Imparare dal passato per assaltare il futuro

I fatti di Empoli

Il 1 marzo 1921, in pieno Biennio Rosso, la cittadina di Empoli in provincia di Firenze, fu teatro di un interessante episodio che vide le masse popolari, organizzate intorno al neo costituito Partito Comunista d’Italia, respingere e mettere in rotta svariate squadracce fasciste ed i loro protettori militari e poi subire una feroce repressione da parte di reparti regolari dell’esercito.

Per ricostruire i fatti dobbiamo spostarci per un momento a Firenze dove il 27 febbraio era stato ucciso dai fascisti il sindacalista aretino Spartaco Lavagnini che operava nell’empolese. Questo era stato uno dei più ferventi oppositori della partecipazione dell’Italia alla guerra imperialista ‘15-’18 e, coerentemente con questa linea, aveva aderito alla fondazione del Pcd’I proprio nel gennaio del 1921 in quel di Livorno. Lavagnini fu ucciso nella redazione del giornale “L’Azione Comunista”, di cui era direttore, da alcuni fascisti che in senso di scherno rimisero addirittura la salma sulla sedia e le infilarono una sigaretta accesa in bocca. Tutto ciò accadeva mentre nel capoluogo toscano infuriava una violenta caccia alle streghe da parte di fascisti e carabinieri in conseguenza dell’ennesimo, presunto, assalto anarchico ai danni di non si sa chi. Caccia alle streghe che aveva lasciato a terra, morto, un ignaro passante, Gino Mugnai, vittima del delirio zelante di un milite dell’Arma.

Alla notizia della morte per mano fascista del noto sindacalista e dell’ignoto disgraziato passante, immediatamente fu indetto per l’indomani 28 febbraio lo sciopero generale che investì tutti i settori industriali della zona ed i servizi. In particolare, a creare i maggiori disagi alla classe dominante locale, fu lo sciopero dei ferrovieri che impedì la partenza ed il passaggio dei treni dalle più importanti stazioni della zona ed il popolo fiorentino, oramai abituato alle conseguenze degli scioperi, eresse barricate in tutta la città al fine di limitare i danni che sarebbero sicuramente conseguiti all’imminente attacco dell’esercito.

Nel frattempo da Livorno era arrivata ad Empoli la notizia che alcuni camion dei carabinieri con a bordo un misto di marinai e squadristi fascisti erano partiti proprio in quella direzione al fine di reprimere eventuali azioni solidaristiche con la lotta fiorentina e poi recarsi a Firenze per riavviare i treni bloccati dallo sciopero. È facile immaginare lo stato d’animo dei proletari empolesi che erano da tempo oggetto delle vessazioni violente delle squadracce fasciste e che adesso vedevano il loro più alto rappresentante sindacale ucciso e umiliato da questa manica di tirapiedi dei padroni. Essi, diretti dai comunisti della Guardia Rossa di Abdon Maltagliati, segretario della Camera del Lavoro, il 1 marzo si organizzarono costruendo barricate e, all’arrivo delle camionette, le ricevettero con scariche di fucileria che le misero immediatamente in fuga con gravi perdite, causando anche il “si salvi chi può” tra i carabinieri ed i soldati del locale presidio che, terrorizzati, si barricarono in caserma.

La città, che fino a quel momento era rimasta un’isola in mezzo a tutta una serie di comuni già caduti nelle mani squadriste, confermò questo status di libertà con una lotta energica frutto dell’ottima organizzazione comunista, ma i problemi non erano finiti. Infatti, a Firenze, si andava calmando la situazione tumultuosa dei giorni precedenti ed i fascisti, nervosetti anche per il tuffo in Arno del loro accolito, il provocatore Giovanni Berta figlio del noto industriale del ferro, vennero a conoscenza della sconfitta patita dai loro camerati in quel di Empoli e decisero di muovere in quella direzione per vendicarsi. Patetica fu la scena che vide protagonisti i bersaglieri, ufficialmente incaricati di fermare gli squadristi, che in realtà se li portarono dietro nascondendoli coi loro camion schierati in prima linea. Questi ebbero così la possibilità, con la copertura dell’esercito regolare, di incendiare, come di consueto, la Camera del Lavoro e vari edifici riconducibili ai comunisti ma per conquistare definitivamente Empoli occorse loro quasi un mese e questo lo raggiunsero a caro prezzo dato che le masse popolari non avevano nessuna intenzione di essere sottomessi a questi nuovi barbari al soldo dei padroni.

Quanto accaduto ad Empoli in quei giorni impone tutta una serie di riflessioni e di parallelismi con l’oggi: il ruolo delle masse popolari organizzate, il modus operandi della borghesia che si serve di ogni mezzo per reprimere il dissenso e procedere verso la tutela dei propri, sporchi, interessi, l’utilizzo costante di esercito e carabinieri nel perseguire questi fini.

Le masse popolari organizzate dai comunisti ad Empoli nel 1921 non sono molto diverse da quelle che oggi si organizzano contro le ingiustizie e gli abusi del potere; ad esempio, nella zona della Valdera, dove si sta svolgendo la Festa Nazionale della Riscossa Popolare. Sono molti i comitati sorti spontaneamente ed organizzatisi, ad esempio contro la nuova base Nato di Coltano, contro la militarizzazione delle scuole (dove la borghesia intende insegnare ai ragazzi quanto dulce et decorum est fare il carabiniere), contro gli sversamenti velenosi del distretto delle concerie di S. Croce e contro il business dei rifiuti rappresentato dal KEU. Questi comitati, di concerto con la tradizionale organizzazione sindacale e popolare comunista, stanno facendo paura alla borghesia locale e nazionale che, infatti, torna ad operare repressioni sempre più frequenti, se pur in altre forme con gli stessi intenti repressivi della Empoli di 100 anni or sono.

Anche di questo aspetto stiamo discutendo e su questo ci siamo confrontati durante i giorni della Festa nazionale della Riscossa Popolare presso il Circolo Arci il Botteghino a La Rotta di Pontedera. Festa che, nonostante i tentativi repressivi che la classe dominante locale ha messo in campo negli ultimi giorni, si è svolta e sta contribuendo alla costruzione di una nuova stagione di lotta contro lo sfruttamento e la barbarie.

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