Il 27 settembre scorso, in occasione della Festa nazionale della Riscossa Popolare promossa dal P.CARC presso Gta (Gratosoglio Autogestita) a Milano, si è tenuto il dibattito operaio Basta stragi sul lavoro. La vita dei lavoratori conta.
Alla presenza di singoli lavoratori, Rsu e Rls, esponenti di organizzazioni e coordinamenti operai e popolari, tecnici della sicurezza sul lavoro, avvocati e referenti di associazioni attive in questo campo, abbiamo trattato di come lottare, praticamente, per realizzare una reale, quotidiana e capillare sicurezza a fronte della strage sui posti di lavoro in ogni angolo del paese.
Invitiamo i nostri lettori a prendere visione della registrazione dell’iniziativa, qui reperibile.
Tra le tante tematiche emerse, ci concentriamo su una delle più classiche contraddizioni in materia: il rapporto con le, o meglio l’intervento sulle, autorità, istituzioni ed enti che il sistema borghese, grazie anche alle conquiste della classe operaia e del resto delle masse popolari nel secolo scorso, ha creato nell’ambito del rapporto tra l’organizzazione del lavoro e la sicurezza.
Il parterre è ampio: dal piano giuridico-legislativo come la Legge 300/1970 (lo Statuto dei lavoratori) e il D. Lgs. 81/2008 (il Testo Unico Sicurezza sul Lavoro), ai Contratti Collettivi Nazionali del Lavoro fino ad enti quali l’Ispettorato del Lavoro, le Asl/Ausl, l’Inail, i Nas dei Carabinieri e altri.
A questi, si aggiungono le azioni degli eletti nei Comuni, nelle Regioni e al Parlamento; le attività dei soggetti e degli appartati sindacali e semi-sindacali – tanto confederali che di base – che si occupano di prevenzione, informazione, monitoraggio / analisi dati e formazione (come fa Rete Iside); i compiti dei diversi organismi paritetici e l’iniziativa di una vasta gamma di associazioni sociali quali Medicina democratica e Anmil (Associazione Nazionale fra Lavoratori Mutilati e Invalidi del Lavoro).
Di referenti pubblici a cui “appellarsi”, quindi, ce ne sono molti e sta ai lavoratori, caso per caso, individuare qual è quello più confacente ai propri bisogni. Ma, pena l’immobilismo affidarsi esclusivamente al piano istituzionale non basta, benché “la via istituzionale” non vada preclusa per partito preso.
Accade spesso, invece, si crei una polarizzazione: da una parte, il legalitarismo di chi tende ad appiattirsi unicamente sul piano legale e istituzionale; dall’altra, la miopia inversa di chi tende a escludere la strada istituzionale dall’equazione.
Il primo caso è caratteristica di quelle realtà, come spesso la CGIL, che rivendicano alle istituzioni la difesa di interessi che invece devono essere affermati (e possono essere affermati solo) dalla mobilitazione e dall’organizzazione dei lavoratori. Il secondo caso è maggiormente presente fra i sindacati alternativi e di base – con alcune eccezioni, ad esempio USB – dove lo scontro con autorità ed istituzioni è caratterizzante e spesso dirigente. Giusto come esempio citiamo il SI Cobas. Di sicuro non basta limitarsi a chiedere pene “certe e più severe” per i padroni né è corretto riporre la fiducia nelle mani del nemico di classe ma, a ben vedere, sono entrambe posizioni non dialettiche che, contrapponendosi, ostacolano la costruzione di un ampio fronte comune che mette al centro dell’azione gli interessi dei lavoratori.
La via maestra è mettere al centro, con determinazione e creatività, il protagonismo dei lavoratori. La promozione di gruppi organizzati (siano essi organizzazioni operaie e popolari, Rsu/Rsa e Rls, ecc.) che si muovono con duttilità tattica nella lotta ne è traduzione.
