Rilanciamo, promuoviamo la circolazione (e spingiamo altri a fare altrettanto) della lettera che la Rete dei comitati civici di Bologna, con annesso Manifesto, ha mandato ai quattro candidati alla presidenza della Regione Emilia Romagna.
La lettera affronta quattro temi che hanno in comune la lotta per rompere la sottomissione delle istituzioni locali ai gruppi speculativi in materia di gestione del territorio. Il legame tra le lotte particolari dei comitati è oggettivo: c’è un nesso, infatti, tra la svuotamento del centro storico a fini turistici, il caroaffiti e le grandi opere inutili come il Passante, tra la distruzione del verde, i nuovi progetti immobiliari dei quartieri residenziali come il Navile o Bertalia/Lazzaretto e, per esempio, il collasso dell’aeroporto (con l’inquinamento e lo sfruttamento sul lavoro che ne derivano) o la chiusura delle botteghe storiche a vantaggio di grandi catene spesso in odore di collusione con la mafia.
È il “sacco di Bologna” da parte di Legacoop, i vari fondi speculativi come Prelios e altre consorterie del genere di cui l’Amministrazione comunale è in sostanza passacarte adibita a dare una veste “legale” e “democratica” a questo enorme flusso di denaro (salvo quando, messa all’angolo, è costretta a sfoderare il manganello o a fare carta straccia dei suoi stessi regolamenti).
Ebbene, su questi temi chiamiamo a nostra volta i comitati a esigere dai candidati non solo parole ma anche fatti, non solo dopo le elezioni ma anche prima, ad esempio chiamandoli a partecipare alle mobilitazioni di queste settimane a tutela dei pini in varie città della regione, come l’anno scorso fece il Consigliere comunale di Bologna Davide Celli quando si presentò fisicamente a sostenere l’azione del Comitato Besta al Parco Don Bosco per impedire il taglio degli alberi. Oppure, per quello che riguarda le forze politiche che hanno già consiglieri in regione, dato che i Consiglieri regionali hanno poteri ispettivi nelle aziende e nei cantieri, esigere che li usino da subito! Vorremo sapere, per esempio, perché si registrano voli di aerei militari intorno all’aeroporto di Bologna e vogliamo saperlo prima delle elezioni e non – forse – il giorno dopo. Vogliamo accedere agli atti che autorizzano la mattanza di pini di questi giorni, atti che il Comune di Bologna tiene (non sorprendentemente, per quanto illegittimamente) segreti.
Avvalersi delle elezioni per promuovere il protagonismo dei comitati è il compito delle prossime settimane. A prescindere da chi vincerà queste elezioni, la direzione che prenderà concretamente la Regione dipende dalla forza dei comitati e dal livello politico e organizzativo del loro coordinamento.
Bologna, 25 ottobre 2024
Ai candidati a presidente della regione Emilia Romagna:
Michele De Pascale, Federico Serra, Luca Teodori, Elena Ugolini
Gentili candidati,
siamo cittadini di Bologna impegnati per difendere diritti calpestati e interessi collettivi trascurati, attraverso Associazioni e Comitati civici. Le nostre battaglie, diverse tra loro, ci hanno messo di fronte a problemi simili. Abbiamo quindi deciso di formare una rete per agire uniti su alcuni grandi temi, descritti nel Manifesto che abbiamo presentato pubblicamente a luglio, e che desideriamo portare alla vostra conoscenza.
Sono temi che abbiamo inquadrato su scala cittadina, anzi “bolognese”, ma che incrociano anche competenze di livello più alto, e in particolare quelle della Regione che vi candidate a governare, come ad esempio:
1. L’insufficiente tutela e manutenzione del verde, non solo cittadino, ma anche quello diffuso su un territorio già troppo costruito e impermeabilizzato.
2. La debolezza della politica davanti alla prepotenza dei grandi interessi economici, che appaiono sempre più dominanti e incontrastati, anche quando causano danni alla salute dei cittadini, come il traffico aeroportuale.
3. La sostanziale incapacità di indirizzare l’uso del territorio (pianificazione urbanistica, assegnazione spazi pubblici, politiche di mobilità, vivibilità urbana) verso l’interesse collettivo e l’effettiva sostenibilità, e di fermare il consumo di suolo, che invece vediamo continuare a dispetto delle parole.
