A metà ottobre il consiglio dei ministri ha approvato il Documento programmatico di bilancio e la relativa Legge di bilancio per il 2025, presentati dal ministro dell’economia e delle finanze Giancarlo Giorgetti. L’iter parlamentare per l’approvazione definitiva andrà avanti fino a fine anno.
È un pacchetto di misure da circa 30 miliardi di euro lordi, di cui 21 coperti da minori spese o maggiori entrate e 9 a deficit.
L’aspetto della manovra che viene più sbandierato è la riduzione del prelievo fiscale, cioè la riduzione delle tasse.
Si tratta, in realtà, di uno specchietto per le allodole in quanto ha come risultato una riduzione delle entrate, che verrà accompagnata da tagli delle spese per i servizi pubblici quali sanità, scuola, previdenza, ecc. e, quindi, in ultima analisi andremo verso un sostanziale peggioramento delle condizioni di vita delle masse popolari.
In altre parole, il governo Meloni prosegue nel solco di lacrime e sangue tracciato da Draghi.
Di seguito il contenuto di alcune delle misure presenti nei 144 articoli della manovra per il 2025.
Detrazioni fiscali, Irpef e cuneo fiscale. Le misure più rilevanti in termini di entrate, per un totale di 17,4 miliardi di euro, sono quelle che riguardano il fisco. In particolare sono previste
– la rimodulazione delle detrazioni fiscali, che si applicherà sulle dichiarazioni dei redditi del 2026 e sarà a favore delle famiglie numerose con reddito inferiore a 50 mila euro lordi;
– la proroga della riforma Irpef varata nel 2024;
– la proroga del taglio del cuneo fiscale, che subirà un cambiamento piuttosto complicato e consisterà in bonus fiscali calibrati per scaglioni per chi ha redditi fino a 20 mila euro; per chi guadagna di più, ci sarà un sistema di detrazione fiscale che diminuisce gradualmente fino ad azzerarsi per coloro che guadagnano più di 40 mila euro all’anno. Con questa operazione gli unici che ci guadagneranno di sicuro sono quelli con redditi tra i 35 e i 40 mila euro annui che finora erano stati esclusi da questa misura.
In ogni caso, queste misure sono un incremento di salario apparente, in quanto non sono frutto di rinnovi contrattuali e non rafforzeranno il potere di acquisto, eroso tra l’altro dall’inflazione in aumento!
Anche lo stanziamento di 700 milioni di euro per il rinnovo del contratto del settore pubblico (scaduto a dicembre 2021) non sarà utile a rafforzare il potere d’acquisto di questa categoria di lavoratori, perché andrà a coprire solo un terzo di quanto gli stipendi hanno perso in questi anni a causa dell’aumento generalizzato dei prezzi dei beni e dei servizi.
Taglio della spesa dei ministeri e degli enti locali. Per coprire le misure fiscali è previsto un taglio indiscriminato del 5% della spesa corrente dei ministeri, corrispondente a 2,1 miliardi di euro. A questi si aggiungeranno altri 700 milioni di tagli agli enti territoriali, mettendo in difficoltà l’erogazione dei servizi ai cittadini.
A fronte di questi tagli (che comporteranno, ad esempio, gravi conseguenze per l’istruzione, l’università e la ricerca scientifica), senza chiarire l’entità della spesa e soprattutto senza prevedere alcuna tassazione degli extra-profitti delle imprese del settore bellico (in primis Leonardo), il governo ha annunciato il potenziamento degli investimenti nel settore della difesa.
Banche e assicurazioni. Una voce piuttosto controversa è quella che il ministro Giorgetti ha definito il “sacrificio” che interessa banche e assicurazioni. Non si tratterà di una tassa sugli extraprofitti (quelli realizzati nel biennio scorso ammontano a oltre 100 miliardi!), né di un prelievo “una tantum”, ma piuttosto di un’anticipazione di liquidità di 2,5 miliardi dovuti dagli istituti di credito per imposte già in vigore, a cui si sommerà 1 miliardo per effetto di una rimodulazione del versamento dell’imposta di bollo a carico delle assicurazioni (sui prodotti di investimento dovranno pagare annualmente, anziché alla scadenza). È veramente difficile credere che questo “sacrificio” sarà a costo zero per correntisti e sottoscrittori di polizze!
Sanità. In tema di spese, il primo dato che salta all’occhio, più che altro per le aspettative annunciate, sono le esigue risorse destinate al Servizio sanitario nazionale (Ssn) e cioè meno di 900 milioni aggiuntivi (pari allo 0,040 % del pil), con i quali il ministro della salute Orazio Schillaci non potrà di certo avviare i piani di assunzione di medici e infermieri tanto attesi. È una cifra totalmente insufficiente rispetto alle necessità più volte espresse da chi lavora nella sanità.
Ciò a cui bisogna prestare attenzione è anche un altro dato: il 60% circa della spesa sanitaria è a vantaggio di soggetti privati che operano attraverso le cosiddette convenzioni in nome e per conto del Ssn. Per sostenere il Ssn sarebbe quindi necessario non solo erogare più risorse, ma anche fare una riforma che rimetta al centro il soggetto pubblico.
Pensioni. Per le pensioni è prevista una spesa di 500 milioni di euro. La misura principale è la proroga per un altro anno delle opzioni di uscita anticipata (Ape sociale, Opzione donna e Quota 103) con le penalizzazioni già in vigore che le rendono molto poco convenienti.
È prevista inoltre la rivalutazione piena delle pensioni, senza meccanismo di “sterilizzazione” applicato negli anni scorsi e che comportava una limitazione dell’adattamento all’aumento dei prezzi. Saranno comunque pensioni da fame, con un aumento di ben 3 euro al mese delle minime!
Seppur promesso in campagna elettorale dall’attuale maggioranza, non solo la legge Fornero non verrà abrogata, ma i dipendenti pubblici potranno chiedere di andare in pensione a 70 anni fruendo di un bonus contributivo che alzerà lo stipendio mensile. Questa misura, se approvata, andrà a incidere sul turnover della pubblica amministrazione, che comunque nel 2025 verrà bloccato al 75% per rispettare il nuovo parametro europeo di controllo della spesa primaria corrente.
Già solo considerando i punti fin qui brevemente illustrati, che sono solo una parte delle misure previste, ci sono tutti i presupposti per proclamare lo sciopero generale che blocca il paese fino a far cadere Meloni & Co.