In quest’ottica, imparare a usare ogni appiglio e ogni via, tra cui quindi anche il piano istituzionale, è fondamentale con i gruppi di lavoratori organizzati quali pungoli e controllori delle misure concrete che elaborano per la realizzazione dei propri interessi. Non possono delegare il tutto esclusivamente all’ente, all’eletto, al tecnico di turno: non devono cioè lasciare l’iniziativa in mano alle istituzioni, bensì dispiegare la propria azione di lotta fino a renderla una questione di ordine pubblico – una questione politica – senza farsi legare le mani da niente e nessuno perché è legittimo fare tutto ciò che va negli interessi delle masse popolari, anche se illegale.
Fare di ogni lotta una questione di ordine pubblico, cioè una questione politica non vuol dire solo o sempre iniziative di lotta che violano divieti e restrizioni (come ad esempio blocchi stradali e ai cancelli, picchetti, ecc.), ma anche
– nel campo delle masse popolari, iniziative che rafforzano l’organizzazione, estendono la mobilitazione, allargano il coordinamento, elevano la coscienza, ampliano gli obiettivi e il raggio d’azione;
– nel campo della borghesia imperialista, iniziative che “mettono dieci contro uno”, sfruttano le contraddizioni interne al nemico, obbligano le autorità borghesi a intervenire per trovare una soluzione, seppur temporanea, al problema.
D’altronde, è noto il meccanismo entro cui i padroni e le loro Autorità cercano di infilare i lavoratori nel limbo della “rana bollita”, delle promesse da marinaio in campagna elettorale, delle passerelle e le lacrime di coccodrillo quando avvengono le stragi. I lavoratori possono scardinare il meccanismo, se si organizzano e si coordinano dentro e fuori i posti di lavoro, possono imporsi sulle istituzioni. Le misure per farlo sono varie: dalle ispezioni parlamentari; alla stesura di mozioni in Consiglio Comunale o Regionale; alla promozione di iniziative di leggi come fatto da Usb con la proposta di introduzione del reato di omicidio sul lavoro. Poi le istituzioni vanno incalzate senza sosta. Conquistato (fatto ingoiare) un impegno, va fatto rispettare con la lotta (presidi, irruzioni, blocchi, ecc.), controllando le decisioni prese e intervenendo – smascherando i responsabili – direttamente quando gli accordi vengono disattesi o rimandati. Questo è parte dell’imporre le misure individuate e necessarie dal basso e del fare della lotta una questione politica di ordine pubblico.
I risultati arrivano tanto più facilmente quanto convintamente si rompe con la logica estremista del “tutto attraverso le Istituzioni” o, di converso, del “No alla via istituzionale”. È necessario combinare i due piani, metterli in sinergia a partire dall’organizzazione dei lavoratori e dal fronte unito, anche esterno al posto di lavoro.
La conferma arriva da due realtà intervenute al dibattito operaio a Milano: quella del Comitato Ambiente Salute del teatro Scala di Milano e quella, anch’essa milanese, del Coordinamento donne lavoratrici in lotta.
In particolare, la prima esperienza è molto interessante perché mostra nel concreto come riuscire a muovere le istituzioni di controllo per la risoluzione dei problemi legati alla sicurezza, senza però scadere in logiche meccaniciste e cioè pensare che basti intervenire su di esse perché, a domino (Asl, Nas, Comune di Milano, ecc.), si muovano e risolvano le questioni. Infatti, se i risultati sono stati raggiunti è perché, quale prima condizione ineliminabile, c’era la presenza di un gruppo organizzato di lavoratori, il Comitato, che ha articolato una lunga iniziativa di lotta, dentro e fuori il proprio posto di lavoro.
Del resto, i potenziali alleati dei laboratori sono tanti: dagli utenti di un servizio pubblico come nel caso dei trasporti agli impiegati delle autorità, istituzioni ed enti stessi (come ad esempio gli Ispettori del Lavoro che possono avvalersi di indicazioni specifiche su cosa e dove ispezionare inviate e selezionate direttamente dai lavoratori e dai loro delegati); ai tecnici e agli esperti di sicurezza sul lavoro come ben dimostra l’esperienza dei Consigli di Fabbrica degli anni Settanta o quella, oggi in via di nuova sperimentazione, dei Gruppi Operai Omogenei.
