Alla scuola del 5 ottobre. Verso la manifestazione nazionale per la Palestina del 30 novembre e oltre

L’autunno “caldo” entra nel vivo. La Cgil e la Uil hanno indetto lo sciopero generale per il 29 novembre e Maurizio Landini, mai prodigo di dichiarazioni di fuoco che poi hanno scarso riscontro pratico, ha anche aggiunto che “il 29/11 è solo un inizio” poiché “serve una rivolta sociale” per cambiare il paese.

Più concreta delle parole di Landini è la decisione di molte sigle del sindacalismo di base di proclamare lo sciopero generale il 29 novembre, lo stesso giorno di Cgil e Uil (l’unica sigla che si è defilata è Usb, che non proclama sciopero il 29 novembre e conferma “il suo sciopero” il 13 dicembre). È una decisione per niente scontata e anzi “storica” che da una parte fa emergere il senso di responsabilità delle organizzazioni sindacali di base (un bel salto rispetto al settarismo e allo spirito di concorrenza) e dall’altra alimenta ragionevolmente le aspettative per una giornata in cui i lavoratori di tutti i settori, di tutte le categorie e “di tutti i sindacati” bloccheranno il paese.

Ma a novembre ci sono molte altre mobilitazioni di carattere nazionale già definite. Dal 4 all’11 ci sono quelle contro la guerra e la Nato. L’8 è stato confermato lo sciopero dei trasporti (senza rispetto delle fasce di garanzia) promosso dai principali sindacati di categoria. Il 15 ci saranno le mobilitazioni studentesche. Il 20 lo sciopero nella sanità: dai medici, agli infermieri agli Oss con manifestazioni nelle principali città. Il 23 ci sarà la manifestazione nazionale di Non una di meno, che poi proseguirà il 25 su scala territoriale, con manifestazioni nelle città.

L’elenco è parziale, ma emergono con forza due questioni:
– c’è un paese che si sta sollevando e che, indipendentemente da chi è il promotore della mobilitazione e da quali sono gli obiettivi particolari della mobilitazione, converge contro il governo Meloni, contro la guerra, contro la precarietà e la povertà;
– c’è oggettivamente una spinta all’unità di azione, esiste già un fronte comune che deve essere alimentato coscientemente per fare in modo che ogni mobilitazione abbia uno sbocco politico e non si esaurisca nelle rivendicazioni.

In questo contesto, il 30 novembre sarà una giornata di mobilitazione nazionale a Roma in solidarietà con il popolo palestinese. Una giornata importante, ma che si preannuncia già oggi depotenziata e ostacolata da settarismo e spirito di concorrenza – cioè l’esatto contrario di ciò che serve – che si manifestano nella concreta possibilità che il 30 novembre si svolgano due manifestazioni diverse, in reciproca concorrenza (e reciproco antagonismo): una organizzata e promossa da Giovani Palestinesi d’Italia (GPI) e Unione Democratica Arabo Palestinese (UDAP) e una organizzata e promossa da Rete dei Comunisti – Potere al Popolo – USB, con al seguito altre organizzazioni quali Studenti Palestinesi, Associazione dei Palestinesi in Italia (API) e Comunità Palestinese del Lazio.

Chiunque abbia a cuore le sorti del movimento di solidarietà con il popolo palestinese in Italia – ma il discorso vale più in generale per il movimento popolare tutto – deve attivarsi per scongiurare la possibilità che il 30 novembre si svolgano due manifestazioni e deve perseguire l’obiettivo che la manifestazione sia una e sia unitaria.

Scongiurare la possibilità che il 30 novembre si svolgano due manifestazioni e perseguire l’obiettivo che la manifestazione sia una e sia unitaria.
Con questo spirito partecipiamo e invitiamo a partecipare, in particolare le realtà promotrici della manifestazione del 5 ottobre, all’assemblea pubblica verso il 30 novembre che si terrà il 9 novembre a Roma promossa dall’area della Rete dei Comunisti.

