Rafforzare il sostegno della resistenza palestinese

Parlare per la Palestina o lottare per la Palestina?

Partiamo da alcuni fatti. I sionisti in Palestina stanno perdendo la guerra. La “soluzione finale” a Gaza non è riuscita. La resistenza palestinese non è stata distrutta, né fermata. Anzi a seguito dell’attacco israeliano all’Iran missili e bombe iraniane sono caduti su Tel Aviv, bucando il sistema di difesa israeliano e gettando ulteriore scompiglio sul fronte interno per Netanyahu. Si è rafforzato l’asse dei paesi ostili a Israele e ai sionisti in Medioriente e nel mondo.

A questo punto Netanyahu non ha scelta. Se la guerra finisce lui cadrà con conseguenze per lo stato d’Israele tutte da scoprire dato l’enorme sostegno e complicità di cui ha goduto in questi anni nella società israeliana. Per questo è costretto ad allargare il conflitto in Libano, Siria e Yemen e portarlo il più lontano possibile dai confini dei territori che occupa. Ma anche in questo caso i risultati non sono migliori. Anche qui la resistenza eroica di questi popoli complica i piani israeliani che sono sempre più costretti a richiamare l’attenzione, l’intervento e il sostegno degli “alleati”. Poco male se per farlo bisogna attaccare una base Onu in Libano con all’interno contingenti italiani, francesi e spagnoli.

La borghesia e la sinistra borghese (che le fa da pappagallo) presentano l’estensione del conflitto come un attacco, è in realtà una manovra difensiva dello stato terrorista di Israele. Una manovra disperata e per questo sempre più efferata, criminale e terroristica come poche volte si è visto nella storia dell’umanità.

La guerra di Israele è destinata alla sconfitta. Non solo è impossibile per i sionisti ammazzare ogni singolo abitante del Medio Oriente, ma è impossibile eliminare anche solo i capi e gli esponenti delle forze della resistenza. Perché a ogni capo e dirigente della resistenza ammazzato o arrestato, altri dieci, cento e mille sono pronti a prendere il suo posto e portare avanti quella guerra. Per dirla con Stalin “i capi vanno e vengono, ma il popolo rimane. Solo il popolo è immortale”.

Ma la guerra non si combatte solo in Palestina. I sionisti in combutta con gli imperialisti Usa, Ue, il Vaticano, Confindustria e le organizzazioni criminali usano il nostro paese come avamposto delle proprie scorrerie e manovre militari e genocidiarie.

La censura, la repressione e l’attacco contro la resistenza palestinese e il movimento di solidarietà con quel popolo sono armi che il nemico non ha remore di usare. Di questo parlano gli arresti dei compagni palestinesi Anan, Ali e Mansour con l’accusa di “terrorismo” per il sostegno alla resistenza in Palestina, i licenziamenti di lavoratori palestinesi e arabi che esprimono sostegno e complicità con la resistenza palestinese, le manganellate sui manifestanti che vanno avanti da un anno a questa parte, così come l’ultimo episodio che ha riguardato il presidente dell’API, la più ampia organizzazione dei palestinesi in Italia, Mohammad Hannoun – al quale va la nostra piena solidarietà – cui sono stati congelati tutti i beni e impedita ogni transazione economica dal governo Usa con l’accusa di usare le campagne di raccolta fondi per la Palestina per finanziare Hamas e la resistenza.

Ma come in Palestina la guerra va combattuta anche nel nostro paese. Censura, repressione e ritorsioni possono essere spezzate. E lo abbiamo visto! Per impedire che la manifestazione per la Palestina del 5 ottobre a Roma si tenesse nonostante i divieti, il governo Meloni è stato costretto a usare metodi antidemocratici e a dispiegare una quantità di agenti, militari, finanzieri e mezzi come non si vedeva da tempo. Una mobilitazione di forze straordinaria che non solo non è bastata ad annullare quella piazza ma si è ritorta contro Meloni e il suo governo. La manifestazione che volevano vietare alla fine l’hanno dovuta ingoiare. E con gli interessi.

