Domenica 4 agosto, all’interno della Festa della Riscossa Popolare che si è tenuta a Pontedera, è stato messo in campo un fitto programma per promuovere confronto, organizzazione e coordinamento contro le guerre della Nato e la partecipazione del nostro paese a queste. Si è infatti tenuto un dibattito dal titolo “Fuori la Nato e i sionisti dalle scuole e dalle università” sulla lotta contro la militarizzazione di scuole e università che ha visto confrontarsi Fulvio Grimaldi, Mario Sanguinetti dell’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università Rajeh Zayed, segretario dell’Unione Democratica Arabo Palestinese (Udap) e Maisa del Centro culturale Handala Ali di Napoli.
Di seguito l’intervista ad Emanuele Lepore del Partito dei Carc, responsabile del dibattito, con cui abbiamo trattato dei contenuti, dei risultati e degli sviluppi emersi da questo confronto. Di seguito anche il video della diretta dell’iniziativa. Buona lettura e buona visione.
***
Come è andato il dibattito?
Obiettivo del dibattito “Fuori la Nato e i sionisti dalle scuole e dalle università”, sicuramente raggiunto, era quello di fare un approfondimento rispetto alla lotta che si è sviluppata nelle scuole e università italiane dal 7 ottobre 2023 in poi in solidarietà con la lotta di liberazione della Palestina, ossia da quando la resistenza palestinese ha mosso una giusta offensiva contro lo Stato sionista d’Israele. All’interno delle scuole e delle università italiane le proteste e iniziative di solidarietà con la lotta di liberazione della Palestina si sono combinate con quelle in difesa della scuola pubblica e contro l’uso da parte della Nato e del Ministero della Difesa italiano del sistema d’istruzione pubblico del nostro paese per foraggiare da un lato la terza guerra mondiale in corso (decine sono infatti gli accordi che gli atenei italiani hanno in corso con industrie produttrici di armamenti, con il Pentagono o con enti militari israeliani), dall’altro per propagandare la guerra, per legittimare la militarizzazione del nostro territorio e lo stato di protettorato Usa del nostro paese.
Sono almeno 116, infatti, le installazioni militari e basi Usa-Nato in Italia. Nell’approfondire queste tematiche è intervenuto Fulvio Grimaldi, documentarista e giornalista, che ha parlato in particolare di come la Nato, dal 1999 in poi (quindi dall’aggressione alla ex Jugoslavia, di cui quest’anno ricorre il 25° anniversario), abbia investito oltre l’aspetto militare e abbia assunto come linea quella di utilizzare ogni ambito della società (la cultura, in particolare) ai fini bellici, quindi imporre una certa narrazione storica, ridefinire il linguaggio che viene utilizzato quando si parla di guerra e aggressioni militari, promuovere iniziative in cui via via la presenza militare permea sempre di più gli ambiti della cultura e a ciò connesso, non in modo secondario, l’utilizzo delle capacità intellettuali prodotte nelle università non solo nell’ambito scientifico connesso all’ambito militare, ma anche il campo cosiddetto umanistico, per la promozione delle cosiddette “guerre ibride”: infatti, aggiungo io, è evidente che la guerra mondiale in corso è una composizione di conflitti di vario tipo (rivoluzioni “colorate”, golpe, sabotaggi, guerre guerreggiate, lotta al terrorismo, guerre per procura, guerra cognitiva, ecc.) necessari al polo imperialista Usa per mantenere la propria egemonia nel mondo.
Successivamente è intervenuto Mario Sanguinetti, membro dell’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università, che ha egregiamente ricostruito come negli ultimi anni su spinta della Nato, i governi delle Larghe Intese che si sono succeduti hanno promosso una crescente politica di militarizzazione e sottomissione dell’istruzione pubblica al complesso militare-industriale e alle logiche di guerra imposte dalla Nato. La politica di militarizzazione dell’istruzione pubblica avviene nei seguenti modi
– legando sempre di più l’indirizzo didattico a quello economico e agli investimenti militari): ad esempio, con i PCTO (ex alternanza scuola-lavoro) all’interno delle caserme per quanto riguarda le scuole medie superiori, oppure filoni di ricerca universitaria finanziati e improntati a soddisfare le richieste dell’industria bellica;
– utilizzando in particolare le scuole (elementari, medie inferiori e superiori) come ambito di propaganda di guerra: gite scolastiche all’interno delle basi militari, la presenza di militari armati nelle scuole in occasione di feste istituzionali oppure di iniziative formative extracurriculari quali la prevenzione contro la violenza di genere, il bullismo, ecc;
– attraverso il maggiore disciplinamento del corpo docente e studentesco, restringimento degli ambiti di discussione, aumento delle misure disciplinari contro i docenti che si ribellano e altre misure repressive atte a ostacolare l’organizzazione sia di docenti che studenti.
