Note sulla giornata del 5 ottobre e un orientamento sull’autunno appena iniziato
1. Il 5 ottobre migliaia di persone hanno raggiunto Roma da tutta Italia per esprimere solidarietà al popolo palestinese e ai popoli del Medio Oriente, per sostenere la resistenza palestinese e libanese, per denunciare i crimini dello Stato terrorista di Israele.
La manifestazione era stata vietata dal governo Meloni con la pretestuosa motivazione di “rischio per l’ordine pubblico”, ma di fatto il divieto della manifestazione è stato l’unico vero attentato all’ordine pubblico; un’aperta provocazione al movimento di solidarietà con il popolo palestinese, ma anche una manovra eversiva che viola le stesse leggi dello Stato e la Costituzione, un tentativo di restringere gli spazi di agibilità politica delle masse popolari, già duramente attaccati su ogni fronte.
Il divieto è stato accompagnato da un’articolata campagna di terrorismo mediatico volta a scoraggiare la partecipazione alla manifestazione e a diffondere paura e sfiducia fra chi solidarizza con la causa palestinese. Alla campagna mediatica sono state affiancate manovre sporche che sono cresciute di intensità man mano che si avvicinava la data della manifestazione.
Le questure di mezza Italia hanno vietato alle agenzie di affittare pullman e autobus per recarsi a Roma e il 5 ottobre hanno predisposto un articolato sistema di controlli che ha cinto Roma in una tenaglia, sono stati disposti posti di blocco, sono stati effettuati controlli a tappeto, sono stati bloccati i pullman che erano riusciti a partire e molte auto vetture, sono stati comminati decine di fogli di via, sono state sequestrate per ore decine di persone e sono stati manganellati manifestanti già sulle autostrade.
Nonostante ciò, man mano che passavano le ore, alle 11:30 del mattino il governo ha dovuto fare marcia indietro per evitare di aggravare l’enorme problema di ordine pubblico che aveva scientemente generato e la Questura di Roma ha “concesso” lo svolgimento di un presidio statico a Piramide.
Alle 11:30 del mattino è arrivato il primo schiaffo in faccia al governo Meloni e alla Comunità sionista italiana: il governo Meloni ha dovuto prendere atto che il suo divieto di manifestare era diventato carta straccia già ore prima che iniziasse il concentramento in piazza; la Comunità sionista ha dovuto prendere atto che non è sufficiente tirare i fili e muovere le istituzioni e le autorità italiane secondo i propri interessi per mettere il bavaglio alle masse popolari.
Alle 14 Piazzale Ostiense era già popolato da migliaia di persone nonostante la pioggia battente, i controlli invasivi e provocatori (i media parlano di 1600 schedature fra coloro che sono entrati in piazza) e uno sciopero dei mezzi pubblici che la Prefettura ha trasformato in una vera e propria “serrata”.
Alle 16 la piazza traboccava di manifestanti, accerchiati da blindati, idranti, digos, celere, carabinieri e agenti della guardia di finanza che bloccavano ogni varco, occupando militarmente ogni via di accesso. Diverse centinaia di manifestanti, impossibilitati a entrare in piazza, si sono concentrati fuori, a ridosso dei varchi occupati dalla forze del (dis)ordine.
2. Migliaia di persone sono scese in piazza a Roma e hanno difeso, praticandolo, il diritto di manifestare. Non sono stati il governo, la prefettura e la questura a “concedere” il concentramento, il concentramento è stato conquistato con la forza dei numeri, con il coraggio e la determinazione, superando ostacoli e intimidazioni, soprusi e minacce ed è costato denunce, fogli di via e manganellate ben prima che i media di regime parlassero di “scontri”.
Il governo Meloni è stato messo all’angolo e ha perso la faccia. Ma legittimamente, giustamente, la piazza ha ritenuto inaccettabile il fatto di rimanere ostaggio di un dispositivo poliziesco e militare che continuava a incombere minaccioso. Si è dunque posta la questione di conquistare, dopo il diritto a scendere in piazza, anche quello di procedere in corteo.
