Se c’è chi la promuove, la mobilitazione si sviluppa
Il 20 giugno scorso la polizia ha aggredito deliberatamente centinaia di persone. Con cariche a freddo e pistole (illegalmente) alla mano, ha messo a repentaglio la vita di operai e attivisti che si erano radunati nel Parco Don Bosco per impedire il taglio di alberi storici ordinato dall’Amministrazione Lepore a targa Pd. Taglio finalizzato a far spazio a una pista ciclabile (che già esiste all’interno del parco) e ai lavori del tram, nel contesto di un vero e proprio “sacco della città” con più di duecento cantieri aperti per il grosso riconducibili all’intreccio speculativo tra Pnrr, banche, fondi di investimento ed edilizia targata Legacoop (dalle cui file viene appunto il sindaco).
Siamo nella regione dove il cemento continua a fare morti per le alluvioni e nei cantieri, dove le autorità consigliano periodicamente di non fare attività all’aperto perché l’aria che si respira è pericolosa. Il tutto in salsa green e progressista.
L’episodio del 20 giugno segue a una situazione simile che si era venuta a creare il 3 aprile, quando la celere era intervenuta per permettere l’avvio dei lavori per una distruzione ben più estesa del Parco Don Bosco, nell’ambito di un progetto che prevede la demolizione delle attuali scuole medie Fabio Besta, che sono al centro del parco, e il loro completo rifacimento: un progetto da 18 milioni, di cui 2 dal Pnrr e il resto mutui.
È contro questo progetto che, ormai quasi un anno fa, un piccolo gruppo di abitanti del quartiere ha cominciato a diffondere dei volantini, spiegando fin da subito che le attuali scuole potevano essere ristrutturate garantendone e anzi migliorandone la qualità dal punto di vista pedagogico e che c’era il modo di farlo lasciando intatto il parco e risparmiando diversi milioni di euro. Così è nato il “Comitato Besta”, in un contesto cittadino dove era già attivo un coordinamento di realtà ambientaliste che si riuniva attorno alla questione dell’opposizione alla costruzione del Passante di Mezzo (allargamento dell’attuale tangenziale da dodici a diciotto corsie).
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Il nucleo iniziale ha cominciato ad agire convocando assemblee periodiche nel parco, sole o gelo che ci fosse, finché il parco non è diventato un punto di riferimento sul territorio per chi voleva attivarsi. Con lo strumento della raccolta firme (migliaia) il Comitato raccoglie la solidarietà degli abitanti del quartiere e comincia a far esporre e a coinvolgere tecnici: architetti, agronomi, avvocati, pedagogisti.
Il 29 gennaio 2024, a un primo tentativo di recintare l’area, ci si lega agli alberi e si abbatte la recinzione. La polizia locale identifica i presenti, ma deve prendere atto della volontà popolare. Ci sono nel parco, tra gli altri, un consigliere comunale (Davide Celli dei Verdi, che uscirà poi dalla maggioranza) e Legambiente. È una prima piccola vittoria.
In quella fase, non più singoli ma interi gruppi cominciano a frequentare le assemblee. Nascono delle strutture attorno agli alberi intese a intralciare i lavori, nasce l’accampata. Il presidio diventa permanente. Parallelamente si cerca di non lasciare nulla di intentato: dalle vie legali (che si riveleranno una casamatta in mano al nemico) all’iniziativa di portare sistematicamente dei libri al sindaco perché “studi”. Si cerca di infilarsi nelle crepe della stampa. Il 9 marzo, il Comitato chiama migliaia di persone a sfilare in corteo.
In questo montare di attività si arriva al 3 aprile, quando centinaia di celerini non riescono, in definitiva, ad avere ragione di un gruppo di attivisti che rompe le file e ricompare dietro lo schieramento nemico aggrappandosi agli alberi. Non ci sono le condizioni per lavorare. Cantiere sospeso. Il prezzo: al presidio la polizia spacca il braccio a un anziano; di notte, in una specie di raid punitivo, le “Forze dell’Ordine” massacrano di botte un diciannovenne poi processato per direttissima per “resistenza”.
