Una cordata di associazioni e organismi solidali con la resistenza palestinese di varie parti del mondo ha pubblicato a giugno il rapporto Le aziende che armano Israele e i loro finanziatori. Il rapporto si concentra sulle relazioni tra le istituzioni finanziarie europee e le aziende che forniscono armi a Israele rendendosi complici del genocidio in corso e delle gravi violazioni del diritto umanitario internazionale perpetrate dai sionisti.
Vengono riportati nomi di banche, fondi pensione, assicurazioni e altri gestori di patrimoni invischiate nella fornitura di armi a una forza terroristica e occupante come Israele, oggi utilizzate per sterminare la popolazione di Gaza e della Cisgiordania. Sono coinvolte in questi affari le prime tre banche finanziarie italiane, ovvero Unicredi, Intesa San Paolo, entrambe afferenti al gruppo Exor, e il Banco BPM. Tra i fornitori di armi, manco a dirlo, anche Leonardo.
Ancora nel rapporto si legge: “Gli attacchi israeliani hanno distrutto oltre la metà degli edifici di Gaza, compresi edifici residenziali, scuole, ospedali e infrastrutture idriche e igieniche. Sono stati attaccati rifugi e campi profughi, anche in aree designate dalle forze israeliane come “zone sicure” dal punto di vista umanitario. La fornitura di aiuti umanitari essenziali è fortemente limitata [ndr negli ultimi giorni l’Onu l’ha addirittura sospesa].
Metà della popolazione sta affrontando livelli catastrofici di fame e digiuno, con la carestia già in atto nel nord di Gaza e i convogli di aiuti presi di mira. Secondo le Nazioni Unite, al 12 giugno 2024 sono stati uccisi 273 operatori umanitari e 498 operatori sanitari.
Nel frattempo, Israele ha intensificato la repressione e le punizioni collettive contro i palestinesi nella Cisgiordania occupata, compresa Gerusalemme Est, e all’interno di Israele stesso. La costruzione e l’espansione degli insediamenti illegali in Cisgiordania ha subito una drastica accelerazione. Inoltre, le Nazioni Unite hanno registrato 943 attacchi da parte dei coloni israeliani contro i palestinesi e almeno 521 palestinesi sono stati uccisi in Cisgiordania dalle forze israeliane o dai coloni tra il 7 ottobre 2023 e il 10 giugno 2024”. Di tutto questo sono complici e responsabili tutti gli agenti sionisti e i sostenitori di Israele nel nostro paese.
Rendere pubblico questo rapporto, darne la massima diffusione, nello sviluppo della denuncia e della lotta contro organismi e agenti sionisti in Italia, una lotta necessaria sia per sostenere la resistenza del popolo palestinese, sia per liberare il nostro paese dai gruppi imperialisti italiani e stranieri e in particolare dal protettorato USA-NATO, così come indicato dal (n)PCI nel suo Avviso ai Naviganti 145 finito al centro di una campagna mediatica di denigrazione da parte degli organi di stampa e delle istituzioni borghesi del nostro paese. La verità è rivoluzionaria!
Di seguito riportiamo una sintesi del rapporto pubblicato su valori.it.
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Banche e istituti finanziari continuano a investire nella fornitura di armi a Israele
Ci sono anche Unicredit e Intesa Sanpaolo tra le banche e gli istituti finanziari che guadagnano dalla vendita di armi a Israele
Le grandi banche e società finanziarie europee continuano a investire in aziende che forniscono armi a Israele. Il tutto nonostante l’evidenza di come queste armi siano usate, nonostante i dubbi sul rispetto di convenzioni internazionali e nonostante le accuse di genocidio dalle quali Tel Aviv deve difendersi. E malgrado il fatto che la vendita di armi venga effettuata a vantaggio di un esercito occupante, cosa esplicitamente proibita da ben due accordi internazionali: The Arms Trade Treaty (ATT) delle Nazioni Unite del 2014 e The Eu Common Position on Arms Export Control del 2008.
Prestiti e sottoscrizioni per oltre 36 miliardi di euro in quattro anni
Purtroppo, c’è anche molta Italia in tutto questo. Tra le banche che investono, come Unicredit e Intesa Sanpaolo. E tra gli istituti finanziari, come Exor che, pur essendo una holding di diritto olandese, ha radici ben salde nel nostro Paese, sempre in prima fila a fornirle aiuti di Stato con governi di ogni colore. E tra le aziende produttrici di armi, con l’italianissima Leonardo Spa.
