Vietato il corteo per la Palestina del 5 ottobre. Il ddl 1660 è già in vigore prima di essere approvato

Fare del 5 ottobre a Roma una giornata di solidarietà e di riscossa come lo è stato il 25 Aprile

Il governo Meloni, senza ancora averci messo la faccia, ha vietato il corteo del 5 ottobre in solidarietà con la resistenza palestinese, annunciato da settimane.

La faccia sul divieto ce l’ha messa il Questore di Roma, Roberto Masucci, ma è solo un patetico tentativo di intorbidire le acque con l’obiettivo di “derubricare il divieto” a questione metropolitana e sottrarre il governo Meloni dalle sue responsabilità. Ma il divieto sul corteo porta le firme di Giorgia Meloni e Matteo Piantedosi.

Ed è conosciuto anche il mandante: la comunità sionista che opera in Italia. Sono italiani anche loro, cantano l’inno con Fratelli d’Italia, ma obbediscono agli ordini di un altro paese, lo Stato illegittimo di Israele, e mandano i loro figli, quelli con doppio passaporto e cittadinanza italiana, a compiere massacri in Palestina, a contribuire in prima persona al genocidio in corso contro il popolo palestinese e all’aggressione al popolo libanese, come mercenari qualunque, che però non sono perseguiti per i loro crimini.

Nonostante questo intrigo, questa matassa di relazioni criminali che ancora una volta è dimostrazione del ruolo di zerbino dei sionisti dell’Italia, le responsabilità del governo Meloni sul divieto di manifestare sono palesi.

Il governo Meloni e la cricca di nostalgici del Ventennio che lo compone stanno già applicando il ddl 1660 ben prima che sia approvato ed entri in vigore. L’infame provocazione è servita. E non riguarda affatto solo gli organismi del variegato movimento di solidarietà al popolo palestinese, cosa che sarebbe già di per sé grave. È una provocazione contro tutti i partiti, le organizzazioni politiche e sindacali, i democratici, gli antifascisti, i movimenti, contro tutto il movimento operaio e popolare. È un attentato alla Costituzione.

Che il corteo del 5 ottobre sia “un inno al terrorismo” o un problema di ordine pubblico è una demente strumentalizzazione a cui soltanto i servi dei sionisti possono far finta di credere. E nel momento che la usano per vietare la manifestazione lanciano un’ulteriore sfida: credete alla fondatezza di questa demente strumentalizzazione o siete complici del divieto?

La domanda ha referenti ben precisi. Non è rivolta a chi ha già messo in chiaro che divieti o non divieti manifesterà a Roma il 5 ottobre. I referenti sono Cgil, Uil, Anpi, Arci, Pd, Avs, ecc. che si riuniscono oggi, 25 settembre, sotto il Senato e sotto le Prefetture delle principali città d’Italia per protestare contro il ddl 1660 e “contrastare una norma che ha il chiaro intento di azzerare la libertà e il diritto delle persone a manifestare il proprio dissenso”.

È utile che i vertici di quelle organizzazioni politiche e sindacali e quelle grandi “associazioni democratiche” dicano subito da che parte stanno e rispondano. Ed è altrettanto utile che i palestinesi e i solidali vadano oggi in quelle piazze, con la bandiera palestinese in pugno, a fargliela in faccia questa domanda.

  • Fanno finta di credere che il divieto della manifestazione sia opera del Questore di Roma? Oppure prendono atto della realtà, cioè che il divieto viene dal governo Meloni?
  • Sono d’accordo con il governo Meloni, cioè ritengono che la manifestazione del 5 ottobre a Roma sia “un inno al terrorismo” e, come tale, va vietata? Oppure sostengono il diritto di manifestare contro il genocidio in corso a Gaza, il terrorismo di Israele, i bombardamenti in Libano?

Noi sappiamo che fra gli iscritti alla Cgil ci sono tanti lavoratori e tante lavoratrici che hanno nel cuore la causa palestinese. Ecco, è arrivato il momento di farsi sentire per pretendere che il sindacato italiano con il maggior numero di iscritti rompa gli indugi di fronte a un atto di guerra del governo Meloni contro i diritti democratici e le libertà conquistate con la vittoria della Resistenza.

Noi ricordiamo che il 7 ottobre 2023, mentre arrivavano notizie del contrattacco della resistenza palestinese, era in corso la manifestazione nazionale della Cgil a Roma, molto partecipata. Noi ricordiamo che in quella piazza, ben prima che le notizie del contrattacco iniziassero a fare il giro del mondo, sventolavano tante bandiere palestinesi. Ricordiamo, man mano le notizie iniziavano ad arrivare, servizi televisivi in cui giornalisti poco seri cercavano di mettere in difficoltà coloro che sventolavano le bandiere palestinesi, chiedendo se fossero o meno solidali con la resistenza o se la condannassero. E ricordiamo bene lavoratori, lavoratrici, giovani, anziani, pensionati, studenti che fieramente e giustamente rivendicavano la solidarietà alla resistenza palestinese. Senza se e senza ma.

Noi sappiamo che fra gli iscritti alla Cgil ci sono tanti lavoratori e tante lavoratrici che hanno nel cuore la causa palestinese. Ecco, è arrivato il momento di farsi sentire per pretendere che il sindacato italiano con il maggior numero di iscritti rompa gli indugi di fronte a un atto di guerra del governo Meloni contro i diritti democratici e le libertà conquistate con la vittoria della Resistenza.

Ritirare i divieti per la manifestazione del 5 ottobre è l’obiettivo di una battaglia che riguarda tutti. Anche coloro che forse non sarebbero scesi in piazza il 5 ottobre. Perché i divieti a una manifestazione che solidarizza con la resistenza palestinese, mentre si svolge un genocidio in diretta MONDIALE, sono solo il primo passo di un declino che non si fermerà tanto facilmente e che sicuramente non si fermerà da solo.

Serve un sussulto di resistenza qui, in Italia, adesso.

Serve mettere al centro di ogni analisi la difesa del sacrosanto diritto di manifestare.

Serve la capacità di andare oltre settarismi e piccoli calcoli di bottega, serve mettersi a mobilitare tutto quello che è mobilitabile per fare del 5 ottobre a Roma quello che è stato fatto il 25 Aprile a Milano nonostante tentativi di criminalizzazione e minacce di repressione: inondare la città di bandiere palestinesi e portare alta la voce della resistenza.

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