L’emergenza democratica
La punta dell’iceberg è il ddl 1660 in corso di approvazione, il nuovo “pacchetto sicurezza” a firma Piantedosi, Crosetto e Nordio. Fra le altre cose introduce il reato di opinione e lo equipara al terrorismo (viene chiamato “terrorismo della parola” e riguarda ogni testo o discorso che incita a cambiare le cose, a organizzarsi e a mobilitarsi) e perseguita le manifestazioni e le mobilitazioni, accanendosi in particolar modo contro quelle pacifiche.
Siamo di fronte alla situazione in cui il governo Meloni inquadra – e tratta – come potenziali terroristi e criminali tutti coloro che non si adeguano alle sue misure e alle sue manovre, tutti quelli che protestano, tutti quelli che manifestano. È quella che i sinceri democratici chiamano emergenza democratica, ma il ddl 1660 è solo la punta dell’iceberg.
Criminalizzare le proteste, benché sia grave, è solo il passo successivo dall’averle ignorate.
Se per il governo i sondaggi dicono che la maggioranza della popolazione italiana è contro il coinvolgimento nella guerra contro la Federazione Russa, la soluzione è non fare più sondaggi o ignorarli.
Dalla Val Susa alla Sicilia intere comunità (compresi gli enti locali) sono semplicemente scavalcate dalle imposizioni del governo centrale, dagli interessi e dalle speculazioni.
In ogni settore produttivo le organizzazioni sindacali sono inascoltate quando chiedono misure contro la strage sui posti di lavoro.
Studenti e insegnanti sono inascoltati quando rivendicano un sistema scolastico funzionante.
Medici, infermieri e utenti sono letteralmente abbandonati di fronte alle conseguenze della privatizzazione della sanità.
Anche quando le masse popolari chiedono maggiore sicurezza e misure contro il degrado, i partiti dell’ordine e disciplina e del prima gli italiani fanno orecchie da mercante.
Tutto questo, in ogni caso, non è ancora sufficiente a qualificare l’emergenza democratica in corso. C’è dell’altro.
Quale che sia il principale partito di governo e quale che sia il principale partito di opposizione, il programma imposto al paese è sempre lo stesso, il programma comune delle Larghe Intese.
Il paese procede con il pilota automatico, la cui rotta è stabilita a Washington e Bruxelles.
Quali che siano i sentimenti e le aspirazioni delle ampie masse, le autorità e le istituzioni della classe dominante fanno quello che devono, compresa la sistematica violazione della Costituzione e dei diritti umani, per imporre il programma comune delle Larghe Intese.
Quale che sia la capacità di dare vita ad associazioni, organizzazioni, partiti, liste e coalizioni che incarnano le aspirazioni e gli interessi delle masse popolari, il sistema politico ed elettorale della Repubblica Pontificia impedisce che le ampie masse possano essere rappresentate nel teatrino della politica borghese.
La sostanza è che maggioranza e opposizione sono sempre d’accordo. Fanno finta di contrastarsi su questioni accessorie, ma su quello che conta sono sempre d’accordo.
Prendiamo come esempio il ddl 1660. Il Pd e i suoi cespugli dicono che si tratta di una legge pericolosissima e gravissima – alcuni lo equiparano alle leggi fasciste del Codice Rocco – dicono che siamo in piena emergenza democratica, ma hanno favorito la sua approvazione alla Camera e altrettanto faranno al Senato.
E del resto, il ddl 1660 è figlio dei decreti sicurezza precedenti, non solo di quelli targati Salvini, ma anche di quelli targati Minniti.
Prendiamo l’autonomia differenziata. Il governo Meloni l’ha posta come obiettivo (è soprattutto una marchetta alla Lega), ma la riforma è stata partorita dall’allora Centro-sinistra nel 2001 (ricordate la riforma del Titolo V della Costituzione?
Al governo c’era Amato). E nel corso degli anni sono state le regioni governate dal Centro-sinistra, in particolare l’Emilia Romagna, in particolare con la presidenza di Bonaccini, a chiedere costantemente “maggiore autonomia dal governo centrale”. Oggi il Pd e i suoi cespugli si dichiarano “contro l’autonomia differenziata”, ma anche loro hanno contribuito a fare a pezzi e a vendere un tanto al chilo il sistema sanitario nazionale.
Gli esempi sono centinaia. L’infamia del razzismo di Stato, di cui solo un poveraccio come Salvini può vantarsi, ha le radici piantate nella legge Turco-Napolitano “contro l’immigrazione clandestina”.
Ecco che si chiude il cerchio sul significato di emergenza democratica: sul terreno della politica borghese, entro i confini dei partiti delle Larghe Intese, non c’è alcuna possibilità che i lavoratori e le masse popolari siano ascoltati e i loro interessi tutelati. Se si organizzano e si mobilitano, se si ribellano, vengono repressi.
