Intervista a Marco Militello sull'accampata all'Università di Palermo

Trasformare l’indignazione in rabbia collettiva

Pubblichiamo di seguito l’intervista a Marco Militello, studente del collettivo universitario “Scirocco” attivo all’Università di Palermo. Con lui abbiamo ripercorso la storia dell’accampata studentesca a Palermo e fatto delle riflessioni rispetto agli insegnamenti di questa lotta, alle prospettive che apre e anche al significato che ha per le attuali giovani generazioni. Buona lettura!

***

Marco presentati e dirci del collettivo che ha promosso questa accampata, come è nata e come si è sviluppata questa mobilitazione.

L’intifada studentesca di Palermo nasce in realtà il 7 maggio quando stavamo vedendo durante la notte l’attacco a Rafah che sembrava potesse essere uno degli attacchi più feroci che poteva essere realmente uno dei punti di non ritorno, anche se in realtà di punti di non ritorno ce ne sono stati tanti in questi anni e in questi mesi. Abbiamo preso spunto da quelle che sono state le mobilitazioni negli USA, come successo alla Columbia University e non soltanto, per accamparci pure noi all’Università di Palermo. L’abbiamo fatto ovviamente però, come tutti i percorsi per la Palestina a Palermo, non soltanto come collettivo, come soggettività auto-organizzata, ma l’abbiamo fatto insieme alla città, a quei movimenti e a quei collettivi che si mobilitano da sempre per la Palestina e, infatti, la comunità palestinese locale è stata al centro della costruzione dell’intifada studentesca. Un’intifada che è durata 27 giorni, piena di assemblee, collegamenti tra cui, ad esempio, coi movimenti giovanili della liberazione del Vietnam, iniziative come quella del 9 maggio per ricordare la figura di Peppino Impastato, compagno ucciso dalla mafia con il silenzio complice dello Stato, che in realtà iniziò a far paura nel momento in cui iniziò a lottare anche lui nei movimenti giovanili per la liberazione del Vietnam perché mise in luce che la lotta per la liberazione dei popoli oppressi dal colonialismo e dall’imperialismo è una lotta che in realtà vale anche per noi, perché il sistema del capitalismo crea precarietà in ogni ambito di vita: studentesco, universitario, lavorativo, abitativo; lo stiamo vedendo adesso anche con il clima di repressione che stanno vivendo non soltanto gli studenti e le studentesse, ma in realtà tutte quelle categorie che vogliono mobilitarsi a partire dai portuali di Genova, lavoratori della logistica, i compagni e le compagne che lottano per l’ambiente e ovviamente chi lotta a sostegno del popolo palestinese. In questo contesto abbiamo costruito un’accampata di 27 giorni in cui abbiamo messo al centro l’unità di tutte le lotte che portiamo avanti quotidianamente, come collettivo universitario e in generale con tutta la città, per cercare quanto più possibile di riempire un’esperienza politica che sapevamo potesse essere difficile ma anche una forma di rilancio come si è visto a livello internazionale e nazionale; per l’appunto, a livello nazionale siamo arrivati almeno a 24 università occupate tutte quante insieme, cose che non si vedevano davvero da tanti anni, e si è riuscito anche a raggiungere un risultato internazionale cioè la sospensione degli accordi di UniPa con Israele. In merito, noi diciamo che la nostra esperienza di Palermo non possiamo raccontarla in termini auto-celebrativi, noi non abbiamo niente di diverso rispetto a tutti i compagni e a tutte le altre compagne che hanno lottato in tutta Italia. Abbiamo avuto una governance inizialmente più disponibile nell’incontrarci, che non ci ha accolto con celere e manganelli, per cui siamo riusciti e siamo riuscite a fare una pressione anche all’interno del Senato Accademico riuscendo a far passare una mozione, ma comunque non abbiamo fatto niente di diverso rispetto a quello che è stato il lavoro svolto nelle altre università d’Italia, anzi la nostra complicità e solidarietà va a tutti quegli studenti e quelle studentesse che in quei giorni venivano repressi, venivano chiuse loro le porte dei Senati e venivano manganellati in piazza, denunciati e addirittura alcuni presi in stato di arresto e di fermo come una compagna neo-diciottenne a Bari. Dunque, quello che siamo riusciti a rintracciare in termini locali, nazionali e internazionali è un sentimento diffuso: gli studenti e le studentesse qua a Palermo, e non solo, hanno risposto “presente” per cercare di portare azioni di solidarietà attiva verso un popolo che in questo momento sta subendo un genocidio a causa dello stato sionista d’Israele terrorista che non si sta fermando neanche dinanzi a dichiarazioni di organizzazioni internazionali che chiedono un cessate il fuoco. Allora, il nostro ruolo è quello di cercare di stare sul pezzo e cercare di essere pronti ad infilarci nelle fratture del capitalismo per cercare di allargarle, raccogliendo una rabbia collettiva che c’è, esiste e l’esperienza dell’intifada studentesca ne è la dimostrazione perché siamo riusciti a portare veramente tante persone in piazza e se si è potuto arrivare ad un risultato di questo tipo è perché da Palermo, dall’Università di Palermo, dalle aule dell’Università di Palermo il tema era molto sentito e c’erano tante persone pronte a mobilitarsi per questo insieme anche a docenti.

