Pubblichiamo di seguito l’intervista realizzata a Eduardo Sorge, del Laboratorio politico Iskra e Si Cobas, in quanto promotore della rete “Liberi di lottare”. Abbiamo trattato con il compagno degli obiettivi e prospettive che la rete si pone ma anche dell’attuale situazione politica del nostro paese e di cosa è possibile fare qui ed ora per alimentare la mobilitazione contro il governo Meloni e l’organizzazione di un’alternativa politica con cui scalzarlo.
Il Ddl 1660, è la punta dell’iceberg di un clima censorio, repressivo e di attacco alle libertà democratiche e di agibilità politica delle masse popolari. Un clima alimentato dalle difficoltà del governo Meloni e della classe dominante italiana a contenere, deviare e affievolire la mobilitazione delle masse popolari del nostro paese. Questo perché le menzogne, la propaganda, l’intossicazione delle coscienze, il terrorismo mediatico non bastano più a coprire le stragi quotidiane sui posti di lavoro, lo sfacelo della sanità e dell’istruzione pubbliche, la privatizzazione selvaggia dei servizi alimentata da misure come l’autonomia differenziata, il sostegno ai crimini della Nato, degli imperialisti e dei sionisti di cui tutti i partiti e gli esponenti delle Larghe Intese sono complici e servi.
Ultima puntata di questo clima sono i tentativi di vietare la manifestazione nazionale in solidarietà con la resistenza palestinese prevista a Roma per il 5 ottobre. Tentativi che vanno contrastati con forza e violati laddove si trasformassero in divieti ufficiali. Questo un primo terreno terreno per estendere, dare gambe e sbocco a questo coordinamento e promuoverne la costruzione di comitati e nodi locali. Il Partito dei Carc, aderente al percorso, agirà in questa direzione. La censura e la repressione di sionisti e guerrafondai non devono passare!
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Innanzitutto ti esprimo i ringraziamenti da parte del Partito per il comunicato di solidarietà all’attacco repressivo mediatico portato avanti contro la Carovana del nPCI, Chef Rubio e la Comunità palestinese. Avete assunto una posizione di avanguardia, non perché siete stati solidali con noi, ma perché avete messo in pratica uno dei principi cardini di cosa vuol dire fare “politica da fronte” e nello specifico il fare fronte alla repressione, come si propone di fare la neo costituita rete “Liberi di lottare contro il DDL 1660” di cui vi siete fatti promotori, con Si Cobas e TIR, a partire dal mese di luglio e a cui come Partito dei Carc abbiamo aderito. Ce ne fai una ricostruzione?
La Rete Liberi di lottare contro il DDL 1660 nasce da un appello dei disoccupati 7 Novembre, del Laboratorio politico Iskra, dalla Tendenza Internazionalista Rivoluzionaria (TIR), a seguito di una più articolata manovra repressiva contro attivisti e compagni (18 richieste di obbligo di dimora fuori dalla Regione Campania, convalidato poi in 4 obblighi di firma).
Un’azione repressiva che oggi si è scagliata contro di noi, ma che si sta allargando contro tutte le esperienze di lotta, da quelle territoriali a quelle operaie, indipendenti e di classe, tant’è che, dal 10 settembre, alla Camera si darà avvio alla discussione di questo DDL 1660 che è frutto di un ragionamento che viene un po’ più da lontano, a partire già dall’uso capitalistico della crisi del Covid 19 fino alla escalation bellica. Noi crediamo che c’è un legame diretto tra la guerra esterna (scontro imperialistico in atto su suolo ucraino tra NATO e Russia, quello che sta succedendo in medio oriente) che porta al riarmo generalizzato di tutte le potenze in Europa nel mondo occidentale che determina la necessità, da parte dei capitalisti, di far fronte alla propria crisi con lo sfruttamento maggiore della forza lavoro e con l’aumento della guerra generalizzata. A questo corrisponde una economia di guerra che non significa solo taglio ai salari, sfruttamento, peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro, ma soprattutto controllo sociale, propaganda di guerra e repressione, anche preventiva.
