Riflessioni dopo la manifestazione del 30 novembre

Questioni di lotta di classe

Poco prima dello svolgimento del corteo del 30 novembre a Roma siamo intervenuti con un comunicato pubblico per contestualizzare nella lotta politica le manovre che una precisa area (denominatasi “Assemblea del 9 novembre”) stava promuovendo per anteporre piccoli interessi di orticello alle esigenze della lotta di classe e allo sviluppo del movimento di solidarietà alla resistenza palestinese.
In quel comunicato, fra le altre cose, avevamo affermato

le manovre che sono andate in scena nella preparazione della manifestazione del 30 novembre si presentano e ripresentano ogni volta e in ogni ambito in cui le esigenze di un salto in avanti della lotta di classe vengono affrontate in modo arretrato e, anziché il salto possibile, si manifestano arretratezze, inadeguatezze, opportunismo, settarismo, sfiducia, sudditanza alla classe dominante.

Interveniamo a pochi giorni dallo svolgimento della manifestazione poiché alcune dinamiche di piazza hanno confermato quanto avevamo detto e per certi versi hanno aggravato la situazione.
La contesa per la testa del corteo e lo schieramento di un servizio d’ordine da parte dei promotori dell’assemblea del 9 novembre (che poi ha effettivamente “conquistato la testa”) contro un’altra parte del corteo ne sono due esempi.
Ci poniamo con spirito costruttivo l’obiettivo alimentare il dibattito che si sta sviluppando (a colpi di articoli e comunicati: vedi ad esempio 1, 2, 3) e anche di elevarlo dalle beghe su questioni secondarie, e spesso deleterie, per portarlo all’ambito che gli compete, quello politico.
Elevare il dibattito politico è indispensabile per fare un giusto bilancio della grande manifestazione di massa che è stata quella del 30 novembre e per combattere gli errori e i limiti politici che si sono manifestati.
Attorno al 30 novembre si sono coagulate – e sono emerse molto chiaramente – questioni ideologiche e politiche di carattere generale che sono espressione della lotta tra le due linee in corso nel movimento comunista e nel movimento di solidarietà con la resistenza palestinese (promozione della lotta di classe nel nostro paese e della solidarietà senza se e senza ma con la resistenza palestinese vs promozione della generica “lotta contro la guerra” e distinzione del movimento di solidarietà dalla resistenza palestinese, per fini politici di gruppo o area politica).


Il 30 novembre a Roma si è svolta una grande manifestazione in solidarietà con il popolo palestinese e libanese e con la loro resistenza. Questo è avvenuto nonostante il clima avvelenato da diatribe e sgambetti promossi da una parte di coloro che si erano posti come “organizzatori” (l’assemblea 9 novembre) contro altri organizzatori (Gpi e Udap).
La grande partecipazione, lungi dall’essere un generico “successo che apre prospettive” è una chiamata alla responsabilità alle organizzazioni comuniste, antimperialiste e rivoluzionarie: decine di migliaia di persone sono disponibili adesso – non nel futuro possibile – a mobilitarsi e cercano una strada per farlo più efficacemente. Se ciò non fosse vero, se quella disponibilità non fosse un fatto politico concreto, il 30 novembre le decine di migliaia di persone che sono scese in piazza a Roma avrebbero, francesismi a parte, mandato affanculo le manovre, le diatribe e gli sgambetti fra organizzazioni per intestarsi la piazza o prendere la testa del corteo, facendo altro, anziché partecipare a una manifestazione nazionale che per irresponsabilità di una parte dei promotori era diventata più una strumentale contesa fra organizzazioni che una concreta strada di mobilitazione.

Procediamo schematicamente

1. Quella che attorno alla manifestazione del 30 novembre ha preso le sembianze di una “contesa fra organizzazioni e aree politiche” è in verità una lotta per la direzione del movimento spontaneo delle masse popolari fra due linee diverse e contrapposte:
– una linea che ha l’obiettivo di “cavalcare” il movimento spontaneo per rafforzare i rispettivi organismi politici e sindacali (far crescere influenza e prestigio delle rispettive aree politiche);
– una linea che ha l’obiettivo di alimentare la mobilitazione rivoluzionaria dei lavoratori e delle masse popolari (mobilitare tutti i settori operai e popolari mobilitabili, coordinare tutti gli organismi politici, sindacali e sociali che sono già attivi, incanalare tutta la mobilitazione per cacciare il governo Meloni, dare uno sbocco politico al movimento spontaneo delle masse popolari, alimentare la rivoluzione socialista).

