Sugli scontri di Bologna, l’antifascismo padronale del Pd e la lotta al governo Meloni

Antifascisti sempre

Sabato 9 novembre a Bologna un corteo antifascista non autorizzato ha attraversato la città contro un tentativo di Casapound di tenere una manifestazione contro il degrado. Questa notizia è stata usata in questi giorni dal circo mediatico borghese per creare confusione e ridurre la vicenda a una baruffa della campagna elettorale in corso in Emilia Romagna, altra tappa importante dopo quelle che si sono tenute in Liguria. Al di là della cronaca di giornata cosa dimostra quanto accaduto a Bologna?

Quello che è successo a Bologna dimostra innanzitutto che le masse popolari non vogliono vomitevoli sfilate dei fascisti nelle loro città. È emblematico che anziché mobilitarsi contro il governo dei loro “cugini d’Italia” per pretendere i fondi necessari a fronteggiare i danni causati dalle alluvioni degli ultimi anni, Casapound, con una chiamata nazionale di circa 300 militanti, ha preferito passeggiare per il centro di Bologna denunciando il degrado. Degrado identificato con senzatetto, immigrati poveri e altre fasce deboli della società. Il solito “coraggio” dei fascisti insomma. Si scagliano contro gli effetti di un sistema di oppressione e sfruttamento per mettere masse contro masse, creare confusione e salvare i loro padroni. Cani da guardia dei capitalisti.

Non c’è da sorprendersi se il trattamento riservato ai militanti antifascisti da Digos, Prefettura e Celere è stato quello delle manganellate mentre ai neofascisti hanno portato caffè, brioche e tante scuse per i disagi. Anche su questo alcuni esponenti “democratici” cadono dalle nuvole. Il ddl1660 del governo Meloni è un dispositivo contro chi lotta, si mobilita per porre rimedio agli effetti della crisi generale in corso e mette in discussione le politiche guerrafondaie e antisociali promosse dalla borghesia. Questo è il clima che gli amici di Casapound al governo guidati da Giorgia Meloni vogliono installare nel paese. Forze del (dis)ordine.

Ma non è tutto. Il sindaco di Bologna, Lepore, si è esibito nei giorni successivi nel ruolo del Che Guevara in brodo, scagliandosi contro la Prefettura per aver permesso, su spinta del governo, la calata delle camicie nere in città durante la campagna elettorale. Dietro il frasario sulla “Bolgona antifascista”, di tutta la vicenda il suo problema era la campagna elettorale ovviamente. Questo è quello che brucia a lui e al Pd con tanto di botta e risposta con Salvini, Meloni e altri esponenti del centrodestra che giocano a fare lo scontro tra zecche e camerati. Nessuno pone il problema che dalle sue affermazioni si evince che il sindaco di Bologna o non conta niente (dovrebbe allora spiegare cosa ci fa ancora al suo posto) o è stato escluso volontariamente dalle decisioni sull’ordine pubblico (cosa smentita dal Prefetto) o semplicemente recita la sua parte nel teatrino della politica borghese.

Quello di Lepore e del Pd non è altro che un antifascismo padronale e in giacca e cravatta. È quello di chi critica il fascismo del ventesimo secolo, ma è parte integrante del sistema di potere capitalista. Un antifascismo che accetta e difende il potere di un pugno di capitalisti (finanzieri, industriali, banchieri, ecc.) di decidere della vita del resto della popolazione. Non si batte contro lo sfruttamento dei lavoratori, la miseria, la condanna al lavoro per tanti e la vita da parassiti per alcuni, i privilegi, la corruzione economica e morale, le cricche di potere, il clientelismo, le stragi di Stato, la politica occulta, l’arroganza antipopolare, l’abbandono all’ignoranza e all’abbrutimento. Si tratta, insomma, di un antifascismo di facciata.

Un esempio su scala internazionale di questi giorni. La Federazione russa ha proposto all’Onu un progetto di risoluzione “contro l’esaltazione del nazismo”. Nel progetto anche l’impegno degli stati membri “a condannare fermamente l’uso di materiale educativo e di retorica didattica che promuovono il razzismo, la discriminazione, l’odio e la violenza basati sull’etnia, la nazionalità, la religione o il credo”. Ad essa 116 paesi hanno votato a favore, 54 paesi si sono detti contrari e 11 si sono astenuti. Tra i contrari Stati Uniti, Germania, Gran Bretagna, Francia, Giappone, Canada e Ucraina. Tra gli astenuti anche l’Italia. Non è un caso che a opporsi o astenersi a questa mozione siano proprio i principali paesi imperialisti, le autodefinite grandi democrazie, quelle che sostengono governi fascisti e guerrafondai in Ucraina e in Israele contro la volontà espressa dai popoli di tutto il mondo, compresi quelli che dei loro stessi paesi, contro guerre, genocidi e distruzione.

La vera Bologna antifascista, quindi, è quella scesa in piazza per cacciare a pedate i neofascisti di Casapound, quella che da mesi si mobilita in solidarietà con la resistenza palestinese, che lotta ogni giorno sui luoghi di lavoro, che si mobilita contro il dissesto idrogeologico e i suoi effetti, che organizza la resistenza alle misure antisociali e guerrafondaie del governo Meloni. Questo è l’antifascismo popolare di cui c’è bisogno.

L’antifascismo è lotta contro capitalismo, la miseria, l’oppressione di classe e i privilegi, lotta per l’eguaglianza, contro la schiavitù del bisogno e della paura per la maggioranza della popolazione. L’antifascismo è tale se unisce le masse popolari, è lotta per affermare il diritto di tutti a vivere e a lavorare e il dovere di ogni persona sana di lavorare per vivere. Essere antifascisti oggi significa innanzitutto rendere il paese ingovernabile al governo Meloni, fare di ogni lotta una questione di ordine pubblico, promuovere e organizzare la resistenza per imporre un governo che attui la Costituzione antifascista del 1948 e liberare per la seconda volta (e definitivamente) il nostro paese dagli invasori e occupanti abusivi Usa, Nato, Ue, sionisti, Vaticano e organizzazioni criminali. Ora e sempre resistenza!

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