4. La trasformazione del commercio e dell’industria con il progressivo arretramento del tessuto storico di piccole imprese, sostituite da grandi attori sovranazionali che spostano i guadagni nelle mani di pochi attori con sedi in paradisi fiscali, e lasciano sul nostro territorio le briciole di un lavoro sempre più povero e meno dignitoso, mentre cambiano il volto delle nostre città.
Chiediamo pertanto a ciascuno di voi:
– Come pensate di affrontare, qualora vinceste le elezioni, i problemi descritti nel nostro Manifesto?
– Siete disponibili ad un incontro (*) con la nostra Rete dei Comitati di Bologna?
(*) intendiamo proporre un incontro con un solo candidato per volta, senza dibattito tra candidati. Restiamo in attesa della vostra risposta.
La Rete di Associazioni e Comitati di Bologna.
UN MANIFESTO DI COMITATI E CITTADINI A TUTELA DEI BENI COMUNI, CONTRO ARROGANZA E VIOLENZA
CHI SIAMO
Siamo cittadini di Bologna impegnati su fronti diversi per difendere diritti calpestati e interessi collettivi trascurati, come singoli o all’interno di Comitati civici.
Le nostre battaglie, diverse tra loro, ci hanno messo di fronte a problemi simili: l’ipocrisia di politiche che si definiscono inclusive e sostenibili ma che in realtà fanno l’opposto; la finta partecipazione, organizzata per confermare scelte già fatte e mai discusse con i diretti interessati; l’inerzia della politica davanti alla prepotenza degli interessi economici; l’arroganza e la sordità ideologica di fronte ai bisogni dei cittadini.
Da alcuni mesi abbiamo iniziato a frequentarci, a conoscerci, a partecipare alle battaglie “degli altri”, e ci siamo resi conto che abbiamo molte cose in comune. E abbiamo deciso di formare una rete per agire uniti su 6 grandi temi sui quali, nonostante le nostre diversità, abbiamo una visione condivisa.
COSA VOGLIAMO
1) Tutelare il verde urbano, patrimonio pubblico maltrattato.
Gli alberi in città sono un patrimonio prezioso, per la funzione che svolgono rispetto all’inquinamento e al cambiamento climatico, perché creano un’oasi di benessere a disposizione di tutti, e perché sono l’habitat indispensabile per uccelli, piccoli roditori, ecc altrimenti espulsi dalle zone urbane. Eppure ci siamo accorti come il Comune li gestisce male, ignorandoli e maltrattandoli.
Questo avviene con gli abbattimenti sconsiderati per opere inutili o realizzabili su aree già edificate e/o dismesse. Oppure con lavori che ne danneggiano le radici, facendoli così ammalare e morire: i casi di piante dichiarate pericolanti sono spesso riconducibili a interventi sbagliati che danneggiano l’albero, mettendolo a rischio di caduta. Non esiste alcuna forma reale di controllo sull’operato delle aziende che hanno in appalto la gestione del verde, che talvolta agiscono senza la documentazione necessaria, spesso lontano dalla regola d’arte, operando potature errate, eccessive, dannose per gli alberi e fuori dalla stagione consentita. Rimangono a controllare solo i cittadini, cui è però impedito di accedere a informa- zioni preventive (in barba al principio di trasparenza) e si ritrovano ad agire “ex post”, a danno fatto. E’ necessario ripristinare un sistema di controlli efficaci sull’operato delle aziende che si occupano del verde pubblico. Mancano anche i controlli da parte di agronomi incaricati dal Comune, sui lavori edili (per infrastrutture, sottoservizi etc.) in prossimità di alberi e arbusti. Le attività dei cantieri dovrebbero essere organizzate, in presenza di piante, in stretto accordo con gli agronomi, per evitare o minimizzare i danni.
Non esiste a Bologna una strategia per conservare e rafforzare il patrimonio arboreo. Quando la Giunta afferma con orgoglio che “per ogni albero abbattuto ne piantiamo due” non si rende conto di ammettere una riduzione del patrimonio verde, sia perché un grande albero di 30 metri vale centinaia di alberelli di nuovo impianto, sia perché di quei due nuovi alberelli piantati, uno è destinato a seccare nei primi anni.
