Tra il 24 e il 26 giugno si sono susseguite una serie di importanti iniziative contro la guerra e l’economia di guerra nel nostro paese.
Il 24 giugno si è svolta a Roma la manifestazione chiamata da Potere al Popolo contro il governo Meloni e le sue misure antipopolari. Il 25 giugno a Genova il porto è stato bloccato da Si Cobas, Calp e organizzazioni solidali con la Palestina e contro la guerra, per fermare il transito delle armi con cui lo stato criminale di Israele prosegue il genocidio a Gaza. Sempre il 25 giugno Si Cobas e Adl Cobas hanno scioperato nella logistica contro l’economia di guerra, il traffico di armi, il nuovo pacchetto anti-sciopero del governo Meloni e per il rinnovo del CCNL. Il 26 giugno sono stati invece i ferrovieri iscritti alla Cub Rail a incontrarsi in assemblea per il rinnovo del CCNL, contro la guerra e l’uso militare delle reti ferroviarie.
Dopo la partecipazione al blocco del porto di Genova del 25 giugno un compagno ci ha inviato alcune riflessioni che riportiamo perché utili a sviluppare un confronto sul rinnovamento del movimento sindacale di cui c’è bisogno in questa fase, e che sappiamo molti compagni iscritti o delegati nei sindacati riconoscono. Alle perplessità riportate nel messaggio sono questi compagni che possono rispondere più efficacemente, promuovendo attivamente dentro il sindacato l’unità dei lavoratori e di tutte le forze.
“Cari compagni,
scrivo alcune rapide riflessioni di ritorno dalla manifestazione che ha bloccato il porto di Genova.
Inizio dicendo che il blocco del porto è riuscito, questo è il primo dato certo e il più importante. Ci sono però alcune cose che mi hanno lasciato piuttosto perplesso e che vi sottopongo.
Come dicevo, il blocco del porto è riuscito: sono stati bloccati contemporaneamente e totalmente i varchi Benigno, Etiopia, Albertazzi e il lungomare Canepa. Il terminal Messina è poi stato raggiunto con un corteo, che si è fermato davanti allo stabilimento della Leonardo. Già arrivando a Genova dall’autostrada si leggeva il messaggio Anas che diceva “Porto chiuso” e le file dei camion nella città sono state ben visibili.
Possiamo dire che è stato fatto davvero un bel danno a chi specula e traffica con la guerra, soprattutto perché il blocco arrivava dopo il fermo dei giorni di festa per il patrono di Genova. Anche la partecipazione non era scarsa. C’erano almeno 1500 persone e da Milano siamo scesi in almeno 200.
Quello che mi ha lasciato perplesso è stata la poca presenza di lavoratori del porto e dei lavoratori della zona. Soprattutto, mi è sembrato che il Calp non fosse in forze e che i lavoratori del porto non fossero stati mobilitati. Erano presenti realtà cittadine e del paese solidali con la resistenza palestinese, iscritti al Si Cobas di altre città, ma non ho visto striscioni o messaggi di RSU o aziende.
Nella pratica il blocco del porto di Genova ha portato in qualche modo a combinarsi il Si Cobas e l’USB di Genova. Ma è evidente che questi passi sono dettati più dalle necessità contingenti che dalla volontà di questi, come di altri sindacati, di lavorare insieme. Penso che questo sia il dato che “fa più male” ai lavoratori, che infatti non erano presenti in forze come potevano essere. E che questo porti in definitiva alla sfiducia e a tarpare queste iniziative, che pure sono necessarie.”
Le considerazioni del compagno sono importanti e spingono a fare alcune riflessioni. Prima fra tutte è che la 3 giorni 24-26 è stata molto importante perché nei fatti ha dato continuità e ha legato mobilitazioni diverse ma che si pongono obiettivi comuni. Obiettivi che sono politici: fermare la partecipazione del nostro paese alle guerre della Nato e fermare le politiche antipopolari del governo Meloni.
Questo mostra il ruolo estremamente positivo che sindacati come Usb, Si Cobas e Cub (ma non solo) stanno assumendo in questa fase occupandosi di politica, portando le lotte dei lavoratori sul piano politico e a occuparsi del governo del paese. A dimostrazione che la lotta di classe è tutto meno che persa – come la borghesia e la sinistra borghese spesso vanno raccontando – e che per condurla efficacemente il terreno su cui mobilitarsi deve essere questo.
Uniti, tutti questi sindacati e gruppi di lavoratori, possono bloccare il paese, possono condurre efficacemente la lotta di classe per vincere. A patto però che si muovano in maniera compatta e coordinata, perché questa è la loro forza. Siamo chiari: la concorrenza è uno dei principali ostacoli alla realizzazione delle aspirazioni di lotta e cambiamento sia dei promotori delle mobilitazioni che, soprattutto, dei lavoratori.
La parte avanzata e organizzata dei lavoratori, al di là del sindacato in cui sono iscritti, aspira e cerca l’unità per esprimere la propria forza. Per farlo ha bisogno di un centro autorevole che la unisca, organizzi e mobiliti su un obiettivo politico comune. Questo obiettivo è sì cacciare il governo Meloni. Ma non solo. Bisogna impedire che a questo governo segua un altro governo delle larghe intese. Alle masse popolari serve un governo che fermi la partecipazione dell’Italia alle guerre della Nato, che blocchi il transito e il traffico di armi verso Nato e Israele, che cancelli subito le misure antipopolari. Serve un governo di emergenza popolare.
Il centro autorevole in grado di mobilitare le masse popolari verso questo obiettivo può essere un coordinamento di forze politiche e sindacali. Un centro in grado di costruire un fronte contro le Larghe intese, che riesca a mobilitare e coordinare i vari organismi operai e popolari per affermare i propri interessi e che porti altre parti delle masse popolari ad organizzarsi su questo obiettivo comune.
Per questo i compagni attivi nei sindacati devono farsi promotori di questo rinnovamento del movimento sindacale. Per farlo devono in ogni occasione alimentare l’unità di tutti i lavoratori, legarsi a iscritti e delegati di altri sindacati all’interno delle aziende e sui territori per iniziare a intessere un lavoro comune, su cui intercettare e mobilitare anche altri lavoratori. Questi sono i germogli del rinnovamento del movimento sindacale che serve oggi alle masse popolari per liberarsi da chi le opprime, affama e porta alla guerra.