Nell’ultimo mese a Napoli sono morti tre giovanissimi. Si tratta di Emanuele Tufano di 15 anni, Santo Romano di 19 e Arcangelo Correra 18 anni. Ad ammazzarli altri giovanissimi di età che vanno tra i 15 e i 20 anni così come è stato nell’ultimo anno per altri coetanei, Giovanbattista Cutolo e Francesco Pio Maimone.
L’ultimo di questi giovani freddati in strada, Angelo Correra, quattro anni fa aveva perso suo cugino, Luigi Caiafa, ucciso a 17 anni dai poliziotti, come fu per Davide Bifolco (17 anni), Ugo Russo (15 anni) e altre decine delle periferie delle grandi città italiane. Come Ramy Elgaml (19 anni) ammazzato il 24 novembre a Milano nel quartiere Corvetto a seguito di un lungo inseguimento dei Carabinieri.
A questi si aggiungono i casi di aggressioni alle forze dell’ordine, ma anche lavoratori e proletari come capitreno, insegnanti, operatori sanitari e chiunque in quel momento venga percepito come rappresentante delle autorità borghesi. In ognuno di questi casi, al di là delle contingenze e delle dinamiche che hanno portato a queste morti e aggressioni, sui media di regime non si trova altro che retorica, accuse ai giovani di essere diventati animali allo sbando, ai genitori di non averli saputi educare e in generale proponendo di risolvere il “fenomeno” con più polizia, più controlli, più repressione e “rieducazione”.
A nessuno di questi megafoni della violenza di Stato può venir in mente che questi fenomeni non sono altro che forme arretrate e distruttive di ribellione di questi giovani. Vomiti di malessere e odio coltivato con costanza e perseveranza dalle stesse istituzioni borghesi che nulla hanno da offrire se non lo sfruttamento di lavori da 2 euro l’ora, la depressione e la fuga dalla realtà abusando di droghe e alcool, qualche soldo facile e altrettanta galera per chi sceglie la via della criminalità organizzata e in ogni caso manganello, repressione e violenza in ogni strada, palazzo e angolo dei quartieri in cui vivono.
Polizia e rieducazione risolvono questi problemi? Ovviamente no. Semmai li aggravano. Non sono altro che misure calate dall’alto che cercano di fermare con le mani il fiume in piena della rabbia e del malessere sociale. Ognuna di queste migliaia di vite spezzate dalla morte, dalla galera, dalla fame e dall’abbrutimento dilagante è il manifesto del fallimento del sistema capitalista e nello specifico di ogni soluzione securitaria e poliziesca promossa dai governi borghesi. Attualizzando. È il fallimento del cosiddetto “modello Caivano” promosso da Giorgia Meloni e il suo governo.
La borghesia imperialista e il suo clero sprofondano il nostro paese in una tragedia senza fine. La Comunità Internazionale dei gruppi imperialisti europei, americani e sionisti sprofonda il mondo intero in una barbarie sempre più grave in cui si combinano guerre, crisi economica, disoccupazione e miseria, abbrutimento morale, degrado intellettuale, devastazione del territorio, crisi ambientale e delitti di ogni genere. Tutto questo non è casuale, è l’effetto della seconda crisi generale del capitalismo.
Nel nostro paese sono più di 5 milioni le persone (compresi una parte di lavoratori e pensionati) che vivono in povertà: un decimo della popolazione non ha il necessario per una vita civile mentre i supermercati traboccano di cibo, il governo spende miliardi in armi, i ricchi vivono nel lusso sfrenato. In tutti i paesi imperialisti milioni di persone sono cacciate ai margini della società e costrette a vivere di ammortizzatori sociali, di carità, di espedienti e di attività illegali.
Ogni giovane delle masse popolari ammazzato come un cane per strada, così come ogni giovane che gira armato per difendersi, affermarsi o sbarcare il lunario nella giungla delle grandi periferie italiane, così come ogni altro giovane che in questo marasma si perde nelle droghe, nel mondo virtuale e nei tremila artifici messi in campo dai padroni per impedirgli di organizzarsi e lottare contro la condizione in cui è relegato, sono lo specchio di una società allo sbando. Sono la fame, l’assenza di prospettive, l’essere visti come cani randagi da bastonare, intontire o chiudere in gabbia che generano quelli che i media di regime etichettano come “mostri”.
