Mentre la sinistra borghese non fa altro che frignare per l’avanzata delle destre e l’onda nera che avanza in Europa, le masse popolari appena ne hanno l’occasione manifestano il malcontento verso la classe dominante e la ribellione verso il suo sistema politico.
Le elezioni in Francia
Vista la sonora batosta che le masse popolari gli hanno dato con il voto alle elezioni europee, stravinte in Francia dall’astensionismo e dalla destra di Marie Le Pen, Macron ha deciso di sparigliare le carte e prendere in contropiede i suoi avversari indicendo subito le elezioni legislative.
Queste elezioni nel sistema elettorale francese servono a comporre il parlamento e formare il nuovo governo ma non coincidono con le elezioni del presidente della Repubblica dette invece presidenziali. Il presidente francese è stato costretto a indirle in fretta e furia per evitare che sull’onda del successo raccolto alle europee – all’insegna di posizioni anti Nato e contro l’invio di uomini e armi in Ucraina – la Le Pen rafforzasse ulteriormente il proprio consenso, in quella che si prospettava come la più lunga campagna elettorale della storia francese e riempisse il parlamento di suoi eletti.
Gli esiti del primo turno delle elezioni hanno visto in testa Rassemblement National della Le Pen. Per questo nei seggi in cui si è andati al secondo turno il Nouveau Front Populaire di Melenchon ed Ensemble di Macron hanno deciso di ritirare una serie di candidati nelle sfide triangolari per far sì che i loro candidati potessero vincere contro quelli del Rassemblement National.
Come funzionano le elezioni legislative francesi?
La Francia vota i 577 deputati dell’Assemblea Nazionale (l’equivalente della Camera dei deputati italiana) con un sistema uninominale a doppio turno. In ogni collegio in cui è suddiviso il territorio francese, per essere eletto deputato al primo turno, un candidato deve ottenere il 50% più uno dei voti, espressi però almeno dal 25% degli elettori. Se nessun candidato raggiunge questa percentuale, accedono al secondo turno i due candidati più votati e gli altri candidati che hanno ottenuto almeno il sostegno del 12,5% degli aventi diritto di voto nel collegio. Questa percentuale è importante perché più aumenta l’affluenza e più è facile che questa soglia venga raggiunta, essendo calcolata sugli aventi diritto di voto e non sui votanti. Questo meccanismo fa sì che al secondo turno possano esserci non solo ballottaggi tra due candidati, ma anche sfide tra tre o quattro candidati (i cosiddetti “triangolari” o “quadrangolari”).
In termini percentuali al secondo turno, quindi, il Rassemblement National ha ottenuto il 37% dei voti, il Nouveau Front Populaire il 26%, Ensemble il 24% e i Républicains il 5%. Ma stante la legge elettorale francese e il patto di desistenza tra Melenchon e Macron, il Nouveau Front populaire ha conquistato 180 seggi (49 in più della precedente legislatura), Ensemble 159 seggi (86 in meno), il Rassemblement National 142 seggi (53 in più) e i Républicains 39 seggi (25 in meno). A questi si aggiungono 27 deputati di destra autonomi, 12 di sinistra, 6 del centro e 12 di altri partiti.
Indipendentemente da chi si è avvantaggiato con le regole elettorali in questo caso, il fatto che la forza che prende oltre l’11% in più di voti della seconda elegga meno parlamentari e sia fuori dalla partita per governare il paese la dice lunga su quanto siano “democratici” i regimi politici dei paesi imperialisti e da dove provenga lo schifo e l’indignazione delle masse popolari verso di essi.
Nel frattempo al di là dei festeggiamenti per aver “fermato la destra”, il problema è la formazione del nuovo governo. Per avere la maggioranza servono 289 seggi e nessuno degli schieramenti da solo arriva a questo numero. Si tratta di una situazione simile alle elezioni politiche italiane del 2018, quando il M5S si affermò come prima forza politica del paese ma non aveva i numeri per governare da solo. In quel caso anziché imporre un governo di minoranza che si occupasse sin da subito di mettere in campo misure d’emergenza per le masse popolari, poggiando la sua azione sull’organizzazione e la mobilitazione popolare e sfidando il parlamento a bocciarle, decise di accordarsi con la Lega prima e il PD poi, in un abbraccio con le Larghe intese che ne ha via via fiaccato l’azione di rottura ed eroso il legame e il consenso popolare.
Questo è quello che i comunisti e le masse popolari italiane devono tirare come insegnamento da quell’esperienza. Come si muoverà Melenchon? Come si porrà di fronte alle manovre già in corso per spostare alcuni eletti del suo fronte popolare in un’alleanza con Macron?