La quota di verde pubblico pro-capite teorica a disposizione dei bolognesi è alta (22 mq), ma solo grazie al fatto che il territorio comunale include diversi kmq di parchi collinari, che “gonfiano” i numeri, mentre il verde realmente fruibile da chi abita in città è molto più ridotto, come sperimentano gli abitanti di tante zone di Bologna, che si vedono abbattere senza motivo i pochi alberi vicino a casa, e ridurre le aree verdi di quartiere. E riguardo al verde su suolo privato, davanti alla domanda di edificazione il Comune concede di abbattere piante anche grandi sulla base di perizie di parte, senza verificarle.
Oltre al verde maltrattato, esiste anche il verde mancato. Si tratta degli standard previsti dalla normativa urbanistica quando si costruiscono nuovi edifici o si aumentano i volumi edificati con ristrutturazioni, ovvero aree di verde (privato e pubblico) che devono compensare il maggior carico creato dalle nuove superfici costruite. Succede però che da anni il Comune accetta che tali standard vengano “monetizzati”, ovvero convertiti dal costruttore in una cifra versata nelle casse comunali. Questa prassi finisce con il privare i cittadini di un patrimonio di verde a cui avrebbero diritto, soprattutto davanti ai cosiddetti “mostri urbani”, ovvero edificazioni molto impattanti, nettamente fuori scala rispetto al tessuto urbanistico preesistente e circostante, rispetto alle quali esiste il ragionevole dubbio se le compensazioni urbanistiche dovute (verde, parcheggi, servizi pubblici) siano effettivamente state richieste e ottenute.
E ricordiamo che il verde è non solo un fattore di benessere ambientale e qualità urbana, ma è decisivo anche per la salute dei cittadini.
2) Difendere la salute, minacciata da inquinamento e rumore.
La salute dei bolognesi è minacciata da varie forme di inquinamento: atmosferico, elettromagnetico e acustico, soprattutto in alcune aree. Non a caso da anni a Bologna è in atto un fenomeno di espulsione dei residenti da zone della città che sono di fatto abbandonate al caos notturno e al degrado.
La reiterata tolleranza di comportamenti incivili e mai contrastati hanno reso diverse parti del centro storico un territorio senza regole, con strade trasformate in bolge di avventori rumorosi, portici in bivacchi, portoni di casa in latrine. E gli abitanti abbandonati a sé stessi, tanto che hanno smesso di chiamare le forze dell’ordine che non intervengono, e se intervengono possono fare poco o nulla.
“Dormire è un diritto, impedirlo è un sopruso”, riportava uno striscione appeso in via Petroni alcuni anni fa. Anni nei quali il diritto è arretrato, e il sopruso avanzato. Sotto gli occhi di una Amministrazione comunale che, espletato il rito stagionale dell’ascolto delle doglianze dei residenti, ha sostanzialmente scelto di lasciar correre.
Così la cosiddetta “Mala-movida” si è estesa e consolidata, aggiungendo alla violenza del rumore che impedisce il sonno (perché di violenza si tratta) anche episodi di aggressività verso gli abitanti che osano richiamare il rispetto di alcune regole, i rifiuti abbandonati lungo strade e portici, i danni alle auto parcheggiate, lo spaccio e l’abuso di alcool con le loro sgradevoli conseguenze. E con il risultato di rendere i cittadini prigionieri a casa propria, dato che diventa pericoloso uscire e ancora di più rientrare (tanto che i taxi si rifiutano di entrare in alcune zone, dopo un certo orario).
Ma se centinaia di abitanti del centro non dormono per il rumore proveniente dal basso, migliaia nei quartieri a nord soffrono di quello che arriva dall’alto. Da un traffico aereo anch’esso selvaggio e non governato, che non rispetta le regole sui sorvoli delle zone abitate e sul numero di decibel accettabili, e per 18 ore al giorno sovrasta ogni attività e soverchia ogni altro suono o voce.