2. La principale differenza fra le due linee politiche NON riguarda affatto l’appartenenza a questa o quella organizzazione, a questo o quel sindacato, a questa o quella “area politica”: la principale differenza fra le due linee politiche sta nel fatto che
– la prima poggia sull’illusione che sia possibile fare fronte al marasma in cui siamo immersi (Terza guerra mondiale, economia di guerra, smantellamento dell’apparato produttivo, crisi ambientale, ecc.) con le “soluzioni” che erano adeguate ai tempi del capitalismo del volto umano, attraverso la lotta politica borghese (elezioni) o i rituali della lotta rivendicativa (piattaforme rivendicative, scioperi, lotte combattive, ecc.), attraverso strumenti e metodi superati dalla storia e travolti dagli effetti della crisi generale;
– la seconda poggia sulla consapevolezza che per fare fronte al marasma in cui siamo immersi bisogna puntare a conquistare risultati mai conquistati prima in un paese imperialista (fare la rivoluzione socialista e instaurare il socialismo), pertanto fare cose che non si sono mai fatte prima in un paese imperialista. Non “cose mai fatte” in assoluto: durante la prima ondata mondiale della rivoluzione proletaria anche nel nostro paese il movimento comunista ha raggiunto epocali risultati (con la Resistenza del 1943-45 e con le lotte degli anni Settanta), ma non è mai riuscito a instaurare il socialismo. Pertanto, bisogna usare tutto il patrimonio già sedimentato in termini di lotta di classe, di organizzazione, di metodi e strumenti, ma è necessario fare un salto – le organizzazioni comuniste, antimperialiste e rivoluzionarie devono fare un salto – per far compiere un salto alla mobilitazione rivoluzionaria delle masse popolari.

3. La questione di cui parliamo, prendendo spunto dalla manifestazione del 30 novembre e dal movimento in solidarietà con il popolo palestinese (ma il discorso è generalizzabile e anzi va generalizzato), non ha nulla a che vedere con le eventuali “questioni etniche” (“devono dirigere le organizzazioni palestinesi o devono dirigere le organizzazioni italiane”): la lotta fra le due linee esiste tanto fra le organizzazioni palestinesi quanto fra quelle italiane! E non ha nulla a vedere con eventuali questioni generazionali, la lotta fra le due linee coinvolge tanto i vecchi dirigenti delle organizzazioni quanto le leve più giovani. Come detto, non è neppure una questione su cui è sufficiente limitarsi all’appartenenza di organizzazione politica o sindacale.
Il fulcro della questione è lo scontro fra la linea arretrata e la linea avanzata, fra la linea conciliatoria che porta alla dissociazione dalla lotta di classe e la linea rivoluzionaria che spinge avanti la lotta di classe.

A dirigere il movimento – e più in generale la lotta di classe – deve essere chi incarna e promuove la linea avanzata: la linea della lotta anziché quella della conciliazione, la linea della solidarietà di classe anziché quella della distinzione e della dissociazione, la linea dell’unità delle forze (fare fronte comune contro governo e borghesia) anziché quella della concorrenza, la linea delle mille iniziative di base che rendono ingestibile il paese ai governi della borghesia anziché quella dei permessi in questura e degli accordi col prefetto. La linea del sostegno senza se e senza ma alla resistenza anziché quella dell’equidistanza e della distinzione tra buoni e cattivi.

