L’esperienza delle fabbriche recuperate. RiMaflow – Intervista a Gigi Malabarba

Pubblichiamo uno stralcio liberamente tratto e riadattato di un’intervista a Gigi Malabarba, storico esponente sindacale dell’Alfa Romeo di Arese e, in seguito, esponente del Prc e di Sinistra Critica.
L’intervista tratta dell’esperienza della RiMaflow, azienda autogestita nata sulle ceneri del fallimento, nel 2009, della Maflow di Trezzano sul Naviglio (MI).
Alcuni lavoratori dell’azienda hanno ricercato negli anni la via per mantenere e rilanciare la produzione e l’occupazione, passando dal settore automotive a un lavoro di recupero e sistemazione di materiali usati in un’ottica di economia circolare, per approdare infine a un ruolo logistico in una rete di distribuzione di produzioni agricole autogestite.
Un percorso accidentato, che ha visto cambi di sede e che ha incrociato anche la lotta alla speculazione edilizia e contro la repressione, che ha ritrovato una prospettiva più ampia con il legame creatosi con il Collettivo di Fabbrica della Gkn di Campi Bisenzio.
La pubblicazione dell’intervista integrale è prevista in un volume di prossima pubblicazione.

Com’è la situazione attuale di RiMaflow e quali sono le prospettive? Dall’alto della vostra esperienza, cosa dite dello smantellamento dell’apparato produttivo in corso nel nostro paese e cosa occorre fare per farvi fronte?
Possiamo fare un bilancio di questo tipo: i cinque anni di attività presso il nuovo stabilimento sono stati molto travagliati, anche per le conseguenze di due anni di fermo dovuto al Covid. RiMaflow non sarà una fabbrica recuperata di 330 lavoratori, come desideravamo ormai più di dieci anni fa. Oggi abbiamo bisogno di ripartire con un luogo che sia attrattivo per i giovani e in cui sia possibile anche progettare attività economiche e sociali. Siamo nella fase di una RiMaflow 2.0, una nuova fase che non sarà quella delle attività produttive che furono della Maflow e che non avevamo le condizioni materiali per rimettere insieme.
Dobbiamo diversificare le attività accentuando gli aspetti sociali di questa esperienza e abbiamo messo a disposizione le nostre energie per fare dell’esperienza della Gkn di Campi Bisenzio il nuovo punto di riferimento. Io sono anche nel Cda del collettivo Gkn for future: insieme ad altri tecnici e all’università ci siamo messi a sostegno del progetto Gkn perché è da lì che può essere rilanciata l’idea dell’autogestione operaia nella produzione.
RiMaflow oggi gioca una funzione diversa, quella di conservazione del patrimonio della lotta precedente e può essere uno dei punti di una rete nazionale che includa anche le imprese recuperate attraverso la legge Marcora (risalente al 1985, la legge ha istituito un fondo finalizzato a favorire la formazione di cooperative formate da dipendenti di aziende in crisi, ndr). Abbiamo in progetto di tessere una rete che consenta di socializzare tutte le esperienze, positive e negative e di costruire un fronte cooperativistico per sviluppare le attività in autogestione.
Questa non è la risposta unica alla crisi economica e alla deindustrializzazione in corso perché non è certo con iniziative dal basso di questo tipo che affronti immediatamente un problema di centinaia di migliaia di posti di lavoro che si perdono, però è una delle possibilità e bisogna fare in modo che anche dentro il movimento operaio e sindacale queste cose conquistino uno spazio. Se la Gkn riesce a vincere diventerà un punto di riferimento effettivo per tantissimi altri e quindi sarà capace di innescare un processo di reindustrializzazione dal basso in senso ecologista e positivo per le condizioni generali dei lavoratori di questo paese.
Noi, da soli, non possiamo essere la soluzione, occorre costruire dei rapporti di forza nella società, non solo nelle fabbriche, ma in tutti i luoghi di lavoro e nelle lotte sociali per riuscire a invertire la tendenza che ci ha portato a questa condizione. Noi possiamo comunque fare un pezzo di questa battaglia e penso che dalla piccola RiMaflow nascerà qualcos’altro che speriamo possa essere significativo per tutti.