Da anni comitati e cittadini denunciano questo abuso. Da anni il Comune, pur essendone socio, considera l’Aeroporto come un regno indipendente, che preferisce non irritare e non disturbare. E anche qui, assolto il dovere dell’ascolto d’ufficio dei cittadini esasperati, ha scelto di lasciar correre. Perché certamente i voli portano business, e il business fa bene alla città (non a tutta però: una parte ci guadagna, una parte ne paga il prezzo).
3) Rivedere l’uso degli spazi pubblici (con meno privilegi e più equità).
Bologna è ricca di spazi di proprietà del Comune, che li affida in gestione a diversi gruppi e associazioni. Da anni però la cerchia dei beneficiari di queste assegnazioni si è sempre più ridotta, premiando alcuni ed escludendo un’ampia fetta di realtà e organizzazioni “non allineate”.
Accade infatti sempre più spesso che i vincitori dei bandi si sappiano in anticipo, non solo prima dell’esame delle offerte, ma addirittura prima che il bando venga pubblicato. E sono sempre più frequenti i casi in cui i beneficiari vengono individuati senza bando, con percorsi pseudo-partecipativi di co- progettazione, che finiscono col premiare rapporti personali o vicinanze politiche tra gestori e figure istituzionali.
Non a caso il soggetto giuridico che a Bologna gestisce risorse, spazi e denari pubblici destinati alla cultura non è più il Comune, ma la Fondazione Innovazione Urbana, un ente di diritto privato e diretta emanazione del Sindaco, utilizzato come strumento (più agile e meno soggetto a controlli rispetto all’Istituzione comunale) sia per assegnare risorse, sia per premiare con assunzioni o collaborazioni i soggetti più fedeli e più obbedienti.
In questo modo si utilizzano le politiche culturali per alimentare di fatto un consenso clientelare, ma soprattutto si esclude tutto un mondo (culturalmente vario e creativo), impoverendo l’offerta culturale della città e privando i bolognesi di proposte, sguardi critici ed energie alternative che invece sarebbero un arricchimento intellettuale e politico.
Ma anche altri spazi pubblici vengono concessi ad alcuni e sottratti ad altri. Basta fare una passeggiata per il centro storico (e non solo), per imbattersi in piazze diventate ristoranti all’aperto, portici usati come sale bar, strade sature di tavolini, tanto che per passare resta appena un viottolo stretto tra sedie, zainetti e calici, e bisogna chiedere permesso, o cambiare strada.
Luoghi dove prima era possibile passeggiare, fermarsi per guardare una torre, sedersi su una panchina, ora sono interamente occupati da attività di ristorazione, dove per sederti sei obbligato a consumare. Il suolo pubblico diventa privato, tavolini al posto delle panchine, clienti al posto dei cittadini. La concessione poco accorta ai privati dello spazio pubblico è a volte talmente sfacciata che appaiono persino paletti e cordoni per tenere lontani (da un’area pubblica) i non clienti. Meno passanti, più paganti.
E il Comune cosa fa? Allarga gli spazi per il consumo turistico, ed applaude al business. “Senza chiedere la carta di identità agli imprenditori”, come ha dichiarato il Sindaco in una recente intervista. Anche in presenza di indizi di penetrazione di organizzazioni criminali nelle attività di ristorazione (vedi l’inchiesta “La febbre del cibo”, e gli arresti che ne sono seguiti).
C’è poi una terza categoria di spazi pubblici sottratti ai cittadini: le grandi aree dismesse, come l’ex Cierrebi. Si tratta di una grande struttura sportiva la cui proprietà, ora privata, ha sottoscritto accordi e convenzioni che assicurano (in teoria) ai cittadini un diritto di fruire di una parte della struttura. Un diritto che è la contropartita richiesta dal Comune nel momento in cui concede al privato qualcosa che aumenta il valore della sua proprietà (come permessi di edificare, cambio di destinazioni d’uso, ecc). Anche perché, nel caso specifico dell’ex Cierrebi, l’uso pubblico degli impianti sportivi era un fatto storico e qualificante per tutto il quartiere, e gli impianti esistenti (benché inutilizzati) sono ancora di pregio.
Ma anche qui, che ruolo ha scelto di giocare il Comune? Un ruolo inerte davanti alle dinamiche del mercato, succube degli interessi economici privati (che sono preponderanti, se non esclusivi, nella recente proposta della spagnola Go-fit). A costo di contraddire a sé stesso, accettando proposte del privato che smentiscono gli obiettivi che il Comune aveva dichiarato.