Alla scuola del 5 ottobre per la mobilitazione del 30 novembre

La giornata del 5 ottobre ha molti insegnamenti da offrire. In genere si è “costretti” a ricavare insegnamenti dalle sconfitte, nel caso del 5 ottobre gli insegnamenti sono particolarmente importanti anche in ragione del fatto che è stata un successo su ampia scala del movimento popolare contro il governo Meloni (vedi “Organizzare la resistenza. La giornata del 5 ottobre ha indicato una strada”)

Il primo e principale insegnamento riguarda appunto il fatto che è stata una mobilitazione unitaria: tutti coloro che sostengono senza se e senza ma il popolo palestinese e la sua resistenza erano in quella piazza vietata dal governo e assediata dalle forze del dis-ordine. Mancavano molte sigle, organizzazioni, partiti e organismi anche dell’associazionismo palestinese. Tuttavia anche la loro assenza è stata istruttiva: chi era assente ha dimostrato di sostenere il popolo palestinese (NON la sua resistenza) solo dopo alcuni se e alcuni ma.

La forza della piazza del 5 ottobre è stata proprio la presenza, la convergenza, di aree politiche e sindacali anche molto diverse fra loro, anche solitamente in concorrenza fra loro, ed è emersa chiaramente l’importanza dell’esistenza di un centro di riferimento autorevole come promotore della lotta. Gpi e Udap hanno assunto questo ruolo, hanno espresso determinazione e fermezza nell’andare fino in fondo nella conquista della piazza e del corteo nonostante pressioni, criminalizzazione, minacce e tentativi di divisione.

Al netto di alcune eccezioni (come vedremo di seguito), la piazza si è ampiamente avvalsa della migliore tradizione della lotta popolare degli ultimi anni, in particolare mutuando il principio dei No Tav “si parte e si torna insieme”. In altri termini: non esistono buoni o cattivi, esiste solo la legittimità della lotta.

Anche solo limitandoci a questi aspetti emersi dalla mobilitazione del 5 ottobre, è possibile ricavare gli strumenti politici per SPAZZARE VIA ogni scusa che pretende di giustificare la necessità di svolgere due cortei separati il 30 novembre. Considerando anche che:

  • continuare a perseguire la strada di denigrazione e criminalizzazione dei promotori del 5 ottobre, imboccata dalla Comunità Palestinese del Lazio, è un assist al governo Meloni e alla Comunità sionista italiana. Chi ha a cuore le sorti del movimento di solidarietà con il popolo palestinese in Italia non può prestarsi alle manovre per criminalizzare e isolare Gpi e Udap;
  • la manifestazione del 12 ottobre a Roma, partecipata da migliaia di persone, è stata possibile ed è riuscita SOLO in ragione del successo del 5 ottobre, solo perché il 5 ottobre ha spianato una strada. L’ha spianata già il 7 ottobre alla manifestazione che era stata vietata a Torino e che si è svolta senza incidenti (è stato sufficiente che i manifestanti ostentassero la volontà di non tollerare provocazioni); a Bergamo il divieto di svolgere un presidio è stato eluso con la convocazione di una conferenza stampa a cui hanno partecipato più persone di quelle che avrebbero partecipato al presidio. L’8 ottobre, a Roma, un corteo studentesco non autorizzato è iniziato dopo la contestazione alla Cybertech Europe senza particolari interferenze poliziesche.

Alla scuola del 5 ottobre per la mobilitazione più generale, oltre il 30 novembre

“Si susseguono mobilitazioni, manifestazioni, scioperi. Si alzerà il livello dello scontro sociale, aumenteranno la repressione e la criminalizzazione. È un processo che non si può fermare, perché è generato direttamente dalla crisi generale del capitalismo e dalle sue conseguenze a livello nazionale e internazionale.
È un processo che non va temuto, ma va anzi valorizzato. Va cavalcato perché è la condizione materiale in cui è possibile rovesciare il sistema politico delle Larghe Intese e imporre un governo di emergenza delle masse popolari organizzate. Ma per imporlo occorre che le masse popolari siano più organizzate di quanto lo sono già. E questo non si risolve sperando che si organizzino, ma mettendosi a organizzare quelle che non sono ancora organizzate e, soprattutto, alimentando il coordinamento di quelle che invece lo sono già.
Intervenire da comunisti significa approfittare di ogni mobilitazione per rafforzare la rete fra tutte le tendenze avanzate (e se la rete non esiste ancora va costruita, praticamente) e significa imparare a costruire schieramenti politici sulla base degli interessi di classe” – “Spirito di conquista”.

