Sul ruolo della Cgil nelle mobilitazioni d’autunno

Nel mese di ottobre la Cgil si è attivata su vari fronti, con o senza le altre sigle confederali.
C’è stato lo sciopero generale del settore automotive del 18 organizzato da Fiom, Fim e Uilm.
Il giorno seguente, 19 ottobre, la manifestazione a Piazza del Popolo a Roma è stata organizzata da Fp Cgil, Uil Fpl e Uilpa, le confederazioni del pubblico impiego. Le motivazioni della piazza sono state così sintetizzate: “Salario, salute, diritti, occupazione: per rivendicare il rinnovo dei contratti collettivi di lavoro di tutti i lavoratori dei servizi pubblici, chiedere maggiori risorse per i contratti nazionali perché è inconcepibile proporre aumenti salariali intorno al 5% quando l’inflazione è al 17%, in particolare si chiedono maggiori risorse per la sanità pubblica al fine di garantire cure universali e gratuite. La manifestazione intende poi denunciare l’aumento delle disuguaglianze che verrà provocato dall’autonomia differenziata e rilanciare la proposta di un grande Piano straordinario per l’occupazione per compensare la cronica carenza di personale”.

Il 26 ottobre la Cgil ha promosso la giornata di mobilitazione nazionale, “Fermiamo le guerre – Il tempo della pace è ora”, insieme alle reti pacifiste (Europe for Peace, Rete Pace Disarmo, Fondazione Perugi-Assisi per la Cultura della Pace, Assisi Pace Giusta, Sbilanciamoci) con iniziative diffuse su tutto il territorio italiano.

Il 31 ottobre la Flc Cgil ha proclamato uno sciopero per l’intera giornata nella scuola che interessa insegnanti e personale Ata alle prese con il rinnovo del contratto.

Al netto delle considerazioni più o meno critiche che si possono fare sulle piattaforme e le parole d’ordine elaborate, l’attivismo della Cgil in questa fase dimostra che i vertici del sindacato sono portati a muoversi contro il governo Meloni e le sue politiche da due spinte che solo incidentalmente coincidono.

Da una parte, ci sono i mille fili che legano questi vertici al Pd e ai suoi addentellati e che li porta a mettere in difficoltà il governo per candidarsi a sostituirlo (per poi fare loro le medesime cose, come avvenuto da almeno trent’anni a questa parte). Dall’altra, ed è la spinta che più ci interessa, c’è la pressione della base degli iscritti al sindacato: una grande platea di lavoratori e lavoratrici che per collocazione di classe sono contro le politiche antipopolari del governo e sono tirate a sinistra dagli sviluppi della crisi, dall’azione dei sindacati di base e di tutto ciò che si muove nel paese. É quella spinta che la Cgil cerca di cavalcare e frenare contemporaneamente: un equilibrismo che è sempre più difficile da mantenere. Un equilibrismo che può essere spezzato se interveniamo in maniera adeguata su questa base, mettendo al bando il settarismo e facendo leva sulle sue migliori aspirazioni.

Mettere al bando il settarismo significa orientarsi con criteri di classe. Parliamo di lavoratori e di classe operaia, anche se stanno in un sindacato diretto da collaborazionisti e opportunisti. É la nostra classe, la nostra gente. I comunisti hanno il dovere di orientarla, indicarle la via della riscossa, sporcarsi le mani nel lavoro di propaganda e organizzazione fuori e dentro le fabbriche e gli altri posti di lavoro. Questo è un criterio generale, vale per la base della Cgil, ma anche per quella della Cisl, della Uil, dell’Ugl e via dicendo, così come per gli operai che magari votano o hanno votato Lega, Fratelli d’Italia, Pd o chissà chi altro.

Le migliori aspirazioni su cui possiamo far leva sono in larga parte legate al concetto di applicare la Costituzione. Partendo da questo aspetto, se si è conseguenti, è inevitabile uscire dal recinto sindacale per addentrarsi nell’urgenza del cambiamento politico generale del paese. Come hanno dimostrato a più riprese, i vertici della Cgil non sono conseguenti, spontaneamente non vanno oltre le chiacchiere e le belle speranze. L’inevitabile necessità della costruzione dell’alternativa politica va imposta loro con il lavoro organizzativo e di propaganda dei comunisti di cui abbiamo parlato.

“Difendere e attuare la Costituzione”, l’obiettivo proclamato a più riprese dalla Cgil e in nome del quale ha aggregato un ampio numero di associazioni, significa oggi cacciare il governo Meloni che, come e più dei governi delle Larghe Intese che lo hanno preceduto, viola nello spirito e nella lettera la Costituzione del 1948 e sostituirlo con un governo deciso ad attuarla.

Occorre un governo che:

–– sottopone i capitalisti a una legislazione d’emergenza, vieta la vendita di aziende a multinazionali straniere, nazionalizza le aziende lasciate andare in malora, crea nuove aziende pubbliche o riconverte e amplia le attività di quelle già esistenti per produrre quanto è necessario a rimettere in sesto il paese, riorganizza le attività in maniera ecocompatibile e inquadra in un piano economico nazionale le aziende capitaliste e pubbliche, le cooperative e le altre strutture economiche;

– fissa un salario minimo e lo introduce fin da subito nelle aziende statali o partecipate;

– incarica le Rsu, o altre organizzazioni di lavoratori, di segnalare i capitalisti che fanno i furbi e traduce in leggi le misure che, caso per caso, esse indicano per tutelare la sicurezza sul lavoro;

– ritira i soldati dalle missioni di guerra Usa-Nato con o senza copertura dell’Onu, chiude le basi Usa e Nato ed esce dall’Alleanza Atlantica.

Questo significa dare gambe alla difesa e applicazione della Costituzione. Non può essere un governo dei “soliti noti”. Deve essere un governo d’emergenza, composto da persone di fiducia degli organismi operai e popolari, cioè di chi la Costituzione ha interesse ad applicarla contro quelli che l’hanno prima aggirata e poi apertamente violata. Violazioni ed elusioni non sono un caso o una distrazione, ma la conseguenza di specifici interessi che è necessario e urgente neutralizzare.

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