Nel 1975 il capitalismo stava entrando nella sua seconda crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale. Questo determinò che i margini di miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro delle masse popolari non potevano più svilupparsi oltre i livelli raggiunti prima. Era la fine del capitalismo dal volto umano, l’epoca in cui la borghesia imperialista entrò in una nuova fase di accumulazione di capitale dopo le guerre mondiali e, incalzata dalla crescita dilagante del movimento rivoluzionario, dovette ingoiare una redistribuzione dei suoi profitti sempre più a favore delle masse popolari.
In Italia, il cambiamento si ravvisò già dal ‘73. In quell’anno, scoppiò la crisi petrolifera, legata alla guerra del Kippur e al conseguente rincaro dei prezzi del petrolio1, che costrinse i paesi imperialisti come il nostro a misure d’emergenza come il provvedimento delle “domeniche a piedi”, consistente nel divieto di circolazione per auto e moto di domenica. Nel nostro paese, fra il ‘74 e il ’75 si registrò una contrazione della produzione industriale del 13,4%, una diminuzione dell’uso dell’apparato produttivo pari al 20% e un milione di disoccupati in più.2 In questo contesto economico, si infiammava la crisi politica.
Già a partire dalla fine degli anni ‘60, la borghesia imperialista in Italia innescò una stagione di stragi, bombe, squadrismo organizzato, tentativi di colpo di stato e terrorismo occulto. Così, si inaugurava la cosiddetta “strategia della tensione” per contrastare l’avanzamento delle lotte delle masse popolari e della forza crescente che le organizzazioni della sinistra extraparlamentare, dei Consigli di Fabbrica, dei Collettivi Studenteschi e delle altre organizzazioni del proletariato stavano assumendo nel paese: erano gli anni di conquiste come lo Statuto dei Lavoratori, della legge sul divorzio, della legge istitutiva del Referendum popolare, etc.
Con l’aggravamento della situazione economica, la borghesia del nostro paese non poteva più usare la concessione di diritti e conquiste come strumenti per normare l’ordine pubblico. I metodi che la classe dominante adottava negli anni precedenti per dare un indirizzo unitario al paese diventavano inadeguati e quindi era sempre più in balia del sommovimento politico. In questo contesto, fece un salto di qualità la strategia della tensione: ad esempio, i partiti di governo elaborarono delle leggi speciali “per far fronte alla situazione di crisi”, leggi che furono usate per reprimere il dissenso e in particolare colpire il movimento comunista e rivoluzionario.
Il primo caso fu quello della legge Reale n°152, approvata dal parlamento sotto il IV Governo Moro. Fu così che il regime DC provò a reprimere l’avanzata del movimento rivoluzionario di quegli anni: la legge istituiva un uso molto facoltativo delle armi da parte delle forze dell’ordine (tant’è che fino al 1989 si contarono 254 omicidi e 371 feriti gravi per mano delle FFOO)3, concedeva il ricorso alla custodia preventiva fino a 96 ore anche in assenza di flagranza di reato oppure vietava l’utilizzo del casco e di altri occultamenti della propria identità – specie durante le manifestazioni pubbliche.
Anche in quel caso, come spesso avviene, la borghesia crea i suoi stessi aguzzini e infatti, a partire dall’approvazione di questa legge, il livello di mobilitazione popolare fece un salto di qualità. La repressione cresceva e con essa il movimento di resistenza delle masse popolari, da un lato, si radicalizzava: le organizzazioni del proletariato e le sue avanguardie elevarono la propria azione sul terreno dello scontro politico e di classe, molte delle organizzazioni già attive in quegli anni estesero la propria influenza e ruolo presso altri settori delle masse popolari, alcune di queste passarono alla lotta armata, le BR passarono nella fase “dell’attacco al cuore dello Stato”.
Dall’altro lato, il movimento rivoluzionario si allargava sempre più: nuove leve di militanti e di rivoluzionari spinti dalla solidarietà e dal senso di giustizia si facevano avanti e venivano introdotti alla lotta politica. La spinta non è misurabile solo dal moltiplicarsi delle OCC ma fu complessivamente il movimento delle masse popolari a rafforzarsi tanto da imporre ulteriori conquiste di civiltà e benessere per le masse popolari come l’introduzione del punto unico sulla scala mobile (‘75), la legge sull’aborto e la legge Basaglia (‘78), il Sistema sanitario pubblico (‘79), ecc.