È un dato di fatto importante che qui a Palermo gli studenti sono riusciti a imporre la sospensione degli accordi con Israele. Parlaci del percorso di mobilitazione che avete messo in campo e di come avete sviluppato un ruolo di riferimento per tutto il movimento palermitano in quella fase.

Innanzitutto, hai detto bene: l’intifada è diventata il luogo in cui si sono spostate quasi tutte le attività politiche della città. Questo è importante perché non è bastevole ad oggi quando parliamo di guerra, di economia di guerra, di interessi economici, di università come macchina economica e macchina di guerra, non possiamo essere soltanto noi studenti, studentesse e docenti a provare vergogna e rabbia per la complicità dei nostri atenei. In questo, la città ha risposto “presente” e le attività che abbiamo portato avanti hanno avuto come temi principali quello della guerra, la presenza della Leonardo s.p.a., fabbrica di guerra e di morte, anche qui a Palermo, e i suoi gli accordi istituiti con UniPa, le condizioni del movimento stante il fatto che oggi, chi lotti contro la guerra come Luigi Spera, venga accusato di terrorismo, i collegamenti con quello che avviene all’interno dei CPR, etc.; cose che noi non possiamo mettere da parte quando si parla di Palestina, quando si parla di guerra, quando si parla del genocidio in corso e quando si parla anche di una prospettiva anti-capitalista perché oggi essere anti-capitalisti molto spesso per lo Stato, per le prefetture, per le questure vuol dire essere terroristi – in un periodo di escalation militare che ci deve preoccupare tutti e tutte. Questi sono stati alcuni dei temi che sono stati portati con maggior forza all’interno dell’accampata proprio perché le nostre rivendicazioni non si fermano soltanto alla questione palestinese, ovviamente, ma noi ci schieriamo contro ogni forma di colonialismo e contro ogni forma di imperialismo, contro ogni forma di guerra e soprattutto contro ogni forma di produzione di guerra e complicità del nostro Stato. Nelle nostre rivendicazioni c’erano l’interruzione degli accordi con la Leonardo s.p.a., una presa di posizione da parte del Senato Accademico e della governance su Antonello Miranda, docente che fa parte della fondazione Leonardo Medor, l’interruzione degli accordi con Israele e anche con le industrie Israeliane, ma anche corsi per contrastare l’islamofobia – un fenomeno costantemente in crescita – e tante altre rivendicazioni che sapevamo non potessero essere raggiungibili perché se ci fossimo riusciti staremmo parlando dell’università socialista d’Italia. Ma chiaramente, l’università è uno strumento del capitalismo e sappiamo che, in quanto tale, in determinate occasioni tende a tingersi di democrazia partecipativa; altre volte, ci sono interessi economici che vanno molto più tutelati rispetto a quello che è il rapporto con gli studenti e le studentesse, tant’è vero che poi quello che è successo il giorno dopo la mozione che è passata (che non è stata la nostra mozione ma è stata un punto d’incontro, un compromesso tra noi e il Senato Accademico) è stato molto grave. La ministra Bernini si è espressa criticando il fenomeno Palermo e il rettore ha tolto la mozione dal sito, pubblicando poi un testo che aveva ben poco a che vedere con la mozione che era stata votata: non si parlava più di Palestina, non si parlava più del genocidio in corso, delle responsabilità d’Israele, si parlava soltanto di sospensione degli accordi perché Israele non si tratta di uno Stato sicuro, per cui i nostri studenti e studentesse non ci possono andare, e a questo sono seguiti anche annunci di voler interrompere accordi anche con altri Paesi detti “non sicuri” come il Sud Africa, l’Algeria, la Georgia o la Giordania che però non sono Paesi promotori di colonialismo, anzi ne sono vittime, ne sono state storicamente vittime e ancora ne pagano le conseguenze. C’è stato un grande voltafaccia da parte del rettore e da parte del Senato Accademico in seguito all’intervento del governo centrale e questo noi dobbiamo saperlo leggere. L’attacco della ministra Bernini è un attacco al modello di Palermo che ha aperto le porte del Senato Accademico a studenti e studentesse portando a un risultato di portata internazionale. Noi vogliamo rispedire al mittente – e avremmo voluto che il rettore avesse il coraggio di farlo – le provocazioni della Bernini.

Sul piano più generale la questione studentesca negli ultimi mesi ha smentito quelle che sono le tesi che la classe dominante promuove da decenni a questa parte rispetto ai giovani in genere delle masse popolari: “bamboccioni”, “sfaccendati”, “nullafacenti”, “i fragili”; ha mostrato che i giovani sono protagonisti del loro presente e sono costruttori al contempo del loro futuro, in questa fase sono stati protagonisti della vita politica del Paese perché hanno messo le mani in pasta e il dito nella piaga nelle contraddizioni del governo e lo ha dimostrato il fatto che dopo la mozione che avete fatto approvare qua a Palermo, è dovuto intervenire un pezzo del governo centrale perché il rettore retrocedesse. A questo proposito ti chiedo una tua riflessione sul ruolo dei giovani nell’attuale crisi dell’imperialismo.

