiegare ai lavoratori perché non avrebbero dovuto scioperare il 29/11 e preferire lo sciopero del 13/12, quella che non ha avuto argomenti o non ha voluto trovarli arrampicandosi sugli specchi – ha scioperato contro le indicazioni degli organi dirigenti.
Per essere chiari riguardo al fatto che la lotta fra tendenza avanzata e arretrata attraversa tutte le organizzazioni politiche e sindacali, insieme al settarismo i vertici Usb esprimono anche spinte avanzate. Un esempio fra gli altri è il fatto che lo sciopero del 13/12 è stato preparato non solo attraverso assemblee territoriali, ma anche iniziative di lotta come il presidio sotto il ministero dei trasporti contro le precettazioni.
Sono oscillazioni, fra spinte della tendenza arretrata e quelle della tendenza avanzata. Poiché i vertici Usb sono in gran parte afferenti all’area politica della Rete dei Comunisti, vale per questo discorso quello che abbiamo scritto nel comunicato “Questioni di lotta di classe” e, benché quel comunicato fosse calibrato sulle contraddizioni nel movimento di solidarietà al popolo e alla resistenza palestinese, rimandiamo a quelle considerazioni per alimentare il dibattito franco e aperto. Non è una questione di “discussioni aleatorie” è una questione di se e come si contribuisce allo sviluppo della mobilitazione dei lavoratori e delle masse popolari qui e ora.

***

Siamo alla vigilia dello sciopero generale indetto da Usb per il 13/12. Alla luce di quanto detto fin qui, il più “classico” degli atteggiamenti che poggia sulla linea arretrata che abbiamo trattato si riassume con “se lo facciano loro!”. Ma le pur comprensibili critiche verso i vertici di Usb non giustificano un simile atteggiamento.
Al contrario, è utile ai fini dello sviluppo della lotta di classe e della lotta per cacciare il governo Meloni che lo sciopero del 13 dicembre sia partecipato, che le piazze di Milano e di Roma – dove si svolgono i due cortei per lo sciopero – siano piene e rappresentative di tutto il movimento popolare che crea fermento nel paese. È utile concepire lo sciopero e le manifestazioni del 13/12 in stretta continuità con lo sciopero del 29/11, nel contesto delle mille manifestazioni della lotta di classe che caratterizzano queste settimane.
Sappiamo che i vertici della Cgil (pure quella parte che si presenta come la sinistra della Cgil) non si attiveranno di loro spontanea volontà in questo senso, come non lo farà la maggioranza dei vertici dei sindacati di base e alternativi. Ma in casi come questi sono i lavoratori che hanno la forza e l’opportunità di rompere steccati laddove le dirigenze li erigono (esattamente come tanti iscritti Usb hanno scioperato il 29/11), hanno la forza per dare una spallata al settarismo e alla divisione del fronte di lotta dei lavoratori e delle masse popolari.
Il discorso è che NESSUNA piazza e NESSUNA MOBILITAZIONE è superflua in questa fase. Bisogna anzi moltiplicare le forme di lotta per rendere ingestibile il paese al governo Meloni fino a cacciarlo. Bisogna dare continuità alla mobilitazione e impedire, come troppe volte è successo in passato, che dopo una mobilitazione pro forma i vertici sindacali dicano: “che altro potevamo fare? Non è bastato neanche scioperare”.

C’è un modo per affrontare positivamente le esigenze che la lotta di classe pone in questa fase anziché abbandonarsi al senso comune, alla concorrenza, alla denigrazione e al settarismo: la politica da fronte.
a. Avviare senza riserve il dibattito franco e aperto sulle questioni ideologiche e politiche che sono all’ordine del giorno a partire dalla natura della crisi generale in corso, il regime politico vigente nei paesi imperialisti, il bilancio dei primi paesi socialisti, la strategia per la rivoluzione socialista in Italia, l’origine e la natura della guerra in corso;
b. unità d’azione in tutte le occasioni e gli ambiti in cui è possibile, anche quando si hanno divergenze su aspetti di analisi e linea politica, mettendo al primo posto lo sviluppo della lotta di classe qui e ora e contrastando lo spirito di concorrenza fra organizzazioni politiche e sindacali;
c. la reciproca solidarietà contro la repressione, far emergere sempre l’esistenza di due campi: da una parte il campo della classe dominante e dall’altro quello delle masse popolari, del movimento comunista, antimperialista e rivoluzionario.

***

Le esigenze della lotta di classe alimentano in ogni ambito la lotta fra la tendenza avanzata e la tendenza arretrata. Mille spinte, per quanto spontanee e disorganizzate, chiamano i promotori della tendenza avanzata a compiere un salto: rompere gli indugi e aprire la strada al nuovo. Questo è il contenuto della lotta in corso per il rinnovamento del movimento sindacale del nostro paese
Ci sono imprese che non affrontiamo perché ci sembrano impossibili, ma in realtà ci sembrano impossibili solo perché non osiamo affrontarle.

Per le masse popolari è indispensabile porre fine alla Terza guerra mondiale e contrastare l’eliminazione delle conquiste, la devastazione e l’inquinamento della terra, la crisi climatica. Oggi siamo in grado di produrre in quantità tale che ogni persona abbia quanto necessario a una vita dignitosa; sappiamo pianificare, fare previsioni a lungo termine e con adeguati piani di ricerca possiamo risolvere ogni problema di qualche rilevanza pratica; nella concezione corrente è scontato che ogni persona che fa la sua parte di lavoro abbia diritto a quanto le occorre per una vita dignitosa. Ci sono quindi le condizioni materiali, intellettuali e morali necessarie per stabilire nei singoli paesi e a livello internazionale un sistema pianificato di produzione e distribuzione dei beni e dei servizi necessari a una vita dignitosa e moderna per tutti, all’altezza per tutti delle conoscenze e delle aspirazioni più avanzate che l’umanità ha concepito. Su questa base le masse popolari possono aprire una fase nuova della storia dell’umanità, in cui ogni persona darà il contributo di cui è capace alla produzione dei beni e servizi necessari perché ogni individuo conduca una vita dignitosa e tutti gli individui svilupperanno il meglio di sé nella conoscenza, nelle relazioni, nella scoperta dell’universo e di se stessi. Il socialismo è la fase in cui l’umanità forgerà su scala grande e crescente questa nuova vita. Ma il passaggio dal capitalismo al comunismo non è una trasformazione spontanea. La rivoluzione socialista e la costruzione del socialismo vanno prima pensate: si realizzano solo se i comunisti formano un partito comunista che le pensa e che mobilita le masse popolari a farle.
– da La voce del (n)Pci n. 78 “Come porre fine alla Terza guerra mondiale?”

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