Tutto questo apre nel nostro paese e nel movimento di solidarietà per la Palestina un’importante domanda. È sufficiente portare avanti la solidarietà con la Palestina a suon di dichiarazioni e denuncia sull’operato dell’entità sionista e dei suoi accoliti attivi nel nostro paese? È sufficiente limitare la solidarietà all’organizzazione di manifestazioni in cui si accusa Israele del genocidio in corso a Gaza e dell’aggressione ai popoli dei paesi vicini? È sufficiente farsi portavoce della causa palestinese e mobilitarsi perché si parli della Palestina? Oppure serve lottare per la Palestina? E cosa vuol dire lottare per la Palestina? Porsi questa domanda non sminuisce affatto l’importanza della mobilitazione in solidarietà con la resistenza palestinese che si è sviluppata nel corso dell’ultimo anno. Di questa fanno parte le tante prese di posizione, denunce, campagne di boicottaggio, iniziative di lotta, presidi e manifestazioni che si moltiplicano nel nostro paese. Porsi questa domanda serve a ragionare su quale sia il passo in più da fare al punto in cui siamo arrivati. L’aspetto decisivo è lo sbocco che tutta questa mobilitazione deve darsi.

L’Italia è legata tramite mille fili e mille interessi ai sionisti occupanti della Palestina ed è implicata con i loro traffici. Il governo Meloni è complice del genocidio contro il popolo palestinese e dei crimini che lo Stato terrorista di Israele sta compiendo in tutto il Medio Oriente.

La più alta forma di solidarietà con il popolo palestinese e i popoli del Medio Oriente che possiamo dare, la più efficace forma di sostegno alla causa della liberazione della Palestina, è alimentare la mobilitazione per cacciare il governo Meloni e sostituirlo con un governo di emergenza popolare, un governo che abbia il coraggio, la determinazione e si dia i mezzi per attuare le parti progressiste della Costituzione del 1948 e che schieri l’Italia al fianco del popolo palestinese.

Questo l’obiettivo verso cui spingere, estendere e coordinare tutte le mobilitazioni in corso nel nostro paese. Bisogna cacciare il governo Meloni e imporre un governo che sia espressione delle istanze e delle esigenze delle masse popolari, a partire da quelle misure che esse già oggi rivendicano contro il genocidio in Palestina, contro la militarizzazione del paese e il traffico di armi. Un governo, ad esempio, che

  • dichiara il sedicente Stato d’Israele come una colonia di occupazione, illegittima e terroristica del territorio palestinese,
  • rende pubblici gli accordi segreti con gli Usa, con la Ue, con i sionisti, con il Vaticano e le organizzazioni criminali e disattende, annulla e ritira quelli non conformi agli interessi delle masse popolari e dei popoli oppressi del mondo,
  • ritira tutte le aziende di Stato dal territorio occupato dai sionisti, interrompendo ogni forma di complicità con il genocidio,
  • sostiene, nella misura delle forze di cui dispone, economicamente, politicamente e militarmente la resistenza palestinese,
  • applica su larga scala l’articolo 11 della Costituzione italiana “l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”, impedendo il coordinamento e il coinvolgimento italiano nelle operazioni militari in corso contro il Donbass e Gaza,
  • agisce subito per interrompere l’occupazione militare Usa e sionista del nostro paese vietando di svolgere esercitazioni con armi nucleari o all’uranio impoverito nelle basi NATO e USA nel nostro paese e di usarle come retrovia per missioni di guerra; sottoponendo i militari americani e sionisti alla legislazione italiana e promuovendo la propaganda verso di essi e le loro famiglie contro la politica della NATO e sionista.

Un governo che in sostanza mette al centro della sua agenda la fratellanza tra i popoli in lotta contro l’imperialismo e renda la vita impossibile ai gruppi Usa, sionisti e Ue fino a farli ritirare dal nostro paese. Un governo che renda un reale e un buon servizio a tutti i popoli che lottano per liberarsi dall’oppressione dei sionisti, di Washington e di Bruxelles, per farla finita con le loro angherie e aggressioni.

Nella lotta per imporre un simile governo le prossime settimane sono decisive. Quello che farà la differenza sono il quanto e il come le forze del movimento comunista, il movimento contro la guerra, quello in solidarietà al popolo palestinese, i movimenti e le organizzazioni sindacali sono decisi a portare sul terreno dell’ordine pubblico ogni rivendicazione e ogni questione politica e mettersi alla testa della lotta contro la classe dominante, contro i guerrafondai e per imporre il loro governo di emergenza.

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