4. Chi si è preso la briga di leggere i comunicati prodotti dopo il 30 novembre da varie organizzazioni e aree politiche non può che notare la superficialità del ragionamento politico. Schermaglie fra fazioni che non affrontano le questioni principali che le esigenze della lotta di classe pongono a ogni organizzazione comunista, antimperialista e rivoluzionaria: come dare sviluppo alla spinta alla mobilitazione, come promuovere l’organizzazione dei lavoratori e delle masse popolari, come sostenere la parte avanzata dei lavoratori e delle masse popolari in modo che conquistino posizioni nella società, come far confluire tutto nella cacciata del governo Meloni.
Compagni e compagne – ovunque collocati – per essere aderenti alla realtà e alle esigenze della lotta di classe queste sono le questioni da discutere e da risolvere. Le beghe, le manovre, gli sgambetti per chi apre il corteo, per chi figura come promotore, per chi figura come quello più capace sono oggettivamente atteggiamenti infantili, irresponsabili, nocivi.

5. Un (lungo) inciso. Quella che si definisce Assemblea 9 novembre è la risulta di un’operazione della Rete dei Comunisti (RdC) che ha mosso tutti gli aggregati della sua area politica (Pap, Usb, Osa, Cambiare Rotta, Contropiano) per ingrossare le file di una manovra volta a coagulare organismi, aggregati, organizzazioni e partiti della sinistra borghese attorno a questo nome (non contano niente il nome “comunista” e neppure la falce e il martello che fanno capolino qua e la), per avere la forza di convocare un corteo nazionale che fosse partecipato da settori più ampi di quelli che questa area riesce normalmente a portare in piazza. A questo, concretamente, si riduce ciò che la Rdc chiama pomposamente “processo unitario”.
La particolarità dell’operazione, in questo caso, sta nel fatto che non è la Rdc a essersi accodata a organismi, aggregati, organizzazioni e partiti della sinistra borghese, ci si è posta alla testa per costituire una massa critica capace di indire un corteo nazionale. In termini numerici l’operazione può anche aver sortito qualche effetto (non fanno che parlare delle oltre 250 associazioni aderenti), in termini politici l’operazione è consistita nel fatto che Rdc non si è messa a organizzare e stimolare l’avanzato (la sinistra) del movimento politico e sociale, ma l’arretrato (la destra). Ha messo insieme la rappresentanza italiana dell’Anp collaborazionista dei sionisti in Palestina, i reazionari del “due popoli-due stati”, l’associazionismo dell’equidistanza che dà la responsabilità dei crimini dei sionisti alla Resistenza palestinese, un po’ di pacifisti che sono contro tutte le guerre e gli elementi che per non sostenere la resistenza palestinese sostengono “le resistenze”, come se bastasse cambiare una vocale per nascondere la dissociazione dalle avanguardie armate della lotta del popolo palestinese…
Per quale ragione lo ha fatto? È una questione ideologica. Come è emerso anche dal seminario “Elogio del comunismo”, ci sono due tendenze, due linee, che per il momento convivono pacificamente all’interno della Rdc.
Una linea che si cura solo superficialmente di comprendere le caratteristiche e le contraddizioni del marasma in cui siamo immersi e che pensa di (pretende di) fare fronte alla situazione con una concezione, metodi e strumenti sorpassati dalla storia, travolti dalla crisi generale. Ne sono esempio il gretto elettoralismo che ancora opprime i vertici di Pap e l’altrettanto gretto settarismo che pervade i vertici di Usb.
