Sono 60.637 i detenuti nelle carceri italiane, oltre 10.000 sopra la capienza massima. Il sovrafollamento, registrato al 120% nel gennaio 2024 (fonte Istat) ha toccato il tasso del 135% nelle ultime settimane (fonte L’Indipendente). Dei 60.637 carcerati quasi 10.000 (9.348) sono in attesa del primo giudizio, mentre 6.346 sono i condannati non in via definitiva.
L’Associazione Antigone, che si occupa di diritti e garanzie del sistema penale, avverte che “in queste condizioni non è possibile alcuna attività tesa al reinserimento sociale del detenuto. Non si può studiare, non si può lavorare, non sì è adeguatamente seguiti da medici e psicologi. Del resto lo stesso personale di supporto previsto dalla legge e dai regolamenti è gravemente sotto organico, il che significa un sostanziale abbandono di qualsiasi prospettiva rieducativa” (La fotografia delle carceri italiane: i numeri).
Sono infatti 4 o 5, se contiamo il Cpr di Gradisca d’Isonzo, le rivolte nelle carceri di cui si ha notizia solo nella scorsa settimana. 8 sono i morti in 8 giorni. Ben 56 i detenuti suicidi nei primi 7 mesi del 2024. Un vero e proprio bollettino di guerra che si combatte quotidianamente nelle carceri italiane. Bersagli di questa guerra, che conduce la classe dominante, sono i detenuti che vivono in condizioni di degrado e abbandono, in situazioni in cui proliferano malattie e depressione.
Dato che TUTTI i detenuti, salvo esigui casi sparuti, sono elementi delle masse popolari, le condizioni carcerarie sono una dimostrazione del fatto il bersaglio della classe dominante sono le masse popolari. Ed è per questo che gli stessi detenuti combattono per resistere alle condizioni in cui sono costretti. Resistono e si ribellano alle soluzioni che la classe dominante trova per far fronte alla potenziale bomba sociale che rappresenta il carcere. Soluzioni fatte di abbrutimento, annichilimento fomentato da un massiccio uso di psicofarmaci e di repressione crescente. Repressione di cui l’introduzione del delitto di rivolta penitenziaria, contenuta nel DL Sicurezza del governo Meloni, è solo l’ultimo atto.
Il governo Meloni con i suoi decreti non fa altro che mostrare sempre di più la natura di classe del carcere e delle misure repressive che adotta. Misure che colpiscono chi per vivere è costretto ad arrangiarsi in vari modi o chi resiste e combatte il loro sistema, mentre depenalizza invece i grandi evasori. Del resto con chi evade il fisco è meglio una politica premiante piuttosto che repressiva, secondo la Meloni.
A muovere la Meloni e il suo governo non è certo l’intento di rieducare o reintrodurre i detenuti in società, quanto il tentativo di fiaccare la resistenza e la ribellione delle masse popolari alle loro misure di lacrime e sangue. Niente di diverso da ciò che muoveva Minniti, Maroni, Cartabia o chi per loro. Del resto dei governi che sono nemici delle masse popolari non possono che ricorrere alla repressione per governare. Per questo il problema è tutto politico e la soluzione non può che essere di governo.
Prendere il governo del paese imponendo un governo di emergenza sostenuto, voluto e imposto dalle masse popolari è l’unica via per riformare le carceri e la giustizia nei loro interessi. Tra i collettivi di fabbrica, i collettivi studenteschi, i comitati ambientali e le mille forme di organizzazione delle masse popolari sono in molti ad avere già oggi a che fare con la repressione e ad avere chiare le misure necessarie per riformare la giustizia e le carceri. Queste sono misure che un governo d’emergenza deve rendere decreti e leggi.
