Alla fine dello scorso anno scolastico, il 27 maggio 2024, si è svolto a Brescia un “corteo per la pace”. La sua particolarità sta nel fatto che è stato organizzato dagli insegnanti di una scuola primaria e che vi hanno partecipato tutti gli alunni e i genitori della stessa.
L’iniziativa può considerarsi una risposta ai progetti di “militarizzazione della scuola”, strategicamente proposti dal ministero della difesa a tutte le scuole di ogni ordine e grado.
Abbiamo intervistato Rita Nappi, insegnante promotrice del progetto conclusosi con il corteo, col presupposto che l’esperienza da loro concretizzata possa essere un esempio e stimolo per altre mobilitazioni simili durante il nuovo anno scolastico.
Come è nata l’idea di organizzare questo corteo con i bambini della scuola e che passaggi sono stati fatti per portarla avanti?
L’idea della manifestazione è nata a metà aprile, mentre partecipavo a un presidio alla base militare di Ghedi (base dell’aeronautica italiana in cui, in aperta violazione della Costituzione, sono custodite armi atomiche Usa, ndr). Quel giorno alcune scuole hanno accolto l’offerta, fatta dal ministero, di poter entrare gratuitamente nelle basi militari per visitarle, come se fossero un giardino delle meraviglie o Gardaland.
Nel veder sfilare davanti ai nostri occhi increduli scuolabus pieni di bambini delle scuole materne e primarie, accompagnati da insegnanti, e ancor peggio genitori, che con i loro mezzi e l’entusiasmo stampato sui loro volti aspettavano in coda di entrare nell’aeroporto (luogo di vita o di morte?), ho provato una ribellione tale che, rientrando a casa, mi sono detta: “devo fare qualcosa”.
Il giorno dopo, durante la pausa caffè, ho trasmesso ad alcuni miei colleghi questa mia rabbia e l’esperienza che avevo vissuto. Fare una chiacchierata con loro mi è servito a solleticare la loro curiosità: hanno voluto più informazioni e gliene ho mandate alcune che ricevo solitamente nei gruppi di cui faccio parte, come Donne e uomini contro la guerra o il Centro sociale 28 maggio, e con stupore ho notato che hanno cominciato a mostrare interesse. Quindi, ho proposto loro di motivare e informare gli alunni in classe sul discorso della guerra e attirare l’attenzione sulla sua pericolosità per poi arrivare a fare una manifestazione per la pace. Ho trovato subito consenso da parte dei miei colleghi. Da quel giorno è partito tutto il programma di lavoro, che poi è durato circa un mese e mezzo.
Come si è svolto questo lavoro?
Ci siamo riuniti e siamo stati tutti d’accordo sul fatto che non si può arrivare a una manifestazione senza dei contenuti e un’alta motivazione da parte dei bambini. Loro dovevano sentirsi protagonisti.
L’idea è stata proprio di impostare un lavoro in classe che partisse dalla loro idea di guerra e di pace. Dal nostro confronto era emerso che quando sentiamo parlare i bambini di questi temi, loro sono molto legati alle battaglie che fanno sui videogiochi, guerre che gestiscono con dei pulsanti dove i soldatini cadono come delle marionette. Invece, la guerra reale è tutt’altro.
È stato interessante svolgere nelle varie classi, dalla prima alla quinta, questi brainstorming e confrontare le risposte date dai bambini. Il confronto delle risposte ci ha dato anche l’idea di come, nelle diverse fasce d’età, si hanno opinioni e si danno significati diversi in base all’esperienza che si ha.
Dopo questo, ogni insegnante si è organizzato all’interno della propria classe, proponendo ai bambini delle letture di testi sulla guerra e commentandoli poi insieme. Le proposte sono state varie e diversificate, per arrivare successivamente in tutte le classi a un incontro finale tra i bambini, divisi in gruppi.
Il lavoro è stato molto trasversale, abbiamo sentito canzoni dei loro cantanti preferiti, tipo Laura Pausini, che cantava una canzone sulla libertà, o Imagine di John Lennon, che poi è stato “l’inno” che abbiamo cantato tutti assieme alla fine della manifestazione.