Da questo ragionamento è sorta l’urgenza di fare un appello a unirsi in una campagna per fermare questo ennesimo decreto repressivo era necessario. Abbiamo approfittato che questa volta la repressione ha toccato noi e crediamo che per far fronte ad essa non significa piangersi addosso, ma è un elemento intrinseco per chi si pone su un terreno rivoluzionario, in maniera da utilizzare la repressione che lo stato borghese applica contro militanti e proletari in maniera da utilizzare come terreno di lotta Per cui questo appello era funzionale ad aggregare tutte le esperienze di lotta che vogliono mobilitarsi contro questo DDL 1660 con l’idea che lottare contro la repressione, le politiche securitarie e di controllo sociale qui in Italia, significa lottare contro la guerra esterna, perché anche il nostro imperialismo per impegnarsi nei teatri di guerra esterna ha bisogno della pace sociale interna colpendo quegli elementi della classe operaia e dei militanti rivoluzionari che oggi si stanno ponendo sul fronte di lotta.
Da più parti è emersa la necessità di allargare la mobilitazione per contrastare efficacemente la repressione. Quali sono le difficoltà che avete trovato nella costituzione della Rete e che, secondo te ci sono ancora?
Pare che questa volta vi sia una tendenza al superamento dei soliti perimetri delle organizzazioni comuniste, ad esempio c’è l’adesione di Ultima Generazione, ma anche di tutto il corpo del movimento No Tav. In realtà vi sono tanti settori di movimento che iniziano a comprendere non solo la necessità di andare oltre il perimetro della singola battaglia, ma che nella situazione attuale è necessario un salto politico organizzativo.
Le difficoltà all’allargamento, secondo me, sono tutte politico ideologiche. Nel senso che c’è un errore di fondo nel concepire la fase inedita di crisi generale del sistema capitalistico, che viene da lontano e che oggi si sviluppa su un piano inclinato e su più eventi traumatici che negli ultimi decenni sta coinvolgendo il mondo intero. Non è una fase specifica che prima o poi sarà superata, ad esempio l’escalation repressiva non termina cambiando i governi di destra. È un’esigenza del sistema capitalistico dover affrontare questa crisi … se non ci organizziamo anche sul tenore della repressione, significa semplicemente abbandonare l’ipotesi di proseguire la lotta sul terreno del conflitto di classe.
Non possiamo fermarci perché ci attaccano, né restare a recriminare o lamentarci del governo sporco e cattivo. Noi abbiamo esperienza con governi di altro colore come siano stati altrettanto repressivi, questo DDL 1660 in effetti è figlio dei decreti Minniti e Salvini, per reprimere il conflitto sociale. Dobbiamo denunciare le misure repressive generalizzate di questo DDL ma anche il suo carattere preventivo ad esplosioni di contraddizione che possono esplodere nella società anche al di la di noi.
Per l’allargamento della mobilitazione non sarà tanto da fare un lavoro di coordinamento, ma sarà da fare un lavoro politico ideologico, per esempio dentro questa nuova generazione di attivisti che si sta mobilitando giustamente contro i cambiamenti climatici nel dire che il problema non è solo denunciare la crisi climatica che, forse, può far piacere anche ad alcuni settori del capitale e della green economy, ma inserire alcuni elementi di coscienza rivoluzionaria, così con quelli che si oppongono alla realizzazione di grandi opere dicendo loro che è impossibile lottare contro una grande opera se almeno non si costruisce un piano programmatico unitario che tenga dentro tutti gli elementi della battaglia sui luoghi di lavoro, nei nostri territori e dell’opposizione alla guerra. È banale non vedere come lottare contro la costruzione del ponte sullo stretto e contro le spese militari significa unirsi direttamente alla lotta dei disoccupati che si sono organizzati per garantirsi un salario ed, invece, vanno comminate misure repressive come maxi processi, obblighi di firma e quant’altro.