A fornire le informazioni è un nuovo report, curato da diciannove organizzazioni non governative, tra cui Pax e BankTrack. In totale, queste banche e società finanziarie hanno fornito negli ultimi quattro anni ben 36,1 miliardi di euro in prestiti e sottoscrizioni ai sei grandi fabbricanti di armi che fanno affari con Israele. E detengono 26 miliardi di euro in azioni o in obbligazioni di queste società.
Secondo le associazioni che hanno redatto il report, quindi, queste società «corrono un alto rischio di facilitare gravi violazioni del diritto internazionale umanitario, possibili crimini contro l’umanità e, forse, un genocidio a Gaza». Per questo, sostengono che «banche, fondi pensione e gli altri proprietari di asset che forniscono finanziamenti a queste aziende dovrebbero agire urgentemente. Disinvestendo da chi non interrompe immediatamente la vendita di armi a Israele».
Anche Leonardo tra i maggiori fornitori di armi a Israele
Il report si concentra esclusivamente su sei dei maggiori produttori che, secondo il Sipri Arms Transfers Database, dal 2019 al 2023 hanno venduto armi o sistemi di armamenti a Israele. Sono le americane Boeing, General Dynamics, Lockheed Martin e RTX, la britannica Rolls-Royce e, appunto, la nostra Leonardo Spa. Che, dal 2015 al 2023, ha venduto alle forze armate israeliane i cannoni navali Super Rapid 76mm prodotti dalla sua sussidiaria Oto Melara. E dal 2019 a oggi continua a fornire anche gli elicotteri AW-119 light.
La parte del leone, nella fornitura di armi provocano di fatto la distruzione delle vite dei civili e delle infrastrutture della Palestina, la fanno comunque l’americana Boeing, che vende a Israele bombe di ogni tipo per una cifra vicina ai 10 miliardi di euro. E a seguire la britannica Rolls-Royce che, solo con i motori MT883Ka per i carri armati Merkava-4, ha superato il miliardo di euro di vendite.
Da qui il report passa a individuare quali siano gli istituti finanziari europei che detengono più investimenti, sotto forma di azioni o obbligazioni, in questi sei produttori di armi. Investimenti che, come detto, superano i 26 miliardi di euro. In prima fila la banca d’investimenti svizzera UBS, su cui già pesa lo scandalo del commercio di oro sottratto alle vittime dell’olocausto durante la Seconda guerra mondiale.
Da sola, tra azioni e obbligazioni, UBS detiene circa 4 miliardi di euro in aziende produttrici di armi. A seguire il fondo pensione norvegese GFPG che, di solito, ama riempirsi la bocca con parole sul rispetto dei diritti umani. Poi la Francia con il gruppo bancario BPCE. La Germania con il colosso assicurativo Allianz e con Deutsche Bank. E tantissimo Regno Unito, con le grandi banche come Barclays e HSBC. Oltre a un po’ di Italia con Exor e Intesa Sanpaolo.
Tra i finanziatori in prestiti e sottoscrizioni spiccano Unicredit e Intesa Sanpaolo
Fino a qui si parlava appunto di banche e istituzioni finanziarie che detengono investimenti nelle sei grandi aziende produttrici di armi prese in esame. Poi il report si concentra anche sui prestiti e sulle sottoscrizioni dirette che queste banche o società hanno fatto negli ultimi quattro anni a questi mercanti di armi. E qui la cifra supera i 36 miliardi di euro.
In prima fila troviamo le banche francesi BNP Paribas e Crédit Agricole, con più di 5 miliardi di euro a testa. Poi la tedesca Deutsche Bank, che si ferma a 4 miliardi, e la britannica Barclays che sfiora i 3 miliardi. Ben posizionata l’italiana Unicredit, con più di 1,5 miliardi così suddivisi: poco più di 1,2 miliardi in finanziamenti e di 365 milioni in sottoscrizioni. L’altra italiana Intesa Sanpaolo invece si ferma sotto il miliardo di euro, con 622 milioni in prestiti e 35 milioni in sottoscrizioni.
Il report inoltre motiva come, anche alla luce delle risoluzioni delle Nazioni Unite e del parere della Corte internazionale di giustizia espressi in questi ultimi mesi, il commercio di armi con Israele violi i già citati trattati internazionali. Le conclusioni non lasciano scampo: «I rischi già esistenti per i diritti umani legati al trasferimento di armi a Israele sono diventati ancora più gravi. Agire diventa ancora più urgente», ha scritto Cor Oudes, ricercatore di Pax. Mentre Giulia Barbos, ricercatrice presso BankTrack, ha concluso: «L’immensa portata delle atrocità e della crisi umanitaria in corso a Gaza sono innegabili. Nessuno, comprese le banche e altri istituti finanziari, può permettersi di distogliere lo sguardo. Devono tutte disinvestire e agire urgentemente, adesso è già troppo tardi».