Ma la vittoria c’è. Ecco che nei giorni successivi un comitato analogo chiede e immediatamente ottiene dal sindaco che il tragitto del tram venga deviato per salvaguardare un’altra area arborata. È tutto un tam tam di comitati vecchi e nuovi che spuntano come funghi. Arrivano messaggi di solidarietà un po’ da tutta Italia. Il Comitato Besta “fa scuola”.
Ecco che, complice il fatto che massacrare la gente a un mese dalle elezioni suona più “nero” che “green”, ma soprattutto complice il fatto che la repressione rischia di essere controproducente perché alimenta l’organizzazione popolare piuttosto che sfiancarla, Lepore il progressista spiazza tutti: “apriamo un tavolo di confronto”, dice.
Il Comitato è invitato in Comune a confrontarsi con i tecnici della Giunta e un fantomatico “Comitato del sì” alla speculazione. L’atteggiamento del Comitato Besta è quello che segue: si va in Comune per chiedere se con il “tavolo di confronto” Lepore intende davvero mettere in discussione il progetto e per dire che non è gradito ai lavori alcun “Comitato del sì”, perché tale comitato esiste già ed è la Giunta.
Ciò mette il sindaco in condizioni di dover dire che “il progetto non può essere messo in discussione per accordi già presi, rompendo i quali il Comune dovrebbe pagare delle penali”.
Parola d’ordine: “ribaltare il tavolo”. È il 25 maggio. Il Comitato prepara un dossier e organizza un convegno per presentare il progetto alternativo elaborato per la ristrutturazione delle scuole Besta, ma anche per ragionare del fatto che le scuole Besta sono un caso relativamente piccolo ma paradigmatico di un intero sistema e che in gioco non c’è solo un parco ma il futuro della città e non solo. È una giornata di dibattito che vede coinvolti professori universitari, tecnici, attivisti. Il sindaco è invitato, ma preferisce mandare (così si fa tradizionalmente quando c’è da fare figure di merda e fingersi democratici) Emily Clancy, la vicesindaca dei centri sociali, che in platea ascolta, incassa in silenzio, e poi se ne va mestamente senza rilasciare dichiarazioni alla stampa. Di lì a poco nasce in embrione il coordinamento cittadino dei comitati civici.
È così che si è arrivati ai fatti dello scorso 20 giugno, cui ha fatto seguito un lavoro certosino e combinato sulla stampa da parte della Giunta (per parare il colpo) e della polizia politica (per spandere il veleno della dissociazione dalla lotta).
Il presidio è ancora lì (oggi, venerdì 28 giugno) e il parco pullula di attività ed è fucina di riscossa. Perché la questione principale qui è proprio la riscossa.
Questa esperienza dimostra che dove c’è qualcuno che promuove e tiene in mano l’iniziativa, la resistenza si sviluppa. Che esiste un malcontento diffuso e che l’ostacolo principale per la mobilitazione delle larghe masse popolari è la fiducia che si possano cambiare le cose. Quindi è decisivo che si formino dei nuclei organizzati determinati a vincere.
Questa esperienza mostra anche che tutto nasce piccolo e poi si sviluppa per salti e che la resistenza alla repressione e la solidarietà (allargare il fronte di contro al cedere alla distinzione tra buoni e cattivi fomentata dal nemico) è uno dei meccanismi attraverso cui avvengono questi salti. Mostra anche che una singola esperienza vittoriosa diventa come un centro da cui si irraggia la fiamma che ne accende tante altre.
L’esito di questa battaglia sarà rilevante ma, a guardare dall’alto, non c’è in gioco solo la questione del Parco Don Bosco. Questa ha già sedimentato un portato di esperienze che è patrimonio collettivo. Sono le radici su cui deve crescere l’albero di un nuovo potere costruito dal basso che punta a scalzare e poi sostituirsi a quello degli affari e del cemento. È compito dei comunisti aprire il sentiero di questa prospettiva.
P.Carc – Sezione di Bologna