Il 19 aprile 1960 la città di Livorno è teatro di una delle più rilevanti rivolte contro l’autorità repressiva dello Stato borghese dalla fine della Resistenza ad oggi.
La popolazione della città labronica, infatti, già da tempo covava un malcelato e sacrosanto fastidio nei confronti delle truppe americane (di stanza o di passaggio portuale) e dei paracadutisti della Folgore, posti come sgherri addetti al loro controllo dal governo italiano. Questi ultimi specialmente, durante le libere uscite di gruppo erano soliti provocare, quando non molestare, i giovani livornesi che incontravano per le strade, con particolare attenzione per le ragazze. Alla faccia della retorica della difesa della popolazione!
Fu proprio in seguito ad un episodio di molestia nei confronti di una ragazza, che scattò la scintilla che rimise in fila anni di soprusi fascistoidi ai danni dei figli e delle figlie della città che aveva dato i natali al Pcd’I. I parà vengono affrontati da alcuni giovani in difesa della ragazza e ne nasce una baruffa violenta che mette a nudo il sentimento covato a lungo dalle masse popolari nei confronti dei militari. È con l’intervento dei carabinieri che tutto sembra finire. L’indomani però il manipolo di soldati, con a capo ufficiali e sottufficiali vari, si ripresenta nei pressi di Piazza Cavallotti – dopo aver messo in scena una marcia inquadrata sull’Aurelia – e si lascia andare a provocazioni e violenze che non passano ovviamente inosservate. Questa volta in soccorso dei giovani trovatisi nell’area di attacco giungono anche i portuali livornesi che contrattaccano, mettendo in seria difficoltà i paracadutisti, che si salvano dal tracollo totale grazie al nuovo intervento dei carabinieri in assetto antisommossa.
Importante anche il contributo delle donne a questa rivolta di popolo che dalle finestre e dai balconi rovesciano sui militari tutto ciò che trovano (piatti, bicchieri, pentole e acqua bollente). Lo scontro è violento, senza pietà. A collidere sono corpi statali che come invasori opprimono e reprimono le masse popolari di un territorio e proletari di una città di provincia come tante che non ci stanno ad essere sottomessi e si organizzano, uniti, per resistere.
Un giorno glorioso per una parte, la vergogna del “dietro-front” per l’altra!
Con la consegna in caserma per i soldati il giorno successivo ed il ritorno alla “normalità”, il bilancio finale sarà di svariate decine di feriti e di 150 denunciati tra le masse popolari, compreso anche il Prof. Badaloni, sindaco comunista di Livorno.
L’episodio livornese dell’aprile 1960 si inserisce in un contesto storico molto più ampio che vide, proprio in quell’anno, i lavoratori comunisti e le masse popolari in genere rivoltarsi contro le ingerenze violente dello Stato borghese e la chiusura di molte fabbriche (in un periodo passato alla storia, paradossalmente, come “Boom Economico”) un po’ in tutta Italia.
Poche settimane dopo questi fatti si verificheranno gli scontri di Genova contro la provocatoria scelta del MSI di celebrare il proprio congresso nella città Medaglia D’Oro al Valor Militare per la Resistenza; anche lì i portuali comunisti (i leggendari e temibili “camalli”), gli ex partigiani e uomini e donne del popolo difenderanno le conquiste di giustizia sociale con ardore contro i neofascisti sostenuti da reparti celeri di polizia giunti da tutta la penisola. La loro vittoria rappresenterà la caduta del Governo Tambroni (sostenuto dai missini) e la fine della carriera del politico marchigiano.
In seguito a questa ennesima sconfitta sul campo, la borghesia alzerà il livello di violenza sparando sulle folle dei lavoratori in varie zone del paese e le vittime saranno decine: tragici i fatti di Reggio Emilia e di svariate località siciliane come Palermo, Catania e Licata, in cui le rivendicazioni contadine andavano a ledere gli equilibri di mutuo interesse tra Stato e Mafia.
I fatti di Livorno assumono ancora oggi un significato importante perché additano la via da seguire per le masse popolari. Rappresentano un monito per tutti perché quando un territorio è occupato militarmente – poco importa se dallo Stato, dalla Nato o dagli Usa – le masse popolari devono liberarsene. Devono organizzarsi e fare quanto in loro potere per cacciare gli invasori.
I portuali, i contadini e tutte le masse popolari livornesi di ieri ci passano il testimone per continuare a lottare contro i medesimi nemici di allora, rappresentati oggi dal governo Meloni, dalla Nato e dai gruppi imperialisti guerrafondai americani e sionisti.
Come P.CARC siamo al fianco dei comitati che lungo tutta la penisola si battono contro la costruzione di nuove basi militari: il Movimento No Base né a Coltano né Altrove, A Foras in Sardegna ed il Movimento No Muos in Sicilia sono solo alcuni di questi. Quello dell’occupazione militare è un problema che nella pianura che va da Pisa a Livorno è terribilmente attuale, da cui le masse popolari della zona devono liberarsi urgentemente per impedire nuovi scempi e devastazioni.
Anche di questo parleremo nella giornata del 4 agosto alla Festa Nazionale della Riscossa Popolare, dedicata alla lotta contro la guerra e l’occupazione Nato nel nostro paese.