Imparare a valorizzare tutti questi soggetti (e i molti altri che esistono) è parte della battaglia per invertire la rotta e per prevenire stragi, omicidi, infortuni e malattie professionali.
Non aspettare che avvenga l’ennesima tragedia per mettere mano alle condizioni di lavoro bensì, iniziare fin da subito e in ogni posto di lavoro insieme a sindacati, solidali e organizzazioni politiche a individuare i rischi, mappandoli, così da intervenire per tempo bloccando la produzione e la lavorazione di una linea difettosa o pericolosa o rispettando pedissequamente le tabelle dei carichi di lavoro o altre forme di lotta specifiche.
Tornando alle esperienze milanesi, una particolarità che le accomuna è proprio quella di insistere su un ente pubblico qual è il Comune. Ciò rende ancora più manifesta l’esigenza generale di porre la questione della sicurezza sul lavoro su, piano del governo del territorio. Solo una gestione territoriale che si confà, perché ne è diretta espressione ed emanazione, agli interessi delle masse popolari che lì vi vivono e lavorano può arrivare a garantire una completa sicurezza (realizzata da un lavoro utile, dignitoso e sicuro per tutti), scevra dalla ricerca dei profitti da parte dei padroni, per i quali la sicurezza è solo un costo su cui risparmiare il più possibile.
L’orizzonte entro cui si governano oggi i territori non è compatibile con la tutela della salute dei lavoratori. È necessario, così anche per fermare lo smantellamento dell’apparato produttivo e la crisi climatica, imporne una direzione diversa dal Comune, grande o piccolo che sia, con Amministrazioni locali d’emergenza, al paese intero imponendo il Governo di Blocco Popolare.
Il governo necessario. Un governo di emergenza popolare che dà forza di legge alle misure indicate dalle organizzazioni di lavoratori e dai sindacati per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori (e anche dell’ambiente e della cittadinanza) senza le trafile, le lungaggini, gli ostacoli e le trappole a cui oggi va incontro ogni legge di iniziativa popolare, referendum o altro favorevole ai lavoratori; un governo d’emergenza che estende l’azione dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro aumentando il numero di ispettori per ispezionare da cima a fondo capannoni, cantieri, uffici, macchinari, per controllare i carichi di lavoro e le mansioni usuranti, i contratti di assunzione e le reali mansioni assegnate ai lavoratori, la qualità dei materiali e della strumentazione, la formazione professionale e tutto ciò che riguarda anche solo il minimo rischio per la salute dei lavoratori, per contrastare il lavoro nero e il caporalato attraverso un attento lavoro di vigilanza, imponendo la regolarizzazione e l’assunzione di tutti i lavoratori precari e a nero; un governo d’emergenza che stanzia immediatamente fondi e altre risorse necessarie per i controlli, che rimuove quei dirigenti della Pubblica Amministrazione incapaci o collusi, di fatto corresponsabili dello stato di degrado e inerzia degli ispettorati del lavoro e li sostituisce con persone competenti, non corrotte dai padroni e quindi di fiducia dei lavoratori, che mobilita Rls, Rsu e Rsa affinché controllino l’operato dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro, collaborino con gli ispettori per far sì che i controlli siano periodici e adeguati, venga diffusa la cultura della sicurezza tra i lavoratori.
Cominciamo con l’organizzarci e coordinarci da subito, posto di lavoro per posto di lavoro, a prescindere dalla tessera sindacale e dell’orientamento politico, per imporre salute e sicurezza sul lavoro e per prevenire le mosse dei padroni. Questo è il compito più urgente e immediato su cui lavorare collettivamente e preventivamente!