L’esperienza dei governi Conte hanno confermato le lezioni del governo Tsipras e di Syriza in Grecia nel 2015 e del governo Sanchez-Iglesias (2020) in Spagna, ma anche del governo Prodi (2006-2008) o della presidenza Mitterrand (periodo 1981-1986) in Francia:
– non è possibile porre rimedio agli effetti della crisi cercando di trovare un qualche ragionevole accordo con le istituzioni della borghesia imperialista (UE, BCE, NATO, FMI, Confindustria, ecc.), seguendo prassi e regole dettate da quelli che hanno portato alla situazione attuale. Senza “darsi i mezzi della propria politica” anche le migliori promesse sono un imbroglio o un’illusione;
– non basta raccogliere voti, avere eletti in parlamento e neanche andare al governo, se i voti, i seggi in parlamento e il governo non vengono usati anche e soprattutto per coalizzare, mobilitare, rafforzare e dare fiducia a chi (le masse popolari) ha l’interesse e, se organizzato, ha la forza di cambiare il paese contro i signori della finanza internazionale e i loro agenti e complici locali, responsabili dello stato in cui versa il paese;
– solo facendo affidamento su una rete di organismi popolari un “governo del cambiamento” può cambiare effettivamente il paese e far fronte al sabotaggio e all’ostruzionismo della Comunità Internazionale, delle “manine”, dei capitalisti, del clero e delle istituzioni civili e militari del vecchio Stato. Senza di questo, anche se si riesce a prendere in mano il governo, il potere resta nelle mani dei potentati economici e finanziari (che sono anche i referenti locali e i complici della Comunità Internazionale): quindi il governo è un governo impotente.
Tratto da Documento di aggiornamento della Dichiarazione Generale del V Congresso
E in Italia?
In Italia la sinistra borghese è tutta impegnata nel chiacchiericcio sul quanto siano forti e bravi i francesi, ad affermare che la France Insoumise debba governare o altre posizioni simili. Idee e uscite che riescono contemporaneamente a non approfondire l’analisi sull’esito delle elezioni in Francia e non imparare granché da questa esperienza per rovesciare il governo Meloni nel nostro paese.
Non tengono conto in questi ragionamenti e non traggono dovuti insegnamenti, ad esempio, dal fatto che tra le forze che compongono la coalizione vincitrice ci sono figure come il socialista Hollande, uno che quando ha ricoperto la carica di presidente della Francia si è reso protagonista dell’attuazione di riforme terribili sul lavoro e sulle pensioni, le peggiori nella storia di quel paese. Presenze che non solo non sono state granché determinanti per i risultati elettorali – dato che l’aspetto principale era la rottura con le politiche filo Ue, Nato e sioniste di cui la colazione era promotrice – ma rappresentano un appiglio per le forze politiche padronali per provare a spaccare la coalizione e una palla al piede per Melenchon nel condurre operazioni di rottura.
Al di là degli esiti che questa situazione avrà in Francia, di cui le protagoniste sono le masse popolari francesi, questa situazione deve farci ragionare sul nostro paese e su quale sia la strada per imporre un governo espressione degli interessi, dell’organizzazione e della mobilitazione delle masse popolari e di quale sia il “fronte popolare” da costruire per metterlo in piedi.
Per cacciare il governo Meloni e impedire che qualsiasi altro governo delle Larghe intese si installi alla guida del nostro paese, innanzitutto, non bastano e non servono alchimie elettorali o finte coalizioni coi partiti padronali. L’alternativa al governo Meloni non può essere e non sarà un governo Pd-M5s che nasce dalla vittoria delle elezioni.
Chi spaccia per realistica, o addirittura auspicabile, questa soluzione è un ingenuo o un imbroglione. Sia perché con questa finta opposizione PD e M5s non hanno alcuna intenzione di cacciare il governo Meloni, sia perché al di là di alcune divergenze di facciata, il programma che propongono, sulle questioni che contano, è pressoché lo stesso dei perfidi “nuovi fascisti” che ci governano.
Il dato è che nonostante le pantomime del PD e del M5s la mobilitazione contro il governo Meloni dilaga. Dilaga nella mobilitazione contro la guerra e in solidarietà al popolo palestinese, nelle università e nelle scuole, contro lo smantellamento dell’apparato produttivo e gli omicidi sul lavoro, contro lo smantellamento della sanità e per la difesa e l’estensione dei diritti.
A promuoverla sono una miriade di organismi operai e popolari, reti e movimenti. Questa è l’opposizione che ha l’interesse, la volontà e la possibilità di cacciare il governo Meloni. Un movimento che può rafforzarsi ed espandersi tanto più le organizzazioni operaie, popolari, sindacali e politiche che ne sono alla testa si coordinano e convergono in un fronte per la cacciata del governo Meloni.
Cosa fare qui ed ora per mettere in piedi questo fronte? Senza necessariamente un ordine di priorità, P.Carc, PaP, Prc, Pci, Resistenza Popolare, Fronte comunista e Fronte della Gioventù Comunista, Usb, Cub, Si cobas, coinvolgendo città per città i movimenti sociali e quelli contro la guerra e la Nato, i centri sociali, le principali aggregazioni operaie e comitati si devono mettere alla testa della costruzione del centro autorevole che organizzi i lavoratori e le masse popolari per la lotta contro il governo Meloni.
Un nuovo Cln che operi qui e ora, contando inizialmente sulle forze di chi si mette a disposizione, come centro di promozione della mobilitazione, come promotore del coordinamento delle organizzazioni operaie e popolari e dei movimenti esistenti, come centro che si assume la responsabilità di sviluppare la lotta al governo Meloni e quella per costituire il governo di emergenza che serve.