Il governo Meloni è solo la punta dell’iceberg. L’emergenza democratica è connaturata al sistema politico del nostro paese, la Repubblica Pontificia italiana, e non è risolvibile senza una rottura e un cambiamento radicale.
L’esigenza rivoluzionaria
L’aumento e l’estensione della repressione è solo uno degli strumenti che le Larghe Intese usano per ostacolare la mobilitazione delle masse popolari, non è l’unico e non è neppure il più efficace.
Per quanto feroce, la repressione non riesce a fiaccare la mobilitazione delle masse popolari, anzi eleva la loro coscienza (emerge più chiaramente chi è il nemico e quali interessi tutelano la legalità e la giustizia borghese), aumenta la solidarietà, alimenta il coordinamento, accresce la combattività, spinge le masse popolari a organizzarsi meglio e a superare la paura. La resistenza e la lotta alla repressione sono una scuola di lotta di classe.
Gli strumenti principali con cui la classe dominante cerca di nascondere l’esigenza rivoluzionaria che serpeggia fra le masse popolari e di ostacolare la loro organizzazione e la loro mobilitazione sono l’intossicazione dell’opinione pubblica e la diversione dalla realtà.
Spazzatura “culturale” e mediatica per tutte le esigenze e tutti i gusti: le faide calcistiche, le baruffe fra personaggi in cerca d’autore resi famosi solo dai riflettori del sistema di manipolazione mediatica, cronaca rosa, cronaca nera e “tormentoni”, passatempi sempre più impegnativi – apparentemente stimolanti e certamente soddisfacenti – “tuttologia enciclopedica”, ecc.
Questa mole di spazzatura plasma il modo di pensare e il contenuto dei pensieri delle masse popolari. L’intossicazione delle coscienze e la diversione dalla realtà sono gli strumenti con cui la classe dominante tiene sottomesse le larghe masse. Cosa deve nascondere?
Deve nascondere che il sistema politico delle Larghe Intese, le istituzioni borghesi, i partiti borghesi sono parte del problema, non possono in alcun modo contribuire alla soluzione.
Deve nascondere che il paese è ingovernabile per la guerra per bande fra le fazioni che compongono la classe dominante, ognuna delle quali cerca di affermare i propri interessi e scaricare sulle altre fazioni e sulle masse popolari gli effetti della crisi.
Deve nascondere che la soluzione esiste, che ci sono le condizioni, le forze e le possibilità per attuarla.
Democrazia e rivoluzione
L’emergenza democratica alimenta l’esigenza rivoluzionaria. Il movimento rivoluzionario è l’unica soluzione all’emergenza democratica. Non è un discorso astratto, è concreto e contingente.
Ragioniamo in questi termini: bisogna sostituire ai governi delle Larghe Intese un governo realmente democratico e rivoluzionario, un governo che distrugge in modo rivoluzionario tutti i privilegi, i ricatti e i vincoli di sottomissione con la Comunità Internazionale degli imperialisti e non teme di attuare in modo rivoluzionario la democrazia più completa.
Un qualunque governo delle Larghe Intese non è altro che un intrigo di interessi contrapposti, speculazioni, nepotismo, familismo, sottomissione agli Usa, alla Nato, ai sionisti, al Vaticano e alla Ue, incarna cioè tutto ciò che impedisce di attuare misure efficaci contro gli effetti della crisi.
Un governo di emergenza popolare, democratico e rivoluzionario, che opera attuando la Costituzione del 1948 a partire da quelle parti progressiste che sono sempre state violate ed eluse, è uno strumento in mano alle organizzazioni operaie e popolari, ai movimenti, alle organizzazioni sindacali combattive, alle reti sociali per trasformare le loro principali rivendicazioni in leggi, norme e decreti.
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Nel 2023 l’Emilia Romagna fu colpita dall’alluvione e i danni furono ingenti. Il governo Meloni ha nominato un commissario straordinario per la ricostruzione, il generale Figliuolo, che in un anno non ha fatto niente. Bonaccini, presidente della Regione, era invece occupato a curare la sua carriera politica che l’ha portato al parlamento europeo. A settembre l’Emilia Romagna è stata colpita da un’altra alluvione, fotocopia di quella dell’anno precedente, compresi gli ingenti danni. Mentre “infuria la polemica” su chi siano i responsabili, il ministro Musumeci ammette che “il governo non ha più soldi per la ricostruzione” ed è arrivato il momento di obbligare cittadini e imprese a stipulare un’assicurazione contro i danni del maltempo. Un’altra marchetta al sistema finanziario da accollare alle masse popolari. Il governo Meloni sostiene di non avere i soldi per sostenere le popolazioni colpite dai disastri climatici, ma mentre continua a negare la crisi ambientale e climatica e a perseguitare chi si mobilita per arginarla, spende 7 miliardi di euro per l’acquisto di 25 aerei da guerra F35.