Autonomia differenziata. Un vecchio progetto verniciato di nuovo che va fermato

L’autonomia differenziata, la legge Calderoli approvata dal parlamento a fine agosto, il governo Meloni l’ha inserita fra gli obiettivi del suo mandato, ma con limitata convinzione. È più una marchetta alla Lega, funzionale a mantenere la coesione fra i partiti di governo, che una vera e propria “riforma di bandiera”. Genera malumori e polemiche anche nella maggioranza.

In verità, al di là del nome, l’autonomia differenziata rientra nel programma comune delle Larghe Intese, la sua genesi risale al 2001 (governo Amato) e alla riforma del Titolo V della Costituzione. Da allora il tema è apparentemente rimasto ai margini del dibattito politico, ma un po’ di strada nella “maggiore autonomia delle Regioni” è stata fatta, a partire dagli ambiti più importanti, quelli dove circolano più soldi.

È il caso della sanità, che oggi rappresenta il grosso dei bilanci delle Regioni ed è diventata territorio di conquista per speculatori di ogni risma. Il disastro in cui versa il Sistema sanitario nazionale è frutto dell’aumento dell’autonomia delle Regioni diretta dalle Larghe Intese. Ognuno può facilmente valutare gli effetti dell’autonomia differenziata che interviene in ventitré diversi ambiti: dai rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni al commercio con l’estero, dalla sicurezza sul lavoro alla gestione di porti e aeroporti civili.

Se l’opposizione all’entrata in vigore della legge Calderoli si limiterà agli iter istituzionali, la legge entrerà in vigore, nonostante i lamenti del Pd e dei suoi cespugli e gli anatemi di Landini.

Al momento, le principali forme di “resistenza” all’autonomia differenziata sono di carattere istituzionale.

La Cgil, con un fitta rete di associazioni, ha lanciato la raccolta di firme per un referendum abrogativo. In poche settimane sono state raccolte le 500 mila firme necessarie e sono state persino superate entro il termine valido, a metà settembre. La Corte Costituzionale dovrà decidere se permettere o meno lo svolgimento del referendum.

Nel frattempo, quattro Regioni (Puglia, Sardegna, Campania e Toscana) hanno fatto ricorso contro la legge, sempre alla Corte Costituzionale.

È realistico sospettare che l’eventuale accettazione del ricorso delle Regioni, più blando e politicamente “meno compromettente” rispetto alla manifesta volontà di centinaia di migliaia di cittadini, spingerà la Corte Costituzionale a fermare l’iter referendario. La stroncatura dell’autonomia differenziata tramite referendum sarebbe un inequivocabile segnale di sfiducia delle larghe masse verso il governo Meloni, analogo alla legnata presa da Renzi sul referendum costituzionale nel 2016. Ma in ragione del fatto che il processo di spacchettamento del paese è obiettivo comune delle Larghe Intese, una bocciatura inappellabile tramite referendum sarebbe un evento destabilizzante per l’intero sistema politico della Repubblica Pontificia.

A queste condizioni, affidare la lotta contro la legge Calderoli al referendum è poco lungimirante. Non sarebbe la prima volta che un referendum del tutto legittimo viene respinto, non sarebbe la prima volta che l’esito positivo per le masse popolari viene violato. La battaglia referendaria è utile e importante, ma è accessoria. L’autonomia differenziata si contrasta principalmente sul terreno della mobilitazione.

Nei mesi scorsi sono già state fatte manifestazioni di protesta e in più occasioni sono scese in piazza decine di migliaia di persone, in particolare quando a promuoverle sono state la Cgil e la rete di associazioni della Via Maestra. Questo dimostra che una parte delle masse popolari è già disposta a mobilitarsi.

Si sono svolte anche manifestazioni dai numeri molto inferiori, promosse da organismi e reti sociali “più a sinistra” della Cgil e in rottura con il sistema politico delle Larghe Intese e questo dimostra che in questo movimento sono già presenti “reparti avanzati” che possono mettere il pezzo in più rispetto alle generiche parole d’ordine di Landini & Co.

Che il referendum venga approvato o meno, la mobilitazione delle piazze deve continuare ed estendersi.

Se il referendum viene bocciato, la mobilitazione di piazza deve combinarsi con quelle che già esistono per contrastare le misure reazionarie promosse dal governo Meloni, la repressione, “l’emergenza democratica” in corso.

Se il referendum viene ammesso, la mobilitazione di piazza può diventare più capillare e tutte le iniziative che i promotori del referendum metteranno in campo saranno per la parte più avanzata di questo movimento l’occasione di mettere il pezzo in più rispetto alla propaganda referendaria ordinaria.

In entrambi i casi, il pezzo in più da mettere è l’obiettivo, esplicito, di cacciare il governo Meloni.

I principali promotori del referendum, che sono anch’essi parte delle Larghe Intese, sono reticenti. Conducono battaglie “a compartimenti stagni” come se le ragioni di queste battaglie non avessero tutte una causa e una soluzione. Ma che siano loro a indicare la soluzione, data la loro internità alle Larghe Intese, è illusorio. Si limitano a rivendicare al governo di prendere questa o quella misura o di retrocedere su questa o quella legge perché NON possono affermare che la soluzione comune a tutte le loro rivendicazioni e proteste è politica, è la costituzione di un governo di emergenza delle organizzazioni operaie e popolari.

È la parte avanzata che deve approfittare della mobilitazione contro l’autonomia differenziata, deve metterla in sinergia con tutte le altre (la causa è comune, altro che compartimenti stagni!) e, soprattutto, indicare e perseguire la soluzione.

Questo è lo spirito e il contenuto con cui il P.Carc interverrà per far confluire la battaglia contro l’autonomia differenziata nella lotta per liberare il paese dai vertici della Repubblica Pontificia. Che poi sono quelli che hanno ridotto il Sistema sanitario nazionale in un colabrodo, che speculano sui fondi destinati ai risarcimenti per le calamità naturali, che speculano – o permettono di speculare – sui trasporti, le autostrade, la scuola e cercano di convincere le masse popolari che “autonomia è meglio”. La legge Calderoli è solo il vestito impresentabile di un processo già in atto, che va fermato in ogni caso, sia che puzzi di Lega o di Pd.

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