Ma i mostri, per quanto brutti questa società cerchi di farli diventare, non sono questi giovani. Nessuno di loro. I mostri sono i capitalisti, i politicanti dei loro parlamenti, il clero che regge loro il gioco, i suonatori della grancassa del circo mediatico e tutto il resto dell’immondizia che oggi cerca in ogni modo di impedire che l’incendio divampi. Ma a ogni schiaffo che danno finiscono per bruciarsi sempre di più.
Nella storia del nostro paese è già successo che i quartieri popolari, abbandonati al disordine e all’insubordinazione generalizzata la rabbia distruttiva si è spostata dalla guerra tra poveri alla guerra contro la borghesia, il suo Stato e le sue leggi. Già in passato le periferie e le provincie degradate per lo sfruttamento, l’instabilità sociale, la repressione e il carcere sono state l’università di formazione di nuove leve di rivoluzionari e di combattenti della causa delle masse popolari. Sono questi i quartieri in cui da decenni ci si organizza e si lotta per il diritto al lavoro, alla casa, a una vita dignitosa, ad avere verità e giustizia per giovani vite spezzate come nel caso dei comitati per Davide Bifolco, Ugo Russo o il gruppo di amici Ramy che a Milano si sta mobilitando in queste settimane per avere verità e giustizia. Una scuola in cui si impara nella pratica da che parte stare e che la soluzione a questo stato di cose non può essere individuale ma sociale.
Le forme in cui si esprime questa rabbia sono distruttive e scadono nella guerra tra poveri non per ataviche arretratezze di questi giovani, dei loro genitori o per un’insita cattiveria del genere umano. Rendere questi quartieri sempre di più avamposti della lotta al degrado e alla barbarie dilagante attraverso campagne di occupazione delle case, la creazione di comitati dei disoccupati, la promozione di scioperi alla rovescia (autorganizzare lavori socialmente utili e pretendere il pagamento dalle istituzioni), espropri e spese proletarie, rifiuto organizzato di pagare bollette, di pagare il biglietto sui mezzi pubblici, organizzazione dal basso la distribuzione dei beni (vedi l’esperienza delle brigate di solidarietà) e l’erogazione di servizi (vedi gli ambulatori popolari) e tutto quanto occorre per fare fronte agli effetti più gravi della crisi. Una serie di azioni di lotta e mobilitazioni che oggi si sintetizzano nella ribellione alle autorità borghesi e nella lotta per cacciare il governo Meloni e imporre un governo espressione delle masse popolari organizzate. Spingere in questa direzione è innanzitutto ruolo dei comunisti. Altro che repressione e rieducazione ai giovani delle masse popolari serve il movimento comunista, servono idee e pratiche per rendere produttiva la loro giusta rabbia e riversarla contro i veri responsabili di questa situazione.
Ovunque la classe dominante opprime è possibile che generi una maggiore sottomissione, susciti timore, produca un maggiore abbrutimento degli oppressi, così come è possibile che con la repressione, le minacce e i ricatti l’oppressione si trasformi in ribellione. Noi comunisti dobbiamo sistematicamente portare gli oppressi a ribellarsi. In ogni campo, in ogni scontro non dobbiamo attutire i contrasti tra le masse popolari da una parte e la classe dominante e le sue autorità dall’altra, sminuirli e assopirli, disperdere e isolare gli elementi più combattivi né dare fiato e forza ai conciliatori, ai fautori di un accordo e della conclusione dello scontro.
Dobbiamo guidare ogni gruppo sociale, ad ogni livello, dai piccoli ai grandi, a percorrere un processo che porti dalla sottomissione alla rivolta, dall’individuale al collettivo, dall’istintivo al progettato e consapevole, dallo spontaneo all’organizzato. Più la ribellione collettiva e organizzata si dispiegherà su larga scala, più assorbirà in sé, valorizzerà e correggerà i comportamenti e le tendenze alla ribellione individuale ed estemporanea. Una parte crescente della popolazione cerca e cercherà forme sue proprie di ribellione finché i risultati della lotta porteranno tutti ad adottare i mezzi di lotta che si dimostreranno più efficaci, fino alla vittoria.
Questa la via per incanalare la rabbia, la ribellione e la necessità di trovare un ruolo in questa società. Ci vogliono divisi, abbrutiti e incazzati gli uni con gli altri, ci avranno compatti, organizzati e risoluti a eliminare i veri responsabili della barbarie in cui ci troviamo.