Sulla base della tua esperienza, che suggerimenti daresti ai tanti lavoratori di imprese piccole, medie e grandi alle prese con delocalizzazioni o ridimensionamento della produzione?
Ciò che possono fare oggi i lavoratori di un’azienda piccola o grande che viene chiusa è dotarsi di alcuni strumenti per riuscire a prendere in mano la produzione: dal controllo operaio sulle attività interne alla fabbrica, quando ancora funziona, per arrivare poi al controllo operaio direttamente sulla produzione.
Questo richiede un elevato livello di coscienza da parte di una fetta non indifferente di lavoratori. Alla RiMaflow non avevamo tutte le condizioni necessarie in tal senso, ma l’abbiamo fatto lo stesso e qualcosa si è portato a casa, nonostante le difficoltà.
È importante attrezzarsi prima che la situazione diventi drammatica con i licenziamenti, attraverso la formazione di un collettivo di fabbrica come fatto in Gkn. Si possono costituire società operaie di mutuo soccorso utilizzando l’art.11 dello Statuto dei Lavoratori. Anche questo vuol dire imparare a fare delle cose insieme, prima che succedano i disastri.
Noi pensiamo che se si introducono queste cose nel mondo del lavoro c’è la possibilità, nel momento in cui il capitale decide di smettere un’attività produttiva, di riprenderla in mano. Ci sono leggi che ti consentono di attivare alcuni meccanismi, ma a volte serve una mobilitazione straordinaria per rimetterla in funzione senza padrone.
La cooperativa può esistere anche con un’assemblea una volta all’anno per convocare il bilancio, oppure puoi farla funzionare come uno strumento di autorganizzazione democratica dei lavoratori, attraverso una forma consiliare, di organizzazione per delegati per organizzare in autogestione la produzione. Questa è una modalità molto efficace.
Naturalmente poi queste realtà che si liberano dal padrone devono coordinarsi insieme, perché sei sempre all’interno di una società dove dominano le leggi del mercato e non puoi pensare di costruire delle isole felici, socialiste, dentro una società capitalista… ti fanno fuori. Per cui saranno costantemente in lotta, devono coordinarsi in qualche modo, reggersi, costruire dei momenti di solidarietà con tutti gli strumenti che abbiamo nella società per reggere e costituire un fronte di lotta più avanzato rispetto alla semplice presenza sindacale in fabbrica.
Anche una cooperativa può essere una trincea di lotta contro il padronato e il capitalismo. Senza illudersi che con le cooperative si cambi il sistema, si possono creare tante realtà in forma autogestita che possono costituire un esempio di come vorresti che funzionasse la società. Senza fare propaganda, mostri che è possibile lavorare senza padroni e stare in un fronte di lotta per resistere agli attacchi che comunque arriveranno.

RiMaflow ha preso contatto e stretto legami con altre aziende autogestite o recuperate in forma cooperativa?
Avevamo avuto contatti con altre imprese recuperate con la legge Marcora per capire come affrontare la situazione, ma non si è sviluppato un rapporto consolidato per differenze di impostazione.
Inizialmente, non abbiamo trovato un’altra fabbrica, ma altre realtà di lavoro in forma autogestita nell’ambito della rete nazionale Fuori Mercato, formata sulla base dell’autorganizzazione di migranti e italiani nella produzione agricola.
RiMaflow si è convertita in una sorta di hub di distribuzione della parte finale, l’ultimo miglio dei prodotti che vengono da tutta Italia per le zone attorno a Milano, che serve una rete di oltre sessanta gruppi di acquisto solidale. La filiera può stare in piedi perché c’è una rete di sostegno mutualistico dalla produzione alla distribuzione finale.
Non abbiamo incontrato un’altra fabbrica o altre esperienze che potessero darci una mano a far ripartire la produzione originaria, ma delle realtà con cui ci siamo messi in rete economica e produttiva. Così siamo arrivati all’esperienza della Gkn di Campi Bisenzio (FI) con la quale siamo entrati in rapporto.
Gkn ha ripreso la battaglia che avevamo cercato di portare avanti anche noi, ma partendo col piede giusto e con una tradizione di forza, di collettivo strutturato molto maggiore della nostra, facendo tesoro anche delle nostre piccole esperienze precedenti e ottimizzandole in un progetto straordinario di reindustrializzazione dal basso. La similitudine dal punto di vista produttivo delle due realtà è imbarazzante. Noi eravamo 330, le dimensioni della Gkn erano di 440 lavoratori, entrambe del settore automotive, entrambe alla fine delocalizzate in Polonia. Una conoscenza comune di quel mondo ci ha permesso di sintonizzarci molto rapidamente e capire insieme come affrontare la situazione.
La differenza è che nel loro caso la vertenza stessa si è trasformata in un progetto di autogestione della produzione, cosa che noi non siamo riusciti a fare. Però, le nostre difficoltà sono state utili a comprendere la situazione e la possibilità di utilizzare anche la legge Marcora per utilizzare tutte le risorse disponibili per far partire l’attività industriale. Quello che non siamo riusciti a fare noi, lo fa ora la Gkn.

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