Sui posti di lavoro è divenuta una vera e propria emergenza, sono colpiti operai e lavoratori indipendentemente dalla tessera sindacale o meno che hanno in tasca. Non si tratta più di difendere il singolo caso e, con la Rete “Liberi di lottare”, provate ad andare verso un movimento unitario e generale. Che ruolo può avere il sindacalismo di base e le organizzazioni della sinistra di classe?
Come membro del Si Cobas posso dire che tanti sono i casi di repressione che subiamo i nostri compagni sui luoghi di lavoro e forte è la determinazione con cui si fa fronte. Tuttavia, è da considerare che il sindacalismo di base ha raggiunto già da tempo un suo limite a causa della disaffezione dei lavoratori al sindacato. Con il tradimento dei vertici confederali non s’è prodotto quell’auspicato travaso dei lavoratori verso il sindacalismo di base, perché è proprio la vertenzialità sindacale che non ha più campo stante la crisi di cui parlavo sopra e che fa diminuire i margini di riformismo. Allora adottare una politica di riforme senza ottenere riforme produce una crisi anche nel sindacalismo di base. Non basta, allora, invocare l’unità del sindacalismo di base, che è del tutto insufficiente, ma occorre partire dagli elementi di forza che abbiamo anche nelle esperienze del sindacalismo di base per allargarle.
Il ruolo del sindacalismo di base in questa battaglia contro il DDL 1660 è quello di dare centralità agli interessi della classe operaia attorno a cui si aggregano i più ampi movimenti territoriali, cittadini etc. per dare loro una prospettiva più ampia nell’immaginarsi il superamento e la costituzione di una nuova società che non può poggiare sullo sfruttamento delle lavoratrici e dei lavoratori. Possiamo vincere questa battaglia se essa diventa arma degli operai che la impugnano dentro e fuori i luoghi di lavoro.
Ovviamente non basta né l’organizzazione delle lotte né il coordinamento delle lotte né, tantomeno, un livello di sindacalismo radicale che possa essere all’altezza dello scontro in atto. Per questo, da anni, sia come Iskra, come TIR insieme ad altri compagni provenienti da esperienze passate, ci stiamo ponendo il tema della ricostruzione di un Centro Autorevole che ponga al centro la necessità della riorganizzazione di un partito rivoluzionario in Italia. Lo stiamo facendo anche con molte relazioni internazionali, con una fitta rete di rapporti dall’Argentina fino al Giappone, passando per la Turchia e la Grecia. Abbiamo fatto un appello a tutti quei compagni che ancora hanno una forma da collettivo, da struttura intermedia, di impegnarsi in un dibattito pubblico.
Recentemente siamo intervenuti anche al convegno del FGC sulla ricostruzione comunista, perché crediamo che, in questo scenario, quello che manca non sono tanto le lotte ma un Centro politico capace di indicare una strada di prospettiva rivoluzionaria a queste lotte. Per cui pensiamo che c’è un ruolo che debbano avere i movimenti, un ruolo i sindacati di base nell’alimentare una giusta linea nelle lotte, poi come comunisti rivoluzionari oggi ci dobbiamo porre il problema dell’organizzazione politica ed il fatto di aver subito un attacco repressivo è perché già ci stiamo organizzando e lavorando in questo senso, pur non essendo noi ancora il partito rivoluzionario, e non a caso la repressione va a colpire proprio quei compagni che sono più interni a questo processo.
Il governo Meloni si sta manifestando sempre più come il governo della guerra e della repressione, è necessario ed auspicabile allargare il fronte di lotta DDL 1660 in una più generale cacciata del governo Meloni?