Riteniamo quindi che sia urgente un cambio di passo rispetto all’uso di tutti questi spazi pubblici, per restituirli ai cittadini, gestirli in modo equo, ed evitare che pochi guadagnino a danno di molti.
4) Mobilità: smascherare l’ipocrisia per renderla (davvero) sostenibile
Con recenti piccole scelte (come il restringimento di molte sedi stradali, l’eliminazione di posti auto in diverse zone residenziali, e l’estensione del limite dei 30 kmh) l’Amministrazione di Bologna sembra penalizzare l’uso dell’auto privata, e dichiara di farlo per a ridurre le emissioni, contrastare il cambiamento climatico e favorire una transizione verso una mobilità più sostenibile.
In realtà, ad uno sguardo più allargato e ad un esame più approfondito, emerge un quadro di incoerenze e contraddizioni delle politiche locali sulla mobilità, che mettono in luce un diverso obiettivo: fingersi alfieri della sostenibilità puntando su provvedimenti bandiera, per eludere i veri nodi che rendono poco sostenibile il nostro sistema di mobilità. Che come tutti i sistemi di mobilità è figlio delle politiche insediative, ovvero della pianificazione (effettiva o mancata) del territorio.
L’Amministrazione attuale dice di voler limitare l’uso dell’auto privata, ma lo fa dimenticando le responsabilità (proprie e delle altre istituzioni locali, governate dalle stesse forze politiche da decenni) dell’enorme dispersione abitativa, contrastata solo a parole e nei documenti elettorali, ma di fatto tollerata e praticata in tutti i territori. Una dispersione che ha consentito di raddoppiare o triplicare i volumi esistenti, trasformando pollai in casette monofamiliari, e stalle in ville quadrifamiliari, col risultato di spargere nella campagna centinaia di nuovi insediamenti servibili solo con l’auto privata, e creare una domanda di mobilità impossibile da soddisfare con il trasporto pubblico. E dire che il Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale del 2004, l’atto che avrebbe dovuto guidare le scelte urbanistiche di Bologna e provincia, prescriveva di “decentrare per centri” per evitare la dispersione, di concentrare lo sviluppo edilizio sulle direttrici servite dalla ferrovia, ed altre cose di buonsenso. Purtroppo una politica urbanistica debole ed asservita agli interessi economici (la trasformazione di terreno agricolo in edificabile è il modo più rapido per produrre rendita) ha tradito questi principi, e ha continuato a consumare suolo, a costruire in modo frammentato e a generare nuovo traffico stradale.
La stessa Amministrazione che toglie parcheggi nelle zone residenziali, spiegando ai cittadini che l’automobile è un concetto superato, continua a permettere la costruzione di centri commerciali raggiungibili solo in automobile e dotati di enormi parcheggi, aumenta i posti auto dell’Aeroporto (di cui è socia) portandoli a 7.000, allarga (con il Passante) tangenziale ed autostrada e finanzia nuove strade, senza potenziare altrettanto i servizi ferroviari. Cioè si finge di “dichiarare guerra” all’automobile (penalizzando tra l’altro i cittadini meno abbienti, che non hanno posti auto privati) ma si continuano a fare scelte, strategiche e urbanistiche, che puntano sull’auto privata come mezzo principale di mobilità. Strategia confermata dall’interramento della linea Bologna Portomaggiore, realizzato per eliminare i passaggi a livello, senza prevedere lo spazio per il raddoppio del binario, quindi senza benefici per il trasporto ferroviario, ma solo per quello stradale.
Ma il cittadino a cui il Comune rende difficile muoversi in auto (e anche quello che condivide l’obiettivo di usare meno l’auto) cosa può fare? L’Amministrazione ha scelto di complicargli la vita senza offrirgli delle alternative rispetto all’automobile. E lo ha fatto dopo 30 anni di errori in materia di mobilità: dopo che sono sorti e tramontati progetti divergenti e contraddittori come Metrotramvia, Teo, Civis, Filobus, Tram. Dopo scelte infrastrutturali poco trasparenti (prima il Passante largo, poi quello di mezzo, ora quello stretto), dopo accordi e impegni sul trasporto pubblico non rispettati e non fatti rispettare (come quelli che dovevano portare ad un Servizio Ferroviario Metropolitano cadenzato alla mezz’ora, all’integrazione tra ferro e gomma, alle linee passanti). Dopo che opere lungamente rinviate vengono cantierizzate tutte insieme (Interramento ferrovia Veneta, Tram, Passante, intervento sulla Garisenda), bloccando la viabilità e paralizzando la città.
