Siamo a settembre, il governo Meloni è alle corde, il paese è una polveriera e nonostante gli sforzi per intossicare l’opinione pubblica il materiale infiammabile continua ad accumularsi. Le potenziali scintille (i filoni di mobilitazione) sono decine e sempre più se ne creano ed estendono.
Proseguono le mobilitazioni in tutte le principali città del paese in solidarietà con la Palestina e in particolare la manifestazione del prossimo 5 ottobre sta assumendo una crescente rilevanza politica e di lotta alle politiche securitarie del governo Meloni che tenta di vietarla. Divieti e minacce vanno rispedite al mittente e diventare ulteriori spinte a riempire Roma di solidarietà per il popolo palestinese in quella data.
Proseguono le mobilitazioni in varie zone del paese contro le basi Usa/Nato, la militarizzazione dei territori, delle scuole e delle strutture sanitarie come quella tenuta lo scorso 21 settembre a Firenze dal locale comitato No Comando Nato. Una mobilitazione che si estende a tutti quegli organismi schierati contro la propaganda di guerra e il sostegno del governo italiano alla guerra della Nato contro la Federazione russa combattuta in Ucraina e al genocidio perpetrato dai sionisti in Palestina. Un insieme di forze da Niscemi a Cagliari, da Napoli alla Val Susa che sta animando tali mobilitazioni e sta consolidando mobilitazioni unitarie e un coordinamento di livello nazionale.
Proseguono e si allargano le mobilitazioni contro il ddl 1660 (detto anche “pacchetto sicurezza” del governo Meloni) attraverso la costituzione della rete Liberi di lottare promossa da Si Cobas, Tir e Iskra con l’adesione di decine di organismi e movimenti popolari dal resto del paese.
Una battaglia cui si stanno aggiungendo, pur non aderendo alla rete Liberi di lottare, anche sindacati confederali come la Cgil e la Uil e organizzazioni nazionali come l’Anpi e l’Arci che hanno già indetto una serie di mobilitazioni davanti a Senato e prefetture per il 25 settembre. Un fronte di opposizione alla ddl 1660 che può dare sbocco pratico a questa lotta proprio (e mostrare di fare sul serio) tenendo a tutti costi, divieti o meno, la mobilitazione del prossimo 5 ottobre a Roma in solidarietà alla resistenza palestinese.
Prosegue inoltre la campagna contro l’autonomia differenziata. Sono state centinaia di migliaia le firme raccolte per il referendum abrogative attraverso la mobilitazione di migliaia di attivisti, volontari e compagni della Cgil, dell’Anpi, di Potere al Popolo, dei Cobas e altre decine di sigle organizzate in comitati locali. A questa campagna d’opinione l’autunno caldo offrirà più di un’occasione di mobilitazione, di lotta e di convergenza con il resto dei settori delle masse popolari in movimento.
Sono decine, inoltre, le vertenze operaie e sindacali attive in tutto il paese che prendono di mira lo smantellamento dell’apparato produttivo per delocalizzazioni e chiusure (vedi ex Whirlpool, Stellantis o Gkn), le riforme assassine sui morti sul lavoro prese dal governo Meloni (patente a punti per le aziende), la sicurezza sul lavoro (vedi aggressioni agli operatori sanitari delle ultime settimane) e gli imminenti aggiornamenti dei CCNL di varie categorie.
Sono queste solo alcune delle scintille che possono far esplodere la polveriera su cui è seduto il governo Meloni. Scintille unite da un filo rosso di cui i promotori della mobilitazione delle masse popolari devono prendere atto. Esiste già una rete informale e disorganizzata di organismi di base, organizzazioni sindacali, organizzazioni politiche e movimenti che promuovono la mobilitazione contro il governo Meloni.
Esiste già anche una schiera di elementi (giornalisti, intellettuali, esponenti dei sindacati di base, amministratori locali, portavoce di movimenti) che raccolgono la fiducia di quella parte di masse popolari che cerca un’alternativa ai politicanti delle Larghe Intese e ai sindacalisti di regime. Sono i Giorgio Cremaschi, Alessandro Di Battista, Alessandro Barbero, Michele Santorno, Vauro Senesi, Luigi De Magistris, Ilaria Cucchi, Ilaria Salis e altri se ne potrebbero citare. Uomini e donne che godono della fiducia delle masse popolari tanto più si schierano contro i governi delle Larghe intese (di centrodestra o centrosinistra poco conta) e si assumono la responsabilità di diventare espressione di quella rete di organismi e di quel movimento unitario che deve imporsi al governo del paese con il coordinamento, la mobilitazione e la riscossa dei lavoratori e del resto della parte organizzata della popolazione.
Avanzare in questo percorso vuol dire innanzitutto rendere stabile ciò che oggi è informale, organizzare e coordinare quello che oggi procede in ordine sparso, rendere cosciente quello che oggi è spontaneo, far convergere tutto quello che oggi è ancora diviso.
In questo quadro ogni singolo e ogni organizzazione che vuole attivarsi per la cacciata del governo Meloni deve concepirsi e agire come promotore della resistenza e non solo come l’animatore di proteste, rivendicazioni e “opposizione sociale al governo”. Questo vuol dire che chi promuove la mobilitazione delle masse popolari ha il compito di indirizzarla verso lo sbocco politico: è l’unica prospettiva realistica affinché le rivendicazioni per cui la mobilitazione esiste possano essere conquistate.
Il movimento di solidarietà con la Palestina, quello contro la presenza della Nato nel nostro paese, quello contro la guerra, quello contro il cambiamento climatico, il movimento operaio e quello studentesco sono tutti aspetti della resistenza, questo è il filo russo che le unisce. La loro convergenza in un unico fronte per la cacciata del governo Meloni è la via per uscire dal pantano, dalla miseria, dalla morte e dalla devastazione in cui la crisi della borghesia costringe le masse popolari.
Che le mille proteste e mobilitazioni incendino il paese e lo rendano ingovernabile fino a cacciare il governo Meloni e a sostituirlo con un governo di emergenza popolare. Vincere è possibile. Volerlo è il primo passo.