Sicuramente, anche se penso che sia più un terreno per riorganizzare le forze politiche che vogliono costruire l’opposizione al governo Meloni. Sul piano sociale abbiamo anche un’altra arma, che abbiamo principalmente al Sud, che è quella del referendum contro l’Autonomia Differenziata, che potrebbe diventare più uno strumento di agitazione politica di massa, perché sul DDL 1660 c’è ancora una percezione generale che riguarda più una cerchia ristretta di militanti, sebbene così non è. Il referendum sull’AD potrebbe significare, invece, in un contesto del tutto diverso, quello che fu il referendum costituzionale per Renzi.
Ritornando alla solidarietà che avete espresso all’attacco mediatico contro la Carovana del (n)PCI, cui sono seguiti comunicati di altri organismi che pure aderiscono e sono attivi nella “Rete LdL”. Pensi sia necessario e formativo spingere alla richiesta di una presa di posizione complessiva della Rete in occasione della prossima Assemblea nazionale?
Noi abbiamo espresso subito solidarietà perché essa va data incondizionatamente al di là se viene richiesta o meno. Noi abbiamo compreso immediatamente che in un contesto in cui, dalla escalation bellica e con una campagna russofobica, con la pubblicazione di vere liste di proscrizione, si metteva sotto attacco chi aveva reso pubblico gli interessi delle aziende dei finanziatori e sostenitori dell’entità sionista in Italia. Un attacco che si esprimeva, guarda caso, ancora con la pubblicazione in prima pagina, con tanto di nomi e cognomi, di una lista di compagni del P.Carc che avrebbero precedenti di polizia o appellati falsamente come antisemiti. Abbiamo anche voluto lanciare un messaggio, di non lasciare soli i compagni colpiti dalla repressione sebbene vi siano differenze di visione politica che si possono esprimere su altri terreni , perché in questo momento c’è bisogno di una risposta unitaria. È ovvio che pensi sia necessario che la Rete LdL unitariamente si esprima in solidarietà e sappia costruire il meccanismo per cui gli elementi di solidarietà diventino gli elementi quotidiani nella pratica politica.
Se vuoi puoi aggiungere altro che ritieni opportuno trattare
Noi crediamo che la fase che la controparte impone, ci obbliga di organizzarci su un terreno diverso e superiore, per questo, questa Rete può essere tanto un ennesimo tentativo, come tante ce ne sono state, che nel giro di alcune manifestazioni si esaurirà, oppure potrà essere uno strumento che tutte le organizzazioni, gli organismi ecc, prendano come riferimento e che può potenziare il lavoro che già ognuno svolge.
Noi auspichiamo che gli appuntamenti nazionali che ci saranno non discutano semplicemente delle posizioni sul DDL o della generica opposizione al governo, ma che ci si dia degli strumenti per la nascita di Comitati promotori in tutti i territori di questa rete, che non siano la semplice sommatoria delle organizzazioni che aderiranno con la loro firma, ben venga, ma bisogna avere la capacità di lavorare insieme per far si che la partecipazione alla Rete viva soprattutto di protagonismo proletario. Auspichiamo l’adesione ai principi del manifesto della Rete da quanti più organismi e comitati, che seppure siano piccoli essi sono distribuiti su scala nazionale. È vero che il livello di conflittualità in Italia è fanalino di coda dell’Europa, ma non è vero nemmeno che in Italia le lotte non esistono, anzi vi sono tantissime esperienze isolate nelle province, nelle periferie, che non hanno gli strumenti per rafforzarsi in una visione complessiva e la Rete potrebbe avere questa funzione.
Inoltre, che nelle città si faccia un lavoro che veda la possibilità di una precipitazione a Roma (noi in realtà siamo anche abbastanza stufi ed allergici alle manifestazioni di parata a Roma) che in questo caso, però, sarebbe auspicabile se fatta con una capacità comunicativa diversa dai soliti cortei che noi promuoviamo contro una misura o l’altra. La Rete l’abbiamo chiamata Liberi di lottare perché è la possibilità di costruire in questo paese un movimento che non dice solamente No a questo DDL, ma che attorno all’opposizione ad esso riprenda le armi dell’agibilità politico-sindacale ed attorno a questa costruire l’alternativa.