Mario Sanguinetti ha anche parlato degli strumenti che l’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università pubbliche ha prodotto per lottare all’interno del mondo scolastico e universitario, in particolare del vademecum prodotto per rendere ogni docente capace di boicottare e ostacolare le iniziative di carattere militare all’interno della scuola pubblica. A ciò, il compagno ha aggiunto una riflessione importante avviata dal Centro Studi “Sereno Regis” di Torino, aderente all’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università pubbliche: l’importanza di utilizzare le ampie conoscenze di tecnici, ricercatori, scienziati, ingegneri italiani per riconvertire l’industria italiana bellica a scopi civili più utili alla società e intervenire su tutto l’apparato produttivo per convertirlo a produzioni o tecniche produttive compatibili con l’ambiente.
Dopo il contributo dell’Osservatorio, è intervenuta Maisa Shams dell’Udap e del centro culturale Handala Ali di Napoli. La compagna si è concentrata sul tracciare una breve storia del movimento studentesco palestinese che parte dal lontano 1959 e che il movimento studentesco italiano che oggi anima le accampate presso alcune delle più importanti università italiane raccoglie lo spirito degli studenti palestinesi che nel corso dei decenni ha dato voce alla lotta di liberazione della Palestina e che in Italia ha avuto momenti di lotta importanti già prima del 7 ottobre 2023. Maisa con il suo intervento ha toccato molti punti che riguardano il corretto inquadramento della causa palestinese e, cosa più importante, si è concentrata sullo spiegare perché oggi il sostegno alla lotta di liberazione della Palestina in Italia deve concentrarsi sul rompere il meccanismo di guerra a partire da quei paesi che sostengono convintamente e con appoggio politico, mediatico, militare e finanziario lo Stato sionista d’Israele. Questo vuol dire, secondo Maisa, moltiplicare in particolare le iniziative di boicottaggio collettivo del meccanismo di guerra, come ad esempio la rottura degli accorti con le entità militari israeliane da parte delle università italiane, il blocco delle armi nei porti e aeroporti e altre iniziative simili, anche se in definitiva la questione decisiva e far saltare i governi succubi dei sionisti o che collaborano con essi, come il governo Meloni.
Infine, a sostegno dell’intervento della compagna Maisa è intervenuto il compagno Rajeh, che ha parlato dei risultati che la solidarietà alla causa palestinese ha ottenuto su Genova, dove la mobilitazione unitaria tra studenti e lavoratori portuali insieme alla comunità palestinese ha bloccato per tre volte il porto genovese per boicottare il traffico di armi diretto a sostenere il genocidio in corso in Palestina.
Quali sono le sintesi emerse durante il dibattito?
In definitiva, dalla discussione sono emerse alcune interessanti sia di sintesi che in termini di “nodi aperti” su cui sviluppare il confronto.
Inizio con le questioni di sintesi. È necessario promuovere una lotta contro la militarizzazione delle scuole e delle università, contro la militarizzazione della società, la terza guerra mondiale a pezzi e contro il genocidio del popolo palestinese:
1. inquadrandole nel contesto determinato dall’indirizzo che gli imperialisti Usa-Nato vogliono imprimere alla società per far fronte alla crisi per sovrapproduzione assoluta di capitale, ossia estendere la terza guerra mondiale nelle forme molteplici che assume oggi per mantenere il proprio dominio nel mondo;
2. facendo nostra la tesi che gli imperialisti sono giganti dai piedi di argilla: l’imperialismo Usa è il principale centro della reazione in tutto il mondo, il gendarme dell’ordine imperialista, allo stesso tempo lo stato sionista d’Israele è il loro braccio armato nel Mediterraneo, Medio Oriente, in Africa ecc. e che si è affermato e continua ad esistere solo grazie al sostegno dell’imperialismo statunitense ed europeo di cui è l’avamposto contro i popoli arabi e musulmani. Allo stesso tempo, l’arroganza e la tracotanza degli imperialisti Usa e dei sionisti poggia appunto su dei piedi d’argilla: l’attacco che il 7 ottobre la resistenza palestinese ha sferrato contro l’entità sionista d’Israele, la cacciata degli imperialisti Usa dall’Afghanistan, la sconfitta in Siria, la ribellione di un numero crescente di stati africani su spinta della mobilitazione popolare esausta da sopraffazioni e abusi dei propri colonizzatori, la vittoria delle elezioni in Venezuela e le crescenti difficoltà degli imperialisti Usa di mantenere il controllo dei paesi del centro e Sud America dimostrano ciò. Tutto questo dimostra che è possibile combattere contro gli imperialisti Usa-Nato, contro i sionisti, ed è possibile vincere;
3. mettendo al centro il fatto che oggi, sia la lotta contro la guerra che la mobilitazione per riconvertire la produzione (vedi il tema sollevato dal Centro Studi “Sereno Regis” di Torino) hanno un ostacolo contro cui scontrarsi, ossia il governo del paese: chi attua le direttive Nato? Chi decide della militarizzazione delle scuole? Chi invia armi ai sionisti di Tel Aviv per perpetrare con più vigore lo sterminio del popolo palestinese in corso da oltre 75 anni? Potrei continuare con le domande, la risposta è una: il governo Meloni.