Una linea che intuisce la prospettiva fallimentare a cui portano le concezioni superate dalla storia su cui il gruppo dirigente di Rdc basa la sua azione, gli strumenti obsoleti e i metodi sbagliati, ma non riesce a farsi strada, per incapacità o debolezza.
Attualmente, nonostante alcuni “guizzi” (di cui proprio il seminario è una manifestazione), nella Rdc è la prima tendenza a essere preponderante e a suonare la musica su cui si muovono anche tutti gli organismi di quell’area politica. Ma aver diserato lo sciopero unitario del 29 novembre, essersi messi in concorrenza con Gpi e Udap per il corteo del 30/11, aver manovrato e aver assunto la postura e il tono del bullismo nella piazza romana (oltre ad aver impedito a varie organizzazioni di intervenire alle assemblee di cui fanno grande reclame di spirito inclusivo e unitario, quel ridicolo servizio d’ordine schierato a Roma era una manifestazione adolescenziale – o senile – di bullismo) ha messo a disagio molti dei militanti degli organismi di quell’area politica.
Non abbiamo molti riscontri di questo da Pap, anche se sui social si legge di tutto, ma sappiamo per certo che tanti lavoratori iscritti Usb non hanno preso affatto bene il diktat di restare nelle aziende insieme alla Cisl il 29 novembre (e infatti, in alcuni casi, hanno scioperato) e sappiamo che non si sentono messi nelle migliori condizioni per promuovere lo sciopero generale in solitaria del 13 dicembre.
La linea intrapresa dalla Rdc è oggettivamente un vicolo cieco anche per lo stesso gruppo dirigente che la promuove. Lo è perché è un ostacolo allo sviluppo della lotta di classe e del movimento popolare, lo è perché affronta in modo arretrato le contraddizioni che la fase pone, lo è perché spinge una parte di elementi avanzati delle masse popolari a (ri)percorrere la via del politicantismo, del settarismo e del “bullismo” anziché alimentare lo slancio rivoluzionario (anche dei militanti e attivisti di quell’area politica).
Le difficoltà a sostenere un dibattito franco e aperto – che si trasforma spesso in indisponenza, arroganza, atteggiamenti “da banda” più che da organizzazione politica – spingono il gruppo dirigente della Rdc ad abbassare sistematicamente il dibatto al livello più basso possibile. Si legga l’articolo pubblicato su Contropiano a commento del 30 novembre come esempio…
È ben chiaro il motivo per cui la Rdc usa ogni pretesto, occasione e strumento (anche i più meschini) per farci terra bruciata attorno. Interdire per partito preso qualcuno da un dibattito è il modo migliore per evitare il dibattito. Ma i fatti hanno la testa dura: anche se oggi indossano i panni di “quelli che la sanno lunga” per indorare il loro comportamento, i vertici della Rdc hanno la responsabilità, ad esempio, di aver ridato fiato ai professionisti – palestinesi – del collaborazionismo con i sionisti. Questo è un fatto politico.
Il peso di questo fatto politico non si limita in alcun modo “all’astio” (usiamo un eufemismo) che i vertici della Rdc si sono attirati dalla gran parte degli organismi – palestinesi e italiani – che promuovono la mobilitazione in solidarietà con il popolo palestinese, il peso politico sta nel fatto che quella posizione e quel ruolo sono deleteri per lo sviluppo della lotta di classe. Questo rimane, che la Rdc sia disponibile o meno a discuterne con noi o con altri.