Sono misure semplici e di buon senso, ma che presuppongono la volontà politica di metterle in atto:
- indulto e amnistia per le masse popolari che si trovano in carcere per reati minori, per reati legati ai mille modi con cui resistono alla crisi del capitalismo o per reati politici,
- assegnazione di lavori di pubblica utilità, pene alternative, formazione e inserimento al lavoro per tutti i detenuti per reati comuni,
- inserimento in percorsi di cura delle conseguenze sanitarie e psicologiche dovute alla reclusione e all’abbrutimento promosso dalla borghesia nelle carceri,
- rimozione e in certi casi arresto per tutti gli esponenti della pubblica amministrazione, del clero, della criminalità organizzata, delle forze dell’ordine e delle forze armate che si opporranno a queste misure e persevereranno nella repressione padronale dei detenuti e del resto delle masse popolari,
- scioglimento dei reparti speciali ostili alle organizzazioni operaie e popolari (vedi il VII Reparto Mobile di Bologna),
- elezione in ogni struttura di un garante dei detenuti indicato dai detenuti stessi e dai loro familiari, istituzione di consulte e organi popolari di controllo per la “vigilanza democratica” contro ogni tentativo o velleità di aggressione e repressione delle masse popolari: nessuna copertura e impunità per chi agisce o addirittura si scaglia contro le masse popolari,
- reintroduzione dell’esercito di leva, combinazione del servizio civile con il reclutamento nelle forze di polizia, numero identificativo sulle divise e in generale conformare le Forze dell’Ordine (Carabinieri, Polizia, Guardia di Finanza, Polizia penitenziaria), le Forze Armate e i Servizi d’Informazione allo spirito democratico della Repubblica configurato nella Costituzione del 1948 (in particolare a quanto indicato negli articoli 11 e 52) e ripristinare la partecipazione universale più larga possibile dei cittadini alle attività militari a difesa del paese e a tutela dell’ordine pubblico.
Repressione di massa, repressione selettiva
Abbiamo inserito tra le misure necessarie che un governo espressione delle masse popolari deve attuare da subito anche l’amnistia e la scarcerazione per gli oppositori politici del regime della borghesia imperialista. Le abbiamo inserite perché chi oggi lotta contro il sistema delle larghe intese, degli speculatori e affaristi sulla pelle delle masse popolari, sa bene che le carceri ospitano in gran numero oppositori politici e rivoluzionari prigionieri.
Non solo reduci dalle esperienze delle Organizzazioni Comuniste Combattenti (OCC) o compagni come Cospito, ma anche compagni come Luigi Spera di Antudo, dentro per un’azione militante davanti alla Leonardo, o l’anarchico Marco Marino, carcerato per un’azione contro l’ambasciata greca in solidarietà a compagni anarchici colpiti dalla repressione in quel paese. A queste si assommano pene odiose come i domiciliari alla compagna settantasettenne Nicoletta Dosio dei No Tav. Mentre è di questi giorni la notizia dell’obbligo di firma per 4 compagni napoletani che avevano partecipato al presidio in solidarietà alla Palestina che si è tenuto davanti alla sede Rai cinque mesi fa.
La repressione delle classi dominanti colpisce miratamente le avanguardie, quelli che si mobilitano e si organizzano per resistere e costruire un’alternativa nei posti di lavoro, nelle scuole e nella società. È costretta a colpirli per difendere il suo sistema nel momento in cui non riesce più a impedire che si organizzino. Non è un caso che il Ddl Sicurezza preveda 25 anni di galera per manifestazioni o iniziative in contrasto alle grandi opere pubbliche. Ma la borghesia non è invincibile. Essa colpisce quanto più chi è sotto attacco lascia passare le sue manovre e si isola. È costretta invece a tornare sui suoi passi fin tanto che reprimere diventa un problema politico perché estende la solidarietà e l’organizzazione.
Per liberare i compagni oppressi e repressi dalla borghesia, per riformare le carceri e rendere giustizia ai nostri morti lo sbocco necessario è quello del governo del paese. Quello di un governo di emergenza imposto anche da chi oggi è colpito dalla repressione perché resiste agli effetti della crisi e soprattutto perché osa lottare per un futuro e una società migliore. Un governo che proceda speditamente a smantellare l’apparato repressivo perché deciso a farlo e perché sarà spinto dagli organismi che ne hanno tutti gli interessi.
I primi passi per avanzare su questa strada sono fare fronte contro la repressione, denunciare, sabotare e violare il Ddl sicurezza del governo Meloni e tutte le leggi che attaccano l’agibilità politica, sindacale e sociale delle masse popolari. E’ quello che in alcune forme esiste già e che deve essere sempre più coordinato per convergere in un fronte unito contro la repressione.