Questa sintesi apre ad una questione che è, in realtà, un nodo aperto: il P.Carc promuove la linea di unire gli organismi operai e popolari, studenteschi ecc. per mobilitarsi e imporre un governo d’emergenza popolare che faccia fronte alla situazione di crescente emergenza in cui versa il paese, finora diretto da governi e autorità succubi della Comunità Internazionale dei gruppi imperialisti Usa-Nato, sionisti e Ue. Finora questa linea non trova concordi i principali centri della mobilitazione popolare del paese ed è una questione che si porrà e riproporrà ciclicamente: attiene a discutere dell’alternativa di governo necessaria a rompere con la Comunità Internazionale dei gruppi imperialisti. È chiaro che per arrivare ad un simile obiettivo è necessario unire immediatamente ciò che è possibile unire: studenti e lavoratori universitari e delle scuole medie superiori, ma anche convergere sulle lotte dei lavoratori di aziende chiuse, delocalizzate o in dismissione, della sanità pubblica, dell’ambiente, dato che ogni ambito della società oggi è sconvolto dalla politica di guerra imposta dalla Nato.
Infine è emerso forte il richiamo alla cultura, ovviamente oggetto del dibattito nel suo senso lato. Importante che si puntualizzi una questione: non è vero che oggi la cultura imposta dalla classe dominante è egemone, pervasiva e passivizza le masse. I centri di mobilitazione solidali con la lotta di liberazione della Palestina producono cultura, perché producono una visione diversa della storia promossa dalla classe dominante; le esperienze di organizzazione dei lavoratori come il Calp di Genova oppure il Collettivo di fabbrica ex GKN di Campi Bisenzio (FI) dimostrano che la classe operaia è capace di promuovere cultura di pace e di solidarietà; la stessa Festa nazionale della Riscossa Popolare e le decine e decine di iniziative e attività di organizzazione, lotta e ribellione dimostrano che la classe dominante non controlla tutto, nonostante ci provi attraverso il suo sistema di intossicazione delle menti e dei cuori delle masse popolari e quindi anche attraverso la promozione di una cultura putrida, basata sulla concorrenza, il profitto, la sopraffazione. La classe dominante prova a soggiogare le masse popolari in ogni modo, ma ogni iniziativa che porta avanti per alimentare la terza guerra mondiale in corso alimenta resistenza, lotta e ribellione e non riesce a soppiantare quella cultura che nel nostro paese si è radicata a partire dalla vittoria della Resistenza contro il nazifascismo e in generale dalla storia del movimento comunista e operaio nel nostro paese e nel mondo.
Quali sono le valutazioni che fai del dibattito?
Il dibattito, che aveva il principale scopo di approfondire la lotta che si è sviluppata nelle scuole e università nel corso degli ultimi mesi, ha raggiunto i suoi obiettivi e ha messo in luce che c’è tanto da fare per liberare la scuola e l’università dalla fetida presenza sionista e della Nato. Ha dimostrato anche che ci sono delle avanguardie capaci di organizzare la resistenza delle masse popolari e che la resistenza delle masse popolari si sviluppa se viene promossa da un centro autorevole. In questo senso, la lotta in solidarietà con la resistenza palestinese ne è esempio.
Il dibattito è servito a rafforzare questo orientamento e fare dei passi in avanti nel rafforzare la più generale mobilitazione contro la terza guerra mondiale in corso e la partecipazione del nostro paese, contro l’economia di guerra e la sottomissione del nostro paese agli imperialisti Usa-Nato: una battaglia che non è di bottega ma che oggi deve vedere convergere ogni settore delle masse popolari in lotta. In questo, un ruolo unificatore importante lo ricopre sicuramente l’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università, che ha una sua rete di docenti attivi a livello nazionale e un riconoscimento importante per l’opera di denuncia svolta nel corso degli ultimi due anni. Allo stesso tempo, ruolo unificatore lo ricopre la lotta in sostegno al popolo palestinese, che come ha ben detto la compagna Maisa deve essere lotta per far saltare i governi collaboratori del sionismo e complici del massacro del popolo palestinese.
Noi aggiungiamo che bisogna anche imporre un nuovo tipo di governo, un governo d’emergenza popolare, che rompa i rapporti con i sionisti, chiuda le basi Usa-Nato presenti in Italia e inverta la rotta disastrosa su cui hanno incamminato il nostro paese i governi delle Larghe Intese che si sono succeduti nel corso degli ultimi 30 anni, di cui ultima espressione è il governo Meloni, governo degli scimmiottatori e nostalgici del fascismo e che più dei precedenti è deciso a prostrare il paese agli interessi degli Usa e dei sionisti.
Il dibattito “Fuori la Nato e i sionisti dalle scuole e dalle università” è stato un tassello in questa direzione e sono convinto che abbia rafforzato in termini di comprensione del corso delle cose e fiducia nel combattere tutti coloro che vi hanno preso parte.