Emerge chiaramente che la legge Reale non fu affatto sufficiente a fermare la mobilitazione ma anzi l’aumentò, tanto che negli anni successivi la classe dominante fu costretta a fare altre leggi speciali per fare fronte all’avanzata del movimento rivoluzionario perché la situazione era diventata completamente ingestibile. Ne sono un esempio la legge Cossiga e la formazione di corpi speciali antiterrorismo (GIS, NOCS, SVATPI, ecc.).
Tra le fine degli anni ‘70 e l’inizio degli anni ‘80, la borghesia riuscì ad avere la meglio non per la sempre più forte repressione che mise in campo ma principalmente a causa di limiti interni del movimento rivoluzionario. Primo su tutti l’assenza di un vero partito comunista rivoluzionario unito sulla base di una strategia e una tattica adeguati a dirigere la Guerra Popolare Rivoluzionaria di Lunga Durata e di una giusta analisi che gli consentisse, ad esempio, di individuare la nuova fase che si apriva con la fine del capitalismo dal volto umano e l’esaurimento della prima ondata delle rivoluzioni socialiste e proletarie e in tutto il mondo.
L’esperienza della legge Reale, come tentativo della classe dominante di soffocare la mobilitazione tramite la repressione, è ricca di insegnamenti per l’attualità, stante la deriva repressiva intrapresa dal governo Meloni. Cosa ci insegna quest’esperienza? Innanzitutto, che la repressione è un’arma a doppio taglio per il nemico perché rafforza la capacità delle masse popolari e delle loro organizzazioni di resistere alla repressione, di accrescere la resistenza morale e intellettuale alla repressione: il modo in cui il movimento rivoluzionario degli anni ‘70 ha calpestato la legge Reale, facendone carta straccia, lo prova.
Inoltre, la repressione del nemico è un’arma a doppio taglio perché alimenta la lotta contro la repressione e la solidarietà nel campo delle masse popolari; soprattutto, rafforza la capacità di sviluppare la coscienza di classe, la coscienza del contrasto antagonista di interessi e la coscienza della lotta che oppone le masse popolari alla borghesia imperialista e in secondo luogo anche di limitare, ostacolare e impedire l’attività repressiva della borghesia. Il salto di qualità che fece il movimento rivoluzionario dopo la legge Reale e le conquiste di civiltà che ne sono seguite, ne sono una dimostrazione.
Anche oggi il tentativo del governo Meloni di far fronte alla crescente mobilitazione popolare con l’istituzione del liberticida DdL 1660 ci deve far pensare all’affannato sforzo del governo Moro nel 1975 di frenare il movimento rivoluzionario con la legge Reale. Giorgia Meloni e i suoi accoliti sono, da un lato, disperati perché circondati e sempre più assediati dalla mobilitazione delle masse popolari, e dall’altro lato, indeboliti dagli scontri interni ai partiti di governo.
Il governo Meloni pagherà cara e amara questa mossa se le organizzazioni delle masse popolari, i loro sindacati, partiti e coordinamenti sapranno rendere questo provvedimento carta straccia: questo significa difendere i diritti democratici praticandoli, quindi violando ogni divieto anti-costituzionale com’è stato fatto lo scorso 5 ottobre a Roma dove è stata la mobilitazione popolare a bocciare il DdL 1660 (prima del Senato), a mostrare alla classe dominante che se le masse popolari intraprendono la via della mobilitazione rivoluzionaria, non c’è decreto che tenga.
La lotta rivoluzionaria degli anni ‘70 in seguito all’istituzione della legge Reale dimostra che bisogna ribaltare al mittente, in questo caso il governo Meloni, ogni tentativo di legalizzare inasprimenti repressivi come istituirebbe il DdL 1660 e, oggi, il modo migliore e più duraturo per farlo è mettere in piedi un fronte e darsi lo sbocco politico per cacciare questo governo e imporne uno che sia espressione degli interessi delle masse popolari e attui le misure più urgenti loro necessarie.
Note/fonti
1. Il 6 ottobre 1973, l’Egitto attaccò l’illegittimo stato sionista d’Israele durante la festività ebraica dello Yom Kippur. In seguito all’inizio del conflitto, i paesi dell’OPEP (Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio) decisero un forte aumento del prezzo del petrolio a livello globale e la diminuzione del 25% delle esportazioni, oltre a un embargo nei confronti dei paesi che supportavano il sionismo.
2. https://www.bpp.it/Apulia/html/archivio/1975/IV/art/R75IV001.html
3. https://contromaelstrom.com/2019/05/20/crimini-antipopolari-la-legge-reale/