Con questa storia alle spalle, chi oggi governa Bologna ha deciso di addossare costi e disagi di una presunta “svolta green” ai cittadini, e di liquidare con sufficienza le loro proteste, come se l’automobile fosse un capriccio e non (in molti casi) una necessità resa tale dalle proprie scelte urbanistiche (inclusa quella di rinunciare ai parcheggi dovuti dai costruttori a compensazione delle nuove edificazioni, accettando la monetizzazione degli standard urbanistici).
Una nota a parte merita “Bologna città 30”, fortemente voluta da questa Giunta, che ne ha fatto un provvedimento-bandiera grazie al quale ha attirato i riflettori della stampa nazionale e internazionale. Lo scopo dichiarato è quello di aumentare la sicurezza, quando però poco o nulla è stato fatto per far rispettare il limite dei 50 kmh, né è mai stato realizzato alcuno studio sulle vittime causate da velocità comprese tra i 30 e i 50 kmh (ovvero nella fascia oggetto del provvedimento), né è stato prodotto alcuno sforzo per contrastare altri comportamenti pericolosi quanto l’eccesso di velocità (es. la guida distratta).
A distanza di qualche mese, il risultato è che il limite dei 30 non viene quasi mai rispettato, ma in cambio tutti sono più attenti a quello dei 50. E all’assessore alla mobilità, che lamenta l’assenza di controlli sui 30, ricordiamo che il sindaco suggeriva pubblicamente agli automobilisti, nei primi giorni di applicazione delle sanzioni (gennaio 2024), di fare attenzione non tanto al tachimetro, ma alle postazioni dei vigili col Telelaser, a dire che in assenza di pattuglie si poteva andare come prima, e che lo scopo del nuovo limite non era quello di applicarlo davvero, ma di fare notizia per poi tirare avanti come sempre. Perché senza un’offerta di trasporto alternativa e competitiva rispetto all’auto privata, anche Bologna città 30 è destinata a restare mera propaganda, per avere visibilità esterna.
Una politica seria a favore della sicurezza richiede un approccio ben differente: meno multe per fare cassa, concentrando invece controlli e sanzioni verso le condotte stradali realmente pericolose (tra cui l’eccesso di velocità ma anche la guida distratta con cellulare in mano). Affrontare le questioni di sicurezza legati alla circolazione di monopattini e bici (tra cui si mimetizzano veri e propri scooter elettrici, funzionanti senza pedalata) che sfrecciano indifferentemente in strade, piste ciclabili, marciapiedi e portici in un far west caotico, e farlo dando priorità ad un approccio educativo più che punitivo, tenendo conto che spesso questi mezzi sono la scelta quasi obbligata per i meno abbienti.
Nel frattempo, i (pochi) cittadini che hanno preso sul serio il limite si trovano a districarsi tra strade a 30 e strade a 50 poco distinguibili, e ad allungare i tempi degli spostamenti (soprattutto in orari e tratti scarichi), che per le attività produttive (corrieri, artigiani, professionisti, ecc…) significano maggiori costi.
Abbiamo bisogno di far cadere queste finzioni, di andare oltre il marketing e il “Greenwashing” in materia di mobilità, per mettere a fuoco i fattori di insostenibilità e creare le condizioni per una mobilità sostenibile da tutti i punti di vista: ambientale, economico, sociale.
5) Tutelare il commercio di vicinato per una città abitabile (non solo visitabile)
Il piccolo commercio di vicinato è in difficoltà a livello globale per l’avanzata dell’e-commerce, della grande distribuzione e delle catene multinazionali, che operano con metodi, risorse, sgravi fiscali e volumi tali da rendere la competizione assai impari.
