No al ddl 1660. La lotta per la casa e il ruolo delle Amministrazioni comunali

L’introduzione del ddl 1660 inasprisce pesantemente le pene per gli occupanti di case, da due a sette anni di carcere, e allarga di molto la platea dei soggetti su cui interviene, estendendo il reato a chi è sotto sfratto con sentenza esecutiva per morosità. Per capire la portata di questo fatto basta pensare che nel 2022 le sentenze di sfratto con richiesta di esecuzione sono state oltre centomila. Oggi dovrebbero essere tutti arrestati e processati.

Al di là di tutto, tali numeri mettono bene in evidenza che l’emergenza abitativa non può essere trattata con la repressione. Non è solo una questione morale, è che non è proprio materialmente possibile, per quanto il governo promuova spot sulla pelle di chi si trova privato del diritto alla casa.

Ci sono altre soluzioni possibili, positive per le masse popolari e coerenti, ad esempio, con i dettami progressisti della Costituzione. Una di queste soluzioni è passata alla storia, ovvero è già stata percorsa. Non da un comunista rivoluzionario, ma da Giorgio La Pira, sindaco democristiano di Firenze nel 1953.

Nel 1953, di fronte al problema della casa e all’elevato numero di sfratti, La Pira tenta due strade. La prima, è la richiesta ai proprietari immobiliari di graduare gli sfratti, ma rimane inascoltata. La seconda, è la richiesta di affittare al Comune un certo numero di abitazioni non utilizzate, in modo che il Comune possa assegnarle. Di fronte all’ulteriore rifiuto riesuma una legge del 1865 che dà facoltà al sindaco di requisire alloggi in presenza di gravi motivi sanitari o di ordine pubblico, in virtù della quale emette l’ordinanza di requisizione degli immobili stessi.

Ci sono anche esempi più recenti. Nel 2007 Sandro Medici, presidente di municipio a Roma, su spinta dei movimenti di lotta per la casa requisisce con un’ordinanza più di duecento appartamenti sfitti da assegnare alle famiglie sotto sfratto e senza nuova assegnazione (o in assenza di proroga). Questo provvedimento (e altri simili) gli è costato la denuncia per reato di “usurpazione di pubbliche funzioni”, ma la sentenza del Tribunale di Roma, nel 2011, ha stabilito che requisire appartamenti sfitti per contrastare l’emergenza abitativa non è reato, confermando quanto già stabilito in un caso analogo dalla Corte di Cassazione nel 2007.

Le Amministrazioni comunali hanno, quindi, ampio margine per intervenire sulla problematica della casa. In sintesi possono:

a. promuovere un “patto cittadino” fra proprietari di patrimoni immobiliari sfitti, amministrazioni locali e organismi popolari che lottano per il diritto alla casa (abbassare o eliminare tasse e imposte per coloro che aderiscono e mettono a disposizione parte del patrimonio sfitto);

b. laddove il patto non fosse sufficiente, il sindaco può emettere decreti per la requisizione di case lasciate sfitte dai possidenti di grandi patrimoni immobiliari;

c. valorizzare il ruolo delle organizzazioni popolari che si occupano dell’emergenza abitativa e combinarlo con quello delle istituzioni che già esistono per formulare graduatorie “di emergenza” e assegnare case e alloggi;

d. mobilitare le organizzazioni popolari per allargare e animare la rete di occupanti, in modo da evitare ogni possibile “piega” in cui potrebbe insinuarsi la speculazione della malavita (il racket delle occupazioni abusive è cresciuto proprio quando il movimento di lotta per la casa è stato più debole).

Giustamente il lettore potrebbe pensare: “ci vorrebbe un sindaco come La Pira, ma dove lo troviamo?”.

La Pira era un sindaco democristiano, animato da un senso di solidarietà, ma non era certo un rivoluzionario. Il fattore decisivo fu la mobilitazione popolare, come si può leggere proprio nell’ordinanza che requisiva gli immobili sfitti: “La gravità della situazione è tale che si sono verificati episodi di sfrattati che hanno portato i loro mobili nella sede comunale tanto che il fatto ha avuto eco anche in un giornale cittadino, con conseguenza evidente di far sorgere una sempre maggiore tensione nello stato d’animo non solo degli sfrattanti, ma anche dei privati cittadini verso questa pubblica Amministrazione ritenuta incapace di soddisfare anche precariamente un diritto fondamentale del cittadino quale quello a una abitazione”.

Si tratta, quindi, di sviluppare la lotta e la mobilitazione. Certo con proteste e manifestazioni, occupando municipi e opponendosi agli sgomberi, ma anche e soprattutto iniziando ad applicare da subito e dal basso le misure che servono: mappando gli edifici inutilizzati, facendo assegnazioni dal basso, coordinando le esperienze di occupazione e autogestione, organizzando i lavori di ristrutturazione degli alloggi lasciati alla malora, ecc. Così da costringere le Amministrazioni locali a schierarsi: o sostenendo e facendo propria la soluzione al problema della casa che arriva dal basso, o smascherandosi apertamente come parte del problema, ponendo così condizioni più avanzate per cacciarli.

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