Crisi e declino della borghesia imperialista

Man mano che accelerano la corsa verso la Terza guerra mondiale, i governi dei principali paesi imperialisti sono alle prese con lo sgretolamento del loro sistema politico e con una crescente ingovernabilità interna.

La campagna elettorale negli Usa sta assumendo sempre più chiaramente la forma, oltre che il contenuto, di una guerra civile. Il 16 settembre è stato sventato un altro attentato a Trump, dopo quello del luglio scorso in cui fu ferito da un cecchino. Pochi giorni dopo è stato denunciato anche un allarme bomba durante un comizio.

Il tutto avviene nel contesto di una disastrosa situazione economica – il debito pubblico è ormai completamente fuori controllo – e di crescenti tensioni sociali. Non solo sono riprese le mobilitazioni nei campus universitari in solidarietà con il popolo palestinese, ma crescono anche le mobilitazioni operaie, come lo sciopero dei dipendenti della Boening che rivendicano sostanziosi aumenti salariali.

Nella Ue, la Von der Leyen è riuscita a comporre il puzzle della Commissione europea, ma non si placano gli effetti delle parole di Draghi e del suo “manifesto per la salvezza dell’Unione”. Gli aspetti principali sono tre: a. incremento delle spese militari; b. finanziamento pubblico (800 miliardi di euro l’anno) basato su emissione di obbligazioni comuni per finanziare le spese militari; c. eliminazione del diritto di veto nelle istanze decisionali della Ue. Un “piano di guerra” che smonta l’attuale Ue e la rimonta su basi, caratteristiche ed equilibri nuovi e più funzionali alla salvaguardia, manu militari, degli interessi degli imperialisti franco-tedeschi nel mondo.

La Francia è alle prese con gli effetti del colpo di Stato bianco con cui Macron ha solo temporaneamente rinviato la sua debacle, ma con cui ha anche inferto un colpo fatale alla sbandierata “democrazia francese”. In Francia le elezioni sono state vinte dalla sinistra, ma governa la destra: il 22 settembre si è insediato il governo Barnier.

In Germania il governo è sopraffatto dalla grave crisi economica e industriale che attanaglia il paese (Volkswagen ha annunciato dai 15 mila ai 30 mila licenziamenti su un totale di 130 mila operai), ma i partiti di governo, responsabili di aver trascinato il paese nella guerra contro la Federazione Russa, hanno perso ogni legittimità: tanto alle elezioni europee dello scorso giugno che alle elezioni regionali di agosto hanno preso una sonora batosta.

Con le elezioni anticipate dello scorso luglio vinte dai laburisti, la Gran Bretagna è oggi guidata da una cricca che in politica estera opera in perfetta continuità con il governo conservatore e che sul piano interno si distingue per un già annunciato attacco alle masse popolari e per essere andata a scuola da Meloni e Salvini in tema di contrasto all’immigrazione.

Anche lo Stato illegittimo di Israele è in crisi profonda. Si moltiplicano le mobilitazioni contro il governo Netanyahu e per la liberazione degli ostaggi; si sono svolti enormi scioperi generali (precettati per evitare che dilagassero) e scontri di piazza; l’esercito è a corto di uomini (Haaretz, quotidiano israeliano, riporta la notizia che l’esercito sta reclutando i richiedenti asilo africani con la promessa della cittadinanza), mentre i sistemi di difesa integrati, israeliani e Usa, stanno dimostrando la loro vulnerabilità. In questo contesto, i sionisti di Israele hanno avviato su più ampia scala l’aggressione del Libano.

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