Lo scorso settembre è diventata virale la notizia dell’aggressione a un’equipe di medici e infermieri del Policlinico Riuniti di Foggia, presi a calci e pugni da un gruppo di parenti e amici di una ragazza di 23 anni deceduta dopo un intervento chirurgico.
A poche settimane di distanza al Pronto soccorso collinare di Napoli un’infermiera è stata presa a schiaffi da una donna che per ore ha aspettato di essere visitata, mentre alla ASL di Piazza Nazionale un paziente ha minacciato di dare fuoco alla struttura dopo il diniego del medico a procedere alla sua richiesta di mobilità internazionale dovuta a una carenza documentale.
Secondo la relazione sul 2023 dell’Osservatorio nazionale sulla sicurezza degli esercenti le professioni sanitarie e sociosanitarie (ONSEPS) dello scorso marzo, sono stati 16 mila gli episodi di aggressione nei quali sono stati coinvolti 18 mila operatori. Da questi dati è emerso anche che la professione più colpita è quella degli infermieri, seguita da quella dei medici e degli altri operatori, di cui i due terzi sono donne. L’Osservatorio ha affermato anche che gli ambienti più a rischio sono i pronto soccorso, le aree di degenza, i servizi psichiatrici e gli ambulatori.
Tagli agli arsenali, più soldi agli ospedali!
Tagli alla spesa sanitaria ma non a quella militare. Segnaliamo che il governo Meloni ha aumentato la spesa militare da 25 a 29 miliardi di euro e ridotto i finanziamenti alla sanità pubblica al 6,4% (la percentuale più bassa di sempre).
L’aumento delle spese militari e la riduzione del finanziamento della sanità pubblica sono una costante degli ultimi vent’anni. La spesa militare è passata dai 13.7 miliardi del 2001 ai 29 miliardi stanziati dal governo Meloni nel 2024 (in aumento di 4 miliardi rispetto ai 25 stanziati del 2018, a loro volta in aumento rispetto ai 20 miliardi del 2010). Un aumento di circa 16 miliardi di euro in 23 anni. Quest’anno le spese militari quindi hanno sfondato l’1.5% del Pil.
Il finanziamento della spesa sanitaria pubblica è stato tagliato solo dal 2010 a oggi di oltre 37 miliardi. L’investimento è passato dal 7% nel 2001 al 6,4% di oggi. Una cifra che sembra bassa in termini percentuali ma che incide per miliardi di euro sul nostro SSN specie se consideriamo che il grosso del sistema sanitario (sia ospedaliero che territoriale) è stato smantellato e che all’interno di questa voce è aumentata la quota fornita alle cliniche, ambulatori, laboratori privati convenzionati o versati a cooperative e agenzie interinali per il reclutamento a basso costo del personale mancante, riducendo ulteriormente quella versata ai servizi pubblici ospedalieri, ambulatoriali e territoriali e per il personale assunto tramite concorsi pubblici.
Secondo dati OCSE, al 2023 la spesa sanitaria in Italia è ben al di sotto della media europea del 10.9%. I posti letto sono 3.2 ogni 1.000 persone contro una media europea di 5; gli infermieri sono 6.3 ogni 1.000 abitanti, contro una media UE di 8.3. Al 2022, contando anche gli infermieri che non lavorano per il SSN, in Italia lavorano 6 infermieri ogni 1.000 abitanti, contro una media OCSE di 9.9.
Dopo decenni di tagli alla sanità pubblica ratificati dai due poli delle Larghe Intese che si sono dati il cambio al governo del paese, siamo arrivati al punto in cui le strutture sanitarie funzionanti sono spesso vecchie e fatiscenti, i reparti di degenza inutilizzati, i presidi di guardia medica chiusi e soprattutto a mancare, specie in alcune zone del paese, sono i presidi sanitari territoriali che limiterebbero gli accessi in Pronto soccorso.
Nei Pronto soccorso degli ospedali italiani mancano circa 4.000 medici d’emergenza e 175.000 infermieri, mentre quelli che operano sono sottopagati, privi di strumentazione e DPI adeguati, sottostanno a ritmi e carichi di lavoro incompatibili con la sicurezza e la salute sia loro che dei pazienti di cui sono responsabili e l’aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza (Lea), cioè le prestazioni mutuabili, è stato posticipato dalla Conferenza Stato – Regioni al 1 gennaio 2025 mettendo a rischio l’accesso delle masse popolari, specie a quelle delle regioni del sud, a prestazioni a cui avrebbero diritto, come le attività specialistica ambulatoriale per la cura dei disturbi alimentari, gli screening neonatali, l’adroterapia per i tumori, gli ausili informatici e di comunicazione per disabili, le protesi avanzate per le disabilità motorie.
A fronte della drammatica situazione in cui versa il Sistema Sanitario Nazionale, causa della maggior parte degli episodi di malasanità e delle aggressioni ai danni del personale medico che rappresentano anche un problema di sicurezza sui posti di lavoro, l’unica soluzione del governo Meloni è quella di militarizzare i presidi sanitari e aumentare la repressione, mentre prosegue con lo smantellamento della sanità pubblica, caposaldo del Ddl Calderoli sull’Autonomia differenziata.
La vera soluzione al problema della violenza contro il personale sanitario invece passa attraverso la mobilitazione e l’organizzazione dei sanitari e delle masse popolari per impedire, con effetto immediato, l’attuazione di leggi ingiuste come quella che impone l’Autonomia differenziata e l’aziendalizzazione della sanità, avallate da governi di entrambi i poli delle Larghe intese. Per impedire lo smantellamento della rete di ambulatori territoriali, medici di base, hospice, centri di salute mentale, assistenti sociali e campagne di prevenzione e informazione che preclude l’accesso alle cure di una fetta delle masse popolari o a imporne la riapertura laddove sono già state chiuse.
Una mobilitazione necessaria che oggi deve puntare anche a imporre la copertura economica del CCNL comparto sanità e garantire stabilizzazioni e assunzioni per far fronte alla carenza di organico e garantire servizi di qualità.
Il governo Meloni e la classe dominante cercano con ogni mezzo di adottare soluzioni antipopolari ai problemi dei lavoratori e del resto delle masse popolari nel tentativo di imbrigliarli in una guerra tra poveri che gli impedisce di mobilitarsi, organizzarsi e coordinarsi contro il nemico da combattere.
Per il Sistema Sanitario Nazionale che serve, sanitari e utenti della sanità devono organizzarsi e coordinarsi per cacciare il governo Meloni e per imporre un governo di emergenza popolare che metta immediatamente fine agli effetti devastanti dello smantellamento della sanità in corso da oltre quaranta anni.