6. Per chiarezza è utile trattare anche dell’altro fronte, quello che nel dibattito in corso denuncia l’operato della Rdc (anche se spesso chi denuncia si guarda bene dal fare nomi e cognomi, una sorta di clericalismo – si dice il peccato, ma non il peccatore – che è un macigno sul dibattito politico) e che se ne lamenta. Ovviamente non è né possibile, né utile generalizzare, poiché è un fronte ampio e diversificato, ma è importante chiarire che nella misura in cui denunce e lamenti si limitano ad alimentare la concorrenza fra organizzazioni, non si può parlare di dibattito, non è dibattito: è il solito meccanismo, spirito di concorrenza e tifoseria, seppure rovesciato.
Coloro che – giustamente – criticano la Rdc per le manovre che ha messo in atto attorno (prima, durante e dopo) il corteo del 30 novembre hanno la stessa responsabilità di porsi politicamente di fronte alle esigenze della lotta di classe: incarnano la linea avanzata o la linea arretrata? Alimentano il coordinamento delle forze o si limitano a proclamarlo per allargare la propria influenza? Promuovono davvero il protagonismo delle organizzazioni operaie e popolari?

7. Il marasma in cui siamo immersi chiama TUTTI a un salto nell’assunzione di responsabilità. Le diatribe attorno al 30 novembre non sono un incidente di percorso: sono la manifestazione del livello in cui oggi versa il movimento comunista, antimperialista e rivoluzionario del nostro paese. È un livello basso? Può essere, ma il compito di alzarlo NON è prerogativa di questa o quella organizzazione – della mia o della tua – è un obiettivo che può essere raggiunto se viene perseguito collettivamente.
Il 30 novembre c’erano in piazza decine di migliaia di persone. Non basta a nessuno limitarsi a dire: “eravamo tanti, ma quelli della Rdc sono pessimi elementi”. Non è sufficiente provare a incanalare quelle decine di migliaia di persone nelle prossime mobilitazioni di questa o quella famiglia politica, perché la lotta di classe è una e chi vi interviene può solo frenarla oppure alimentarla. I comunisti non si limitano, genericamente, ad alimentarla: la alimentano per farne lotta per il potere.

8. C’è un modo per affrontare positivamente le esigenze che la lotta di classe pone in questa fase anziché abbandonarsi al senso comune, alla concorrenza, alla denigrazione, alle manovre deleterie (abbandonarsi agli strumenti e ai metodi che sono propri della borghesia), la politica da fronte:
a. avviare senza riserve il dibattito franco e aperto sulle questioni ideologiche e politiche che sono all’ordine del giorno a partire dalla natura della crisi generale in corso, il regime politico vigente nei paesi imperialisti, il bilancio dei primi paesi socialisti, la strategia per la rivoluzione socialista in Italia, l’origine e la natura della guerra in corso;
b. unità d’azione in tutte le occasioni e gli ambiti in cui è possibile, anche quando si hanno divergenze su aspetti di analisi e linea politica, mettendo al primo posto lo sviluppo della lotta di classe qui e ora e contrastando lo spirito di concorrenza fra organizzazioni politiche e sindacali;
c. la reciproca solidarietà contro la repressione, far emergere sempre l’esistenza di due campi: da una parte il campo della classe dominante e dall’altro quello del movimento comunista, antimperialista e rivoluzionario.

Se togliamo di mezzo le cazzate prodotte e alimentate dallo spirito di concorrenza, le prossime settimane sono ricche di occasioni in cui fare passi avanti nell’assunzione di responsabilità verso le masse popolari e la lotta di classe.
Non faremo un lungo elenco, ma giusto per tenere a mente le principali:
– c’è da dare sviluppo allo sciopero del 29 novembre e da legarlo a quello del 13 dicembre (passando per la lotta – che deve essere “senza quartiere” contro le precettazioni);
– c’è da risanare le contraddizioni prodotte dalla manovre dell’assemblea del 9 novembre nel movimento in solidarietà al popolo palestinese a partire dalle manifestazioni che sono già programmate e programmarne di nuove;
– c’è la lotta contro la repressione e il ddl 1660, magari cercando di evitare la nascita di un quarto coordinamento che si aggiunge ai tre che già esistono, ma – con una scusa o l’altra – non si parlano e sono in reciproca concorrenza;
– ci sono le mobilitazioni per il rinnovo dei CCNL che nessuna organizzazione seria può permettersi di tralasciare perché “gli scioperi della Fiom sono solo di facciata e portano acqua al Pd”;
– c’è da intessere la tela della resistenza operaia e popolare allo smantellamento dell’apparato produttivo (Stellantis, Beko, Gkn, ecc.);
– c’è da porsi la questione di estendere la mobilitazione contro la Terza guerra mondiale, contro la Nato e la basi Usa dislocate nel paese;
– c’è da far confluire tutto nella lotta per rovesciare il governo Meloni e sostituirlo con un governo di emergenza popolare.
Le esigenze della lotta di classe impongono ai comunisti, agli antimperialisti e ai rivoluzionari di compiere un salto. Alcuni si illudono che esista una scorciatoia, pensando che siano sufficienti due o tre manovre sporche per prendere la testa di una manifestazione o di un movimento, ma quella scorciatoia non risolve i problemi, li aumenta. Bisogna dare uno sbocco politico, rivoluzionario e unitario al movimento spontaneo delle masse popolari. Su questo terreno siamo alleati, complici e solidali con tutti coloro che sono disponibili a compiere dei passi concreti. Passi che di fronte alle esigenze della lotta di classe possono apparire piccoli, ma vanno nella direzione del grande obiettivo che abbiamo di fronte e per cui lottiamo.

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