Noi siamo convinti di questo e lavoriamo in questa direzione.

Riteniamo utile essere maggiormente efficaci nella critica pubblica verso chi, invece, commentando le “cose della lotta di classe” in corso si sofferma sugli aspetti negativi. A volte veri, altre volte persino inventati.

Riteniamo utile essere maggiormente efficaci nella promozione del dibattito franco e aperto perché non tutte le idee hanno la stessa valenza. Alcune sono positive, altre sono deleterie.

In positivo, alcune posizioni del Prc si sono distinte, in particolare quelle di Giovanni Barbera, dirigente della Federazione romana (qui e qui).

Di seguito, invece, due esempi di idee e commenti deleteri sul 5 ottobre che si riversano sul movimento popolare con gli effetti che vediamo: divisioni, frammentazione, spirito di concorrenza, denigrazioni…. Tutte cose che indeboliscono il nostro campo e fanno un servizio al campo nemico.

a. Infiltrati e criminalizzazione degli scontri. Il principale focolaio della tesi per cui il 5 ottobre gli scontri sono stati organizzati dalla questura a opera di agenti infiltrati (e/o fascisti e neonazisti infiltrati) è l’Antidiplomatico. Questa tesi, intrisa di legalitarismo e pacifismo senza principi tipici del vecchio Pci di Berlinguer, è deleteria, prima di tutto perché la divisione fra buoni e cattivi è una delle principali armi del nemico e della sua propaganda.

b. I tentativi di forzare i cordoni erano inutili e dannosi. Fra i più influenti focolai della tesi che i promotori e i partecipanti alla giornata del 5 ottobre avrebbero dovuto accontentarsi di aver ottenuto la piazza e avrebbero dovuto evitare forzature per ottenere il corteo è l’area Contropiano / Rete dei Comunisti. Questa tesi, intrisa di opportunismo, è deleteria, prima di tutto perché è un invito all’arrendevolezza nei confronti del nemico. Quando il governo Meloni, dopo averlo vietato per settimane e aver messo sotto assedio Roma, alle 11:30 del 5 ottobre ha dovuto autorizzare il concentramento in piazza, lì il governo Meloni ha iniziato ad annaspare. Scendere in piazza senza provare a sfondare i cordoni sarebbe stato un regalo ingiustificabile e ingiustificato: il governo annaspava e andava bastonato. Così è stato fatto e così è stato giusto fare, altro che “indesiderata esigenza di azzuffarsi con lo schieramento della polizia”.

Conclusioni

La giornata del 5 ottobre ha parlato ai lavoratori del trasporto pubblico che quando scioperano vengono precettati e multati, ha parlato ai lavoratori che fanno i picchetti, agli studenti che occupano le scuole, ai movimenti contro le grandi opere, agli organismi popolari che combattono il degrado e la speculazione, ai movimenti di lotta per la casa, ai detenuti che si ribellano alle condizioni insostenibili… ha parlato a tutti coloro che sono colpiti dalla repressione e a coloro contro cui il ddl 1660 sarà usato come un manganello. Ribellarsi è giusto. Ribellarsi è possibile.

Adesso c’è la possibilità di valorizzare quella giornata oppure la possibilità di contribuire a indebolirne la portata e i risultati.

Nel contesto delle mobilitazioni in corso e della ricerca (e della spinta) all’unità che emerge da ogni parte, chiamiamo tutti coloro che hanno a cuore il movimento di solidarietà con il popolo palestinese in Italia ad attivarsi per scongiurare la possibilità che il 30 novembre si svolgano due manifestazioni e a perseguire l’obiettivo che la manifestazione sia una e sia unitaria.

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