La nostra è una generazione fragile, sin dai primi anni d’età viviamo una precarietà che ci causa stati d’ansia e disturbi dell’umore, e se oggi gli studenti e studentesse giovani chiedono a gran voce lo psicologo di base è perché stiamo vivendo sulla nostra pelle una forma di neo-liberismo che ci mangia sin dai primi anni d’età e che crea malattie figlie della competizione e dell’individualismo. Inoltre, dobbiamo menzionare anche il recente fenomeno dell’eco-ansia. Alla luce di tutto ciò, io penso che il nostro ruolo in questa fase debba essere quello di riuscire a incanalare questa rabbia, questa ansia, tutto quello che provano le nuove generazioni all’interno di una sfera collettiva perché oggi la prima cosa che manca, e lo notiamo anche qui all’università, è la dimensione collettiva. Ormai anche gli spazi pubblici vengono vissuti in maniera totalmente individuale ed è un grosso problema perché ci manca il confronto e il dialogo, e quelli che ci sono, subiscono l’attacco del governo Meloni – ma pure del PD e di tutti governi passati – per cercare di chiudere e condannare gli spazi di socialità e i luoghi di aggregazione sociale. Allora, il nostro ruolo deve essere quello di cercare di trasformare l’indignazione di ognuno in una rabbia collettiva. In Italia si stanno mescolando tante carte, anche all’interno del movimento stesso. Penso che noi, in termini generazionali, abbiamo una grande sfida davanti che è quella di cercare di partire dalle nostre esigenze nel cercare di costruire un mondo che vogliamo: oggi molto spesso si parla di cosa non vogliamo e non del mondo che vogliamo ma è quest’ultima cosa che, secondo me, come generazione, dovremmo provare a mettere in piedi.

Noi pensiamo che l’accampata studentesca a Palermo abbia alimentato la rabbia di cui parlavi prima. Ora, siamo in una fase di riflusso di quel movimento però la rabbia rimane, rimane quel sentimento e quella necessità di organizzazione e di mobilitazione dal basso e quindi ti chiedo quali sono gli insegnamenti che traete da questa esperienza, il bilancio che ne fate, e come pensate di rilanciare

Noi pensiamo che una delle carte vincenti sia stata quella del “pensare globale, agire locale”, noi pensiamo che in autunno sarà necessario confrontarci con tutte le accampate nazionali e cercare di capire tutti e tutte insieme come ripartire perché la risposta più forte può essere soltanto quella corale e quindi pensiamo che sia fondamentale. Anche perché la sospensione degli accordi a Palermo è sicuramente un obiettivo che abbiamo raggiunto ma non può essere un qualcosa di definitivo perché appunto si parla di sospensione, c’è un mondo dietro e c’è un mondo ancora da contrastare. Sicuramente dobbiamo alzare l’asticella perché non possiamo accettare che dinanzi a rivendicazioni come quello dello stop degli accordi con la Leonardo, questi vengano messi sotto il tappetto e non vengono neanche affrontati. Se noi inizialmente ci siamo permessi d lasciare scorrere sotto traccia questa cosa è solo perché ci stavamo rendendo conto che a Palermo poteva crearsi un precedente rispetto alla sospensione degli accordi, però adesso dobbiamo continuare a lottare per tornare localmente sulla questione Leonardo; lottare insieme a livello nazionale per sviluppare un ragionamento serio su quello che la guerra sta creando, sull’economia di guerra e su cosa possiamo fare per fermarla. Ovviamente non possiamo farlo da soli, l’unico modo è lavorare con la città, con il sindacalismo di base, prendendo esempio i lavoratori del porto del Genova, degli altri porti d’Italia perché un movimento contro la guerra serve, un coordinamento, un movimento importante per la pace e contro il genocidio in Palestina è necessario e in questo allora non possiamo pensare che noi studenti e studentesse possiamo essere l’unico soggetto a muoverci, per cui penso che quest’estate debba essere un momento di intenso confronto con tutte le categorie che hanno un’influenza e che sono soggetto attivo di questa storia come soggetto attivo siamo noi. L’unica consapevolezza che ci ha dato l’intifada studentesca è che gli studenti possono essere e devono ritornare ad essere un soggetto attivo della storia. Quest’esperienza ci dimostra che ci sono tante persone che, organizzate, possono dare un contributo e tutti quanti insieme possiamo fare qualcosa di veramente importante come abbiamo fatto a Palermo, come si è visto in tutta Italia, con presidi di resistenza permanente, giorno e notte, che fino a qualche mese fa erano impensabili da vedere in tutta Italia. E perché no, magari da settembre si riparte dall’università e anche nei licei.

Sulla scia del tuo romanticismo mi veniva da dire “osare lottare, osare sognare, osare vincere” e con questa chiusura io ti ringrazio Marco, ringrazio il collettivo universitario Scirocco per averci trasmesso questa preziosa testimonianza e rimando i compagni alla lotta.

Grazie a voi!

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