Il “girotondo” attorno all’aiuola di Piazzale Ostiense – ciò che la questura “ha concesso” – è stato ritenuto una degradante umiliazione, una inaccettabile resa finale in una giornata che invece inneggiava alla mobilitazione e trasudava voglia di riscossa.
Le forze del (dis)ordine hanno stretto le file lungo tutti gli accessi alla (e le vie di uscita dalla) piazza anche di fronte all’annuncio degli organizzatori che la manifestazione era conclusa. Hanno impedito che dalla piazza partisse il corteo che in genere coincide con il deflusso finale da ogni concentramento. È stato un arbitrio inutile – il deflusso da una piazza con almeno 10 mila persone è inevitabilmente un corteo, comunque lo si voglia chiamare – un’ultima prevaricazione che ha trovato degna risposta.
3. Ci sono stati scontri. Cioè ci sono stati reiterati tentativi di sfondamento dei cordoni di celerini e finanzieri barricati attorno ai blindati. Se quei cordoni si fossero aperti, come un qualunque dirigente dell’ordine pubblico dotato di un quoziente intellettivo nella media avrebbe dovuto disporre, sarebbe partito il corteo che avrebbe avviato la fase conclusiva della giornata. Quei cordoni non si sono aperti perché il governo Meloni e il ministro dell’interno, complice anche il fiato sul collo della Comunità sionista, hanno voluto dare “una lezione” a chi gli aveva fatto rimangiare il divieto di manifestare.
Su questo è necessario essere chiari: i tentativi di sfondamento dei cordoni non sono “inutili provocazioni che hanno rovinato la giornata”, né “azioni di infiltrati”, né “il modo per oscurare i motivi della manifestazione” e neppure “appigli per il governo e per le sue manovre reazionarie e repressive”: sono parte del successo della mobilitazione, sono parte della vittoria che chi è sceso in piazza ha conseguito contro il governo Meloni e contro i tentativi di imporre i suoi divieti.
I tentativi di sfondamento dei cordoni e la resistenza alle cariche, alla pioggia di lacrimogeni, agli idranti e alle manganellate, durata decine di minuti prima che la piazza fosse sgomberata, sono la legittima resistenza alle manovre reazionarie dei nostalgici del Ventennio e dei tribunali speciali che abbondano nel governo Meloni e fra gli alti funzionari delle forze del (dis)ordine.
4. Alcune questioni politiche.
Sono state positive TUTTE le prese di posizione che, prima del 5 ottobre, hanno condannato il divieto di manifestare: esponenti del M5s, di Avs, anche i vertici dell’Anpi, esponenti della società civile e intellettuali, alcuni giornalisti. Ma senza la partecipazione attiva, concreta, “fisica” alla piazza, ognuna di quelle dichiarazioni rimane ciò che è: chiacchiere.
Non è mai esistita prima del 5 ottobre, non è esistita per il 5 ottobre e non esisterà dopo il 5 ottobre alcuna “lotta per la difesa dei diritti” che prescinda dall’esercizio pratico di quei diritti. L’unica strada per difendere i diritti è praticarli.
Sono negative TUTTE le prese di posizione che dividono il movimento e i manifestanti fra i buoni e i cattivi. Tutti coloro che condannano i tentativi di forzare i blocchi favoriscono la narrazione del governo e portano acqua al mulino della classe dominante, quali siano le argomentazioni che usano e le posizioni da cui partono.
La Comunità Palestinese del Lazio ha portato acqua al mulino della classe dominante “scomunicando” il corteo del 5 ottobre e dando fiato ai tentativi di criminalizzare la mobilitazione.
Coloro che parlano di “inutili scontri” hanno portato acqua al mulino della classe dominante instillando l’idea che il movimento popolare debba accontentarsi di quello che il governo e le sue autorità sono costretti a concedere (il concentramento della manifestazione, in questo caso), rinunciando a esercitare fino in fondo i diritti sanciti dalla Costituzione (conquistare anche il corteo).
Coloro che parlano di “infiltrati” portano acqua alla classe dominante instillando l’idea che il movimento popolare debba sempre e solo porgere l’altra guancia, che non debba passare al contrattacco o non possa essere capace di farlo.