Questa è stata la preparazione a scuola. Dopodiché, una volta che i bambini si erano ben immedesimati nel tema, abbiamo dato sfogo ai laboratori, che sono serviti per la preparazione. Quello è stato il nostro momento di verifica: ad esempio io ho una classe quinta e ho lasciato libera scelta sulle frasi e gli slogan da scrivere su cartone, strisce di carta… sono stati liberi di gestire il laboratorio come hanno voluto, ma sempre finalizzato al corteo.
La nostra manifestazione aveva uno scopo: quello di andare in giro nelle strade del Villaggio Sereno per sensibilizzare tutte le persone alla pace. “Stop guerra, vogliamo la pace”. Alcuni degli slogan parlavano di ridare ai bambini la possibilità di vivere nella pace, di riavere il proprio futuro… oppure, i miei alunni avevano inventato una frase che suonava più o meno così: “Per i bambini la guerra si fa solo nel mare con gli schizzi d’acqua”. Oppure hanno trasformato le armi in modo creativo in qualcosa di pacifico…
Che riscontri avete avuto all’interno e all’esterno della scuola?
I riscontri esterni sono stati molto soddisfacenti. Percorrendo le strade principali del villaggio, le persone si affacciavano alle finestre e alle porte delle botteghe. C’è stata una partecipazione molto attiva: quando passavamo battevano le mani e si complimentavano con i bambini. Anche tanti genitori hanno partecipato, in coda al corteo o lateralmente sui marciapiedi; tante mamme con i passeggini o con anziani in carrozzina ci hanno accompagnato.
Quando siamo arrivati al parco e c’è stato il momento di saluto con Imagine, c’è stato proprio il ringraziamento accorato da parte di tanti genitori. Anche nei giorni successivi abbiamo notato un atteggiamento e un approccio diversi da parte di tanti genitori, che prima faticavano a dire “buongiorno” quando entravamo a scuola, e invece, nei giorni a seguire passavano dicendo “Grazie maestra! Grazie per quello che avete fatto con i nostri figli!”.
Una cosa simpatica è stata che ci siamo rivolti agli anziani dell’Auser perché ci facessero da servizio d’ordine. Sono stati molto disponibili, sono venuti in una decina e hanno fatto da contenimento al corteo, allineandosi da un lato all’altro della strada con il nastro bianco e rosso per fare in modo che i bambini non uscissero dal percorso.
All’interno della scuola la ricaduta positiva c’è stata anche nel rapporto tra colleghi. Questo lavorare insieme su una tematica che si conosceva marginalmente, questo avere uno scopo comune ha reso un po’ più intimo il nostro rapporto.
Per quanto riguarda i bambini, il fatto di fare questi laboratori dove hanno collaborato in gruppi di classi diverse è servito a creare un clima più unitario tra loro, ma anche a creare più attenzione, ad esempio, verso i telegiornali, soprattutto per quanto riguarda i più grandi. È quello che in fin dei conti noi insegnanti dovremmo fare, che ci spetta come educatori: aprire le menti.
Questa esperienza pensi che sia replicabile e che sia importante farlo?
Penso che sia importantissimo farlo, perché i risultati avuti ci hanno fatto capire che c’è un riscontro e una ricaduta positiva. Diciamo che inizialmente il mio progetto era molto più pretenzioso, perché avevo detto alle colleghe che una volta strutturato bene nella nostra scuola avremmo potuto cercare dei collegamenti in altre scuole sul territorio italiano e quindi creare una piattaforma di incontro, e così via. Naturalmente i tempi sono stati troppo ristretti e non l’abbiamo potuto fare. Ma io ho detto ai miei colleghi che, pur uscendo dalla scuola per andare in pensione, non ne esco totalmente, resto disponibile per riprendere questa esperienza e allargarla.
Per fare questo ho avuto una proposta da una collega, cioè entrare nel Mec (Movimento Educativo Cooperativo), sigla a cui si vuole aggiungere “per la Pace”. Da quello che ho capito l’intento è di farsi promulgatori di pace e diffonderla nelle scuole, promuovendo dei percorsi, cercando di sollecitare gli insegnanti, di sensibilizzarli, organizzando sempre di più iniziative come questa. Per cui adesso prenderemo contatto anche con uno dei promotori proprio con questo intento.
Quindi, un seguito sicuramente ci sarà, secondo me. Io almeno voglio portare avanti questa esperienza e penso di trovare terreno fertile nella mia scuola.