A Bologna si aggiungono ulteriori complicazioni, dovute ai grandi cantieri aperti in città (tram, interramento binari, scopertura canale, restauro torre Garisenda, ecc…) , molto estesi come dimensione e come durata nel tempo, che per mesi impediscono l’accesso di clienti e fornitori, mettendo le attività a serio rischio di sopravvivenza.
Alla domanda di aiuto degli esercenti danneggiati l’Amministrazione ha risposto con proposte più vicine all’elemosina che all’indennizzo. La Camera di Commercio interviene con 250.000 € di ristori per le perdite subite nel primo semestre 2024, messi in palio col metodo del click day: una sorta di Albero della Cuccagna dove chi prima arriva prende qualcosa, e per gli altri, pazienza. Il Comune interviene con 150.000 euro, per beneficiare dei quali (fino a un massimo di 4.000 euro a testa) è necessario prima spenderli in ammodernamento dei locali ed avere l’approvazione di una commissione. È assurdo pensare che un’attività a rischio chiusura per un cantiere che le blocca l’afflusso dei clienti possa come soluzione investire in un ammodernamento. Quindi a beneficiarne saranno invece quelle attività che si sono salvate dal calo della clientela passante, a dispetto di chi ne ha realmente bisogno.
Tutti sappiamo come la presenza di attività commerciali ed artigianali rende i nostri quartieri più vivi e più sicuri, e contribuisce a creare un senso di comunità. Le vetrine illuminate, i negozi presidiati, le porte aperte rendono le strade più accoglienti, quasi una estensione di casa, e facilitano le relazioni di vicinato. Al contrario, le vie con esercizi chiusi e saracinesche abbassate trasmettono un senso di abbandono, al quale spesso segue il degrado e l’insicurezza.
Per questo la tutela del tessuto commerciale di vicinato, in larga parte basato su piccoli imprenditori e aziende familiari, non è importante solo per i diretti interessati, ma anche per la cittadinanza, per il decoro e la qualità urbana. Per la possibilità dei residenti di trovare i beni necessari alla vita quotidiana senza doversi spostare fuori dalla propria zona. E anche per creare un tessuto sociale più vivace e coeso, dove anche le attività di tempo libero e il divertimento non siano orientato solo al consumo e allo sballo.
A questo proposito la trasformazione del centro storico in un parco divertimenti a beneficio esclusivo dei turisti, con chiusura delle attività dedicate ai residenti, crea (in aggiunta alla Malamovida) una ulteriore spinta all’espulsione di abitanti, che fanno spazio a B&B ed alloggi per affitti brevi. In questo contesto si collocano le migliaia di negozi e garage convertiti in pochi anni in monolocali (con ulteriore aumento della domanda di parcheggio su strada), senza che il Comune ponga un freno, anzi: questa Giunta ha tolto la soglia minima di 50 mq per alloggio, introdotta dalla Giunta precedente per arginare il frazionamento di appartamenti ad uso turistico.
Questa sostituzione progressiva, nelle attività e negli spazi, realizza una mutazione radicale del cuore antico di Bologna: sempre meno una città da abitare, sempre più un prodotto da consumare. Il che porta a conseguenze sia sociali, sia economiche: le attività sono sempre meno gestite da piccoli imprenditori locali, e sempre più appannaggio di catene multinazionali, quando non peggio.
Abbiamo bisogno di ricreare un equilibrio tra esigenze del turismo e del consumo e quelle di chi abita la città. Abbiamo bisogno di aiutare il piccolo commercio di vicinato a superare le difficoltà, affinché continui a svolgere un ruolo di presidio e animazione del territorio. Abbiamo bisogno di una politica che abbia l’ambizione e la capacità di governare questi fenomeni, e non di subirli passivamente come fatali.
6) Opporsi all’arroganza che diventa violenza
Nelle poche occasioni di confronto, il Comune assume un atteggiamento paternalistico e supponente verso le osservazioni dei cittadini, trattati come bambini che non sono in grado di capire, le cui esigenze sono liquidate come “stati emotivi”, in opposizione al presunto “fondamento scientifico” delle scelte amministrative. Un approccio saccente e fastidioso, tipico di chi ritiene di avere la verità in tasca, di stare sempre dalla parte giusta, di non aver bisogno di ascoltare.