Sono molto positive TUTTE le tendenze che alimentano la solidarietà fra organismi e organizzazioni, il coordinamento e l’unità d’azione. Sono molto negative tutte le spinte alla concorrenza fra organismi e organizzazioni, a curare il proprio orticello, a perseguire i piccoli interessi di bottega in luogo dello sviluppo dell’organizzazione, della mobilitazione e della lotta.
5. Il 7 ottobre, la data in cui scriviamo, sono già state vietate almeno tre mobilitazioni in solidarietà con il popolo palestinese e libanese indette da giorni in varie parti d’Italia.
Siamo alla vigilia dell’approvazione del ddl 1660. Il governo Meloni si illude che siano sufficienti le idiozie vomitate da TV e giornali per criminalizzare il movimento popolare e che la resistenza del 5 ottobre sia stato un caso isolato e fortuito. Non è così, non sarà così, se chi è stato protagonista della resistenza del 5 ottobre inizia a tradurre in pratica gli insegnamenti di quella giornata fin da subito.
“La sinistra borghese accusa le autorità e le istituzioni della classe dominante di trasformare ogni rivendicazione e ogni questione politica in un problema di ordine pubblico, da affrontare con più polizia e repressione.
Il ragionamento va capovolto: bisogna portare sul terreno dell’ordine pubblico ogni rivendicazione e ogni questione politica. La difesa dei posti di lavoro in Stellantis deve diventare una questione di ordine pubblico, la manutenzione dei territori e i risarcimenti alle famiglie flagellate dalla crisi ambientale devono diventare una questione di ordine pubblico, i morti sul lavoro devono diventare una questione di ordine pubblico, i divieti di manifestare, i fogli di via per gli attivisti, l’acquisto di F35 da parte del governo, il coinvolgimento dell’Italia nella Terza guerra mondiale, l’informazione manipolata dai guerrafondai e dai complici con il genocidio in Palestina, la stessa esistenza del governo Meloni devono diventare problemi di ordine pubblico. Abbastanza estesi da rendere ingovernabile il paese alle Larghe Intese e da imporre un governo di emergenza popolare. Perché quando vige un ordine sociale ingiusto, il disordine è il primo passo per instaurare un ordine sociale giusto”.
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L’Italia è legata tramite mille fili e mille interessi ai sionisti occupanti della Palestina ed è implicata con i loro traffici. Il governo Meloni è complice del genocidio contro il popolo palestinese e dei crimini che lo Stato terrorista di Israele sta compiendo in tutto il Medio Oriente.
La più alta forma di solidarietà con il popolo palestinese e i popoli del Medio Oriente che possiamo dare, la più efficace forma di sostegno alla causa della liberazione della Palestina, è alimentare la mobilitazione per cacciare il governo Meloni e sostituirlo con un governo di emergenza popolare, un governo che abbia il coraggio, la determinazione e si dia i mezzi per attuare le parti progressiste della Costituzione del 1948 e che schieri l’Italia al fianco del popolo palestinese.
Tutti i lavoratori e tutte le masse popolari hanno interesse a sostenere un governo che opera applicando le parti progressiste della Costituzione del 1948, a partire proprio da quegli articoli, come l’art.11 “l’Italia ripudia la guerra”, che sono sempre stati violati ed elusi.
Tutti i lavoratori e tutte le masse popolari hanno interesse a disattivare il pilota automatico che sta conducendo il paese verso la Terza guerra mondiale.
Tutti i lavoratori e tutte le masse popolari hanno interesse a rompere i vincoli di sottomissione agli Usa, alla Nato, ai sionisti e alla Ue e a realizzare la sovranità nazionale sancita nella Costituzione.
Le prossime settimane sono decisive. Quello che farà la differenza sono il quanto e il come le forze del movimento comunista, il movimento contro la guerra, quello in solidarietà al popolo palestinese, i movimenti e le organizzazioni sindacali sono decisi a mettersi alla testa della lotta contro la classe dominante, alla testa della guerra contro i guerrafondai, alla testa della lotta per imporre il loro governo di emergenza.