L’occasione di destabilizzare il Venezuela sono state le elezioni presidenziali dell’8 luglio scorso. I mandanti: i gruppi imperialisti Usa, Ue e sionisti. Gli esecutori: la coalizione di destra eversiva Piattaforma Unitaria, erede della formazione Unità Nazionale di Juan Guaidó, già protagonista di un fallito golpe nel 2019.
L’operazione messa in campo, in effetti, riprende la stessa tattica di quella che vide protagonista Guaidó nel 2019: denunciare come “terribile dittatura” il governo bolivariano per giustificare un colpo di Stato. L’opera di propaganda comincia già mesi prima della tornata elettorale, con la leader della destra venezuelana, Maria Corina Machado, che appare a più riprese sui giornali di tutto il mondo per denunciare le prossime elezioni come una farsa. Il motivo? L’annuncio nel giugno 2023 da parte del Procuratore Generale, in seguito a sentenza di tribunale, della sua interdizione per quindici anni dagli uffici pubblici.
Ma, ovviamente, da questi articoli non emerge chiaramente perché la Machado è stata interdetta. Presto detto: il 21 marzo del 2014, da parlamentare venezuelana, ha accettato l’incarico di rappresentante supplente di Panama (cioè di un paese straniero, oltre che molto vicino agli Usa) presso l’Organizzazione degli Stati americani, chiedendo in quel contesto niente di meno che un intervento militare straniero contro il Venezuela. Un fatto che rivela chiaramente la natura eversiva di questa destra venezuelana, il suo essere mero strumento dell’imperialismo. A fronte di ciò non stupisce tanto l’interdizione, quanto che non sia stata processata per tradimento.
Dopo questa prima fase di propaganda per preparare il terreno, l’operazione entra nel vivo il 28 luglio, giorno delle elezioni.
Nella notte fra il 28 e il 29 luglio il Consiglio elettorale nazionale (Cne) emette il suo primo bollettino. Con l’80% dei voti registrati e a fronte di una tendenza irreversibile (giunti a tale percentuale), come da prassi, dichiara che il vincitore è Nicholas Maduro con il 51,20% dei voti, mentre il candidato di Piattaforma Unitaria, Edmundo Gonzalez, è dichiarato secondo con il 44,20%.
È a questo punto che scatta il tentativo di colpo di Stato. Il sito dove sono pubblicati i bollettini elettorali viene oscurato da un attacco informatico, mentre altri attacchi alle principali compagnie di telecomunicazioni ritardano la trasmissione dei dati elettorali completi (emergerà in seguito che questi attacchi sono lanciati dalla Macedonia del nord, paese Nato).
La destra, facendo leva su questi ritardi, annuncia subito di non riconoscere i risultati elettorali e di possedere le prove (che, come emergerà poi, sono parziali e in larga parte contraffatte) della propria vittoria, con oltre il 70% delle preferenze. Tra il 29 e il 31 luglio promuove quindi nel paese gravi disordini, sobillando bande di criminali (pagati fino a 150 dollari al giorno) nel tentativo di creare le condizioni per un colpo di Stato.
Il bilancio ufficiale delle violenze è di 25 morti, tra cui due dirigenti chaviste, a cui si aggiungono centinaia di altri esponenti di organismi sociali, politici e di comunità aggrediti e feriti più o meno gravemente.
Gravi i danni anche alle infrastrutture pubbliche, prese sistematicamente di mira. In particolare, sempre secondo il bollettino ufficiale, risultano pesantemente danneggiate 12 università, 7 asili, 21 scuole elementari, 34 scuole superiori, 3 ospedali, 30 ambulatori, 6 sedi dei comitati locali di approvvigionamento e produzione, 11 stazioni della metropolitana di Caracas, ecc.
Il tentativo di destabilizzazione del governo però non riesce, il sistema di potere popolare bolivariano si mobilita e nei giorni successivi la situazione torna sotto controllo, mentre i servizi pubblici riprendono a funzionare.
Il 2 agosto il Cne pubblica un secondo bollettino con il 96,87% dei voti registrati a conferma dei risultati del bollettino precedente.
Infine, il 22 agosto il Tribunale Supremo di Giustizia, chiamato in causa da Maduro, certifica l’esito elettorale dichiarato dal Cne con una sentenza che si basa sull’esame sul 100% delle schede registrate senza che la destra presenti nel frattempo al Tribunale nessuna prova né un ricorso.
Il tentativo di colpo di Stato può quindi dirsi fallito per ora, nonostante continuino i proclami della destra venezuelana (27 agosto la Machado ancora una volta annuncia: si avvicina la fine del regime) e le pressioni degli imperialisti. Che i mandanti siano stati gli imperialisti è evidente. Il loro sostegno al golpe è stato aperto: supporto politico ed economico alla destra venezuelana, la cui versione dei fatti è stata l’unica ad avere spazio sui media di regime; attacchi hacker combinati con il ruolo dei social con base negli Stati Uniti che hanno censurato qualsiasi narrazione alternativa a quella della destra (Facebook ha perfino sospeso il profilo di Maduro) fino ad arrivare agli appelli pubblici di Elon Musk su X a rovesciare il governo bolivariano.
A livello internazionale, tutti i paesi imperialisti e quelli a loro asserviti non riconoscono tutt’oggi il risultato elettorale. Usa, Argentina e pochi altri addirittura hanno riconosciuto il candidato della destra Gonzales come vincitore. L’elezione di Maduro è invece riconosciuta da Russia e Cina.
Questa fotografia degli schieramenti a livello internazionale ci aiuta anche a inquadrare quanto accaduto in Venezuela in un contesto più ampio.
Il Venezuela da più di vent’anni, dal trionfo della “rivoluzione bolivariana” nel 1999, resiste con successo all’imperialismo, a dispetto dei numerosi tentativi di sovvertirne il regime. Anche grazie alla sua opera e al suo esempio, sempre più sono i paesi e i popoli che resistono all’imperialismo.
Lo sviluppo di questa resistenza ha marciato in parallelo con la progressiva crisi del sistema imperialista, producendo una situazione nuova. Per gli imperialisti non si tratta più oggi di sottomettere qualche paese ribelle. Si tratta di mantenere in vita il proprio sistema di potere che cade a pezzi. Per farlo scatenano guerre ai quattro angoli del mondo, alimentano instabilità, impongono colpi di Stato e rivoluzioni colorate: promuovono una nuova guerra mondiale. Il governo bolivariano ha vinto questa battaglia, ma la guerra non è finita, anzi è destinata a espandersi e divenire sempre più calda. Solo il trionfo della rivoluzione socialista nei paesi imperialisti può mettervi fine. La rinascita di un movimento comunista capace di promuoverla è decisiva: in questo senso l’avvenire dipende da noi.