Una arroganza che si attua imponendo scelte calate dall’alto, pensate a tavolino, senza un confronto con chi le subisce, senza una conoscenza della realtà del territorio, senza ascolto delle persone che lo vivono.
E che prosegue esasperando i conflitti e alzando il livello di tensione, come accaduto al parco Don Bosco, al parco Acerbi, e in occasione di Consigli di Quartiere aperti alla cittadinanza, dove il ricorso alla forza pubblica (richiesta a gran voce da diversi membri della Giunta) ha portato a identificazioni intimidatorie, presenza di reparti anti sommossa con scudi e caschi, e botte su manifestanti inermi, giovani e anziani. In questo modo l’Amministrazione fa una scelta grave, di cui dovrà rispondere, in futuro.
• La scelta di spostare le questioni sollevate da cittadini e comitati dal piano del confronto politico a quello del conflitto e dell’uso della forza.
• La scelta di trattare le battaglie civiche a difesa dei beni comuni come una questione di ordine pubblico, da gestire con le camionette blindate e le divise antisommossa.
• La scelta di negarsi all’ascolto e alla partecipazione vera, autentica, non pilotata, e di difendere le proprie decisioni politiche con i manganelli piuttosto che con gli argomenti.
• La scelta di reprimere con la violenza le espressioni di dissenso, e di denigrare i manifestanti dipingendoli come estremisti, talvolta fascisti, talvolta antagonisti e anarchici.
Noi cittadini e comitati siamo uniti nell’opporci a tutto questo, e siamo solidali con quanti a Bologna hanno subito o dovessero subire in futuro violenze fisiche e psicologiche per le battaglie intraprese a difesa dell’interesse collettivo e a tutela dei beni comuni, in dissenso con le scelte del governo cittadino.
IL NOSTRO IMPEGNO
Siamo al fianco di chi presidia le aree verdi esistenti contro scelte speculative o insostenibili, vigileremo sugli abbattimenti e sulla gestione del patrimonio verde della città, e riteniamo necessario ripristinare urgentemente un sistema di controlli reali ed efficaci sull’operato delle aziende che si occupano del verde pubblico.
Portiamo la nostra piena solidarietà a chi vede minacciata la propria salute, sia esso un residente in centro storico o in un quartiere sorvolato dagli aerei del Marconi, o la propria attività, a causa di lavori e cantieri prolungati che ne mettono a rischio la sopravvivenza economica.
Siamo in prima linea per restituire ai cittadini l’uso effettivo dello spazio pubblico, denunciando le varie forme di favoritismo e di privatizzazione subdola dei beni collettivi.
Affrontiamo il tema della mobilità non in modo ideologico, ma con approccio critico e libero. Per andare verso modelli davvero sostenibili, da tutti i punti di vista: ambientale, economico, sociale.
Difendiamo il diritto di manifestare e di esprimere il dissenso, senza lasciarci etichettare come estremisti e violenti.
Organizziamo momenti pubblici di riflessione e confronto sui temi da noi sollevati, e partecipiamo a iniziative proposte da singoli Comitati.
Continueremo la raccolta di firme su singole questioni calde (complessivamente ne abbiamo collezionate oltre 12.000) e, ove possibile, proporremo iniziative congiunte.
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Bologna, 26 luglio 2024
Associazione Percorsi
Associazione ViviAmo Bologna APS (*)
BolognaCiPiace
Bologna Vuole Vivere
Centro Sociale Culturale Villa Paradiso
Comitato Bertalia -Lazzaretto
Comitato don Bosco (**)
Comitato Bologna, l’aeroporto incompatibile
Comitato Non rivogliamo il tram a Bologna
Comitato Palasport
Comitato Parco Acerbi – Nido Cavazzoni
Comitato Residenti Santa Viola
CTA – Comitato Tutela Alberi Bologna e Provincia
Comitato Viale Oriani
Gruppo Civico Abolizione Bologna 30
ISDE – Associazione Internazionale Medici per l’Ambiente, sezione di Bologna UBCC – Una Bologna Che Cambia
(*) già “Salviamo il Cierrebi” e “via Piave un Cannocchiale verde su San Luca”.
(**) Comitato storico di volontari per la cura del parco don Bosco, precedente la vicenda Besta