Questioni di metodo

Due idee sbagliate che ostacolano la rinascita del movimento comunista

La crisi generale del capitalismo e i suoi effetti sconvolgono la vita delle masse popolari. Nel disperato tentativo di tenere in piedi il suo sistema che cade a pezzi, la borghesia imperialista in ogni angolo del mondo scatena conflitti, impone sanzioni, colpi di Stato, omicidi mirati, stragi di civili. Promuove la Terza guerra mondiale.
La sola soluzione positiva per le masse, la sola via per mettere fine alla crisi del capitalismo e alla guerra mondiale è la rivoluzione socialista, l’instaurazione del socialismo in almeno uno dei paesi imperialisti. Nel nostro caso vuol dire fare dell’Italia un nuovo paese socialista.
Per questo, il quanto e il come si sviluppa la mobilitazione rivoluzionaria delle masse popolari dipende interamente dai comunisti: dipende da noi.

I limiti e le difficoltà che come comunisti troviamo nel promuovere la mobilitazione rivoluzionaria derivano principalmente da nodi ideologici, di concezione, che ci impediscono una corretta comprensione della realtà e quindi di sviluppare un’azione efficace, nonostante la situazione sia oggettivamente favorevole. Se abbiamo idee sbagliate, anche la nostra pratica, che da quelle idee discende, lo sarà.

Di seguito pubblichiamo ampi stralci dell’articolo “Costruire il fronte delle forze anti Larghe Intese” dal n. 77 de La Voce del (n)Pci, che affronta in particolare due di questi nodi ideologici.

La “passivizzazione” delle masse

Il primo nodo è l’idea, ampiamente diffusa, per la quale la mobilitazione rivoluzionaria non si sviluppa, nonostante la situazione sempre più grave, perché le masse sono “passive” o, peggio ancora, “corrotte” dal sistema. Di fatto l’esatto contrario della tesi “dipende da noi comunisti” da cui siamo partiti in questo articolo.

È un’idea alimentata dalle difficoltà che incontriamo in un’opera grande ed epocale come quella di fare la rivoluzione socialista e dal senso comune con cui siamo portati ad interpretare queste difficoltà che ci porta a metterci tutti sullo stesso piano, a non mettere a fuoco le differenze tra comunisti, elementi avanzati e il resto delle masse popolari.

“(…) Le masse popolari sono tutte per i loro interessi opposte alla borghesia imperialista e al suo clero, ma sono composte da milioni di individui e da migliaia di gruppi che hanno anche interessi particolari e diversi livelli di coscienza. Tra di esse c’è una parte avanzata e una parte che è arretrata: passiva, indifferente, persino abbrutita. Non potrebbe essere altrimenti dopo che per anni sotto la guida della sinistra borghese gli operai e le altre classi delle masse popolari hanno subito una sconfitta dopo l’altra. Le sconfitte hanno demoralizzato molti e i meglio messi economicamente, i più arretrati, i più abbrutiti, i disperati sperano di salvarsi al seguito della destra borghese, sperano di uscire dal marasma attuale con le soluzioni che la destra propone e attua. Allo stesso tempo c’è una parte avanzata, quella che è già attiva contro la guerra, gli effetti della crisi, le pretese dei padroni e le misure del governo, quella che in misura più o meno ampia è influenzata dai sentimenti, dalle concezioni e dall’esperienza organizzativa che la prima ondata della rivoluzione proletaria ha generato, diffuso o alimentato, quella che è convinta del buon diritto delle masse popolari di cambiare l’ordinamento della società dato che esso non corrisponde ai loro bisogni e ai loro interessi, quella che ha già oggi la generosità per affrontare i problemi del momento e l’intelligenza per capire cosa bisogna fare.

È coalizzando la parte avanzata e mobilitandola in una lotta efficace contro il governo Meloni che susciteremo, nella parte delle masse che oggi è rassegnata e passiva, in alcuni la speranza e in altri la fiducia che è possibile cambiare le cose e conquisteremo anche parte di chi ha dato credito alle promesse di Meloni & C. e sta verificando per esperienza diretta con che esito. (…)

Perché diventino una forza capace di cambiare il corso delle cose, sicuramente occorre che le masse popolari si mobilitino su scala maggiore dell’attuale, che raggiungano un livello di organizzazione più alto dell’attuale e con una direzione della classe operaia e dei comunisti ben più forte dell’attuale, che acquisiscano un livello di coscienza politica e ideologica più elevato dell’attuale. Ma tutto questo non avviene spontaneamente. Le masse elevano la loro coscienza man mano che i comunisti le portano a partecipare alla rivoluzione socialista e fanno di ogni iniziativa una scuola di comunismo, si mobilitano e diventano più combattive man mano che si rendono conto per esperienza diretta di avere un centro che le mobilita con una linea che le porta a vincere. Ne abbiamo avute ripetute dimostrazioni nella storia del nostro paese. Così come abbiamo visto più volte mobilitazioni di massa diffuse e combattive rifluire perché i dirigenti (organismi e individui) che avevano non sono stati capaci di indicare una linea giusta, di organizzarle e dirigerle in modo da vincere, di elaborare piani realistici e buoni, non hanno saputo convogliare e organizzare la protesta e la volontà di lotta delle masse intorno a un obiettivo comune, non hanno saputo sfruttare i successi ottenuti per rilanciare la lotta a un livello superiore. Il Biennio Rosso, la Resistenza contro il nazifascismo, gli anni Settanta parlano chiaro per quanto riguarda il secolo scorso, ma ne abbiamo esempi su ampia scala anche nella storia più recente del nostro paese, come la mobilitazione messa in moto dalla Fiom contro il piano Marchionne nel 2010-2011 e la lotta contro le Larghe Intese di cui il M5s si è fatto portavoce nel 2013 e nel 2018-2020.

Nel nostro paese la mobilitazione delle masse popolari coinvolge un numero crescente di classi e settori ma è ancora frammentata in mille rivoli e organismi, si sviluppa su numerosi fronti che però marciano ancora divisi; è un insieme caotico e contraddittorio di lotte, di azioni collettive (cioè di gruppi) e individuali, di sentimenti e di idee in cui convivono, si scontrano e si succedono speranza e disperazione, idealismo e abbrutimento, solidarietà e aggressione, rivolta e rassegnazione. Promotori e dirigenti di questa mobilitazione sono partiti e organizzazioni del movimento comunista cosciente e organizzato, sindacati di base e sinistra della Cgil, associazioni, comitati e reti, sinceri democratici della società civile e delle amministrazioni locali, schierati contro le Larghe Intese, contro le politiche guerrafondaie della Nato, i vincoli di austerità dell’Ue, il sostegno ai sionisti dello Stato d’Israele e contro le misure antipopolari, reazionarie e repressive del governo Meloni: alcuni di lunga data e altri di formazione più recente, ognuno ha un certo seguito e una certa influenza tra le masse. Il coordinamento, l’unione di questi partiti, sindacati, associazioni, comitati, reti e singoli in un fronte anti Larghe Intese è il passo necessario, qui e ora, per far fare un salto politico e organizzativo alla lotta contro il governo Meloni. (…)”

Diventa a questo punto del ragionamento decisivo trattare un altro nodo ideologico, che ostacola oggi i comunisti nel promuovere con decisione questo passo, e cioè: “la tesi che prima bisogna costruire il partito comunista e poi è possibile costruire il fronte, diffusa tra esponenti e gruppi promotori dell’unità dei comunisti e della ricostruzione del partito comunista (area Resistenza Popolare e Movimento per la Rinascita Comunista in primis)”.

Unità ideologica nel partito e unità d’azione nel fronte

“(…) È vero, come obiettano alcuni di questi compagni alla nostra proposta del fronte anti Larghe Intese, che Lenin insegnava che “prima di unirsi e per unirsi, è necessario innanzitutto definirsi risolutamente e nettamente” (Due tattiche della socialdemocrazia nella rivoluzione democratica, in Opere complete, Editori Riuniti 1960, vol. 9). Ma dire che oggi i comunisti ovunque collocati devono promuovere e partecipare al Fronte delle forze anti Larghe Intese non rinnega questo insegnamento di Lenin, tutt’altro. Lenin si riferiva all’unità dei comunisti in partito, non all’unità di tutte le forze mobilitabili nella lotta contro il nemico.

Promozione del fronte, promozione dell’unità dei comunisti e ricostruzione del partito comunista sono tre processi che i comunisti devono invece promuovere contemporaneamente (sono dialetticamente connessi), dando priorità all’uno o all’altro a seconda delle circostanze in cui operano e delle masse a cui si rivolgono. Dobbiamo distinguere tra unità d’azione per promuovere la lotta dei lavoratori (in cui il metodo principale rispetto ai lavoratori è la linea di massa e tra i comunisti è la politica da fronte: iniziative comuni in ogni caso in cui è possibile, dibattito franco e aperto, solidarietà contro la repressione) e unità dei comunisti per costituire il partito (in cui il metodo principale è la lotta ideologica con al centro il bilancio del movimento comunista). Nella situazione attuale, la costituzione del fronte delle forze anti Larghe Intese alimenta anche la costruzione del partito comunista e l’unità dei comunisti: costituisce un ambito in cui i partiti e le organizzazioni del movimento comunista sviluppano l’unità d’azione nella mobilitazione delle masse, il dibattito franco e aperto su questioni ideologiche e politiche (bilancio dell’esperienza, concezione del mondo, analisi del corso